Il divorzio nella nursery

Tratto da: Achieving Attachment Security for Infants in a Family Law Context (Sydney, 20 agosto 2012) dall’intervento di Jennifer E.McIntosh, PhD alla 49esima conferenza annuale della AFCC (Association of Family and Conciliation Court) di Chicago bambini

I bambini e il pernottamento: il dramma, gli attori e i loro copioni

Il dibattito intorno a dove i bambini dovrebbero trascorrere la notte quando i genitori sono separati è diventato sempre più acceso negli ultimi anni. Le dichiarazioni degli esponenti delle diverse fazioni sono appassionati, profondamente sentiti, e accademici e avvocati, genitori e professionisti, giostrano da una parte all’altra di una dicotomia.

A volte il dramma sembra svolgersi in un circo a tre piste: nella peggiore delle ipotesi, i copioni sono più o meno questi: Da una parte abbiamo quelli che “la mamma è meglio”, il gruppo delicato dei pro-mamme. Al centro della scena abbiamo una culla, amorevolmente dondolata da una mamma anni ’50 che indossa un bel grembiule fresco di bucato, e sorride deliziata nel suo ruolo di perfetta casalinga. La notte, chiude bene il cancello di casa e si mette in tasca la chiave. Il padre non può entrare, lei gli dice: “Ci vediamo fra tre anni, quando sarai importante anche tu!”.

Dall’altra ci sono quelli che “anche il papà conta”, il gruppo dei pro-papà, composto da attori più volitivi. Lo scenario ci mostra un mondo moderno, e sullo schermo del computer lampeggiano i messaggi delle chat-room dei papà separati. Si discute del ruolo del padre nella società di oggi. I toni sono piuttosto accesi, sembrano arrabbiati. Il pavimento è disseminato di una varietà di meravigliosi giochi per bambini, palloni, biciclette, libri, tende da campeggio e mappe del tesoro, tutte cose che evidentemente solo un padre sa come usare. Sullo sfondo l’ombra nefasta dell’ “assenza del padre”, che incombe minacciosa sul povero bambino. Ma nel mezzo c’è anche una terza pista.

Gli attori qui sono assorti e intelligenti professionisti. Sono immobili, sfiancati da un decennio di polemiche sui bambini e sul dove dovrebbero passare la notte. Si danno appuntamento in una città, carina come Melbourne, e cercano di raccogliere tutti i dati disponibili sulla faccenda. Ma non c’è materiale sufficiente neanche ad arrostire un marshmallow. Alle loro spalle, una tetra pila di pareri legali, ricerche accademiche e pseudo-scientifiche, leggi, opinioni, proiezioni, confutazioni, dicerie e processi paralleli, il tutto disordinatamente mescolato. Si sentrono stranamente immobilizzati e si chiedono cosa fare…

Ora dovremmo chiederci: dov’è il bambino? Questa discussione si propone si apportare un cambiamento a questa trama, portando alla ribalta il bambino: quella che vogliamo è la sua testimonianza in merito a tutti possibili scenari sul tema pernottamento, nel contesto dell’unicità di ogni singolo bambino e delle sue particolari necessità di accudimento.

Entra in scena il piccolo Frankie, al quale forniamo la capacità di esprimersi e un titolo accademico. Frankie appare piuttosto perplesso, poi ci dice: “Ma perché insistete con questa visione dicotomica della cosa, ragazzi? E se foste dalla parte della mia mamma e anche dalla parte del mio papà, che poi è la mia parte? Ecco, Mr Demille – dice Frankie – sono pronto a recitare il mio ruolo in questo dramma. Innnanzi tutto dovete indossare lenti tanto potenti da mettervi in grado di osservarmi in tutta la mia complessità. E poi, c’è il copione che ho scritto io: il mio parere su questa disputa. Non c’è una sola riga sul genere dei miei genitori, o sulla parità di genere, niente su quale dei miei due genitori è il più importante, o su chi mi ama di più. Non ho scritto quale degli accordi è perfetto per me, ma ho scritto di me, chi sono, cosa posso affrontare, cosa mi fa stare bene, come mi stressa e cosa invece mi aiuta a superare lo stress. Chiamatemi pure egocentrico, se così vi sembro, ma alla mia tenera età ciò che voglio coincide con ciò di cui ho bisogno. La scienza può predire ciò di cui avrò bisogno? Non ne sono così sicuro…”

Una sinossi della più recente ricerca scientifica sull’argomento

Può la ricerca scientifica aiutare Frankie, un bambino che ha meno di tre anni i cui genitori si sono separati? Facciamo un passo indietro per soffermarci sulla parola scienza: per attribuire un valore scientifico a ciò che si sostiene,  occorre aver ottenuto un attendibile livello di conoscenze organizzate, basate su un’ampia, approfondita, rigorosa, verificabile raccolta di ricerche.

Per essere chiari: oggi non abbiamo niente del genere sull’argomento in oggetto. Ciò che abbiamo sono brandelli di ricerche psicologiche poco collegati fra di loro. La ricerca psicologica esamina i processi nascosti che contribuiscono a produrre determinati risultati. Si occupa di dedurre dei modelli a partire da una certa quantità di dati sensibili. La precisione di questi modelli cresce in modo direttamente proporzionale allo sviluppo delle metodologie e all’aumento della quantità di dati sui quali lavorare.

Questa comunque è la mia posizione: anche quando avremo qualcosa del genere, stipulare un accordo che riguardi il pernottamento di un bambino necessiterà sempre che quell’accordo sia scritto a misura di quel particolare bambino.

Andiamo a vedere cosa ci dicono in proposito prima le neuroscienze e poi quelle ricerche che analizzano specificamente il contesto separazione/divorzio, che è quello che ci interessa. (…)

Oggi le neuroscienze possono cose inimmaginabili ai tempi in cui io ero all’Università, e se fossi diventata una neuroscienziata ora potrei mostrarvi mappe del cervello, scannerizzazioni del cervello di un bambino e immagini in tempo reale di come reagisce alle situazioni di stress, e poi forse mostrarvi a confronto la dissezione di un cervello in buona salute e uno sottoposto ad uno stress eccessivo, per chiarirvi che  quando parliamo di sviluppo cerebrale nella prima infanzia, parliamo fondamentalmente di un cervello primitivo che acquisisce la capacità di regolare lo stress e comincia appena a strutturarsi.

Prima del 2011 i neuroscienziati non si erano mai interessati al diritto di famiglia. Tuttavia si sono sempre occupati di studiare lo sviluppo normale o anomalo del cervello umano, soprattutto del ruolo dell’attaccamento, dei traumi – violenza domestica, abusi – e del modo in cui influenzano il modo in cui il cervello di un bambino si struttura. Sul tema diritto di famiglia, due eminenti neuro scienziati – Allan Shore e Daniel Siegel – nel luglio del 2011 hanno esposto quei risultati delle ricerche scientifiche che potrebbero essere d’aiuto ai tribunali dei minori. Li riassumerò per voi:

  • la prima infanzia (fino ai 3-4 anni di età) è un periodo critico dello sviluppo, caratterizzato da una grande vulnerabilità: il bambino subisce rapidi mutamenti dal punto di vista fisico, cognitivo, emotivo, nella sfera del linguaggio e del rapporto con gli altri;
  • lo sviluppo del cervello dipende dalle esperienze che vive il bambino;
  • il cervello è immaturo: nei primi 18-24 mesi, i meccanismi che regolano lo stress non sono ancora formati, i bambini non sono in grado di gestire il livello di stress autonomamente, e lo sviluppo di questi meccanismi è determinato dalle relazioni che instaura;
  • fino ai 18 mesi il bambino si deve affidare costantemente ad un “regolatore esterno” dei suoi livelli di stress, e questo avviene per mezzo del legame di attaccamento;
  • i soggetti con cui il bambino instaura il legame di attaccamento fungono da “regolatori esterni” dello stato di stress, ne stabilizzano gli effetti, interpretano i bisogni del bambino, lo aiutano ad interiorizzare queste funzioni, affinché il suo cervello, lentamente, acquisisca la capacità di gestire tutto in autonomia.

Normalmente, nella prima infanzia

  • una sola persona assolve principalmente la funzione di “regolatore esterno dello stress” per il bambino;
  • il bambino si rivolge a quel genitore in cerca di cure;
  • oltre a questo legame primario, il bambino instaura altri legami di attaccamento;
  • mentre neuroscienziati e psicologi dell’età evolutiva ritengono che questi assunti non siano in alcun modo in contrasto con il diritto di famiglia, è proprio intorno a questi argomenti che il dibattito è più acceso. Tutto questo ha a che fare con il genere?

Il neonato discrimina in base al genere?

I bambini hanno una neurologica predisposizione a prediligere l’esperienza di una relazione stabile e disponibile in questa fase critica dello sviluppo. Immaturità neurologica: una prospettiva sulla gerarchia dei legami di attaccamento

  • che un legame di attaccamento sia più importante degli altri non deriva dal desiderio del bambino di essere “politicamente scorretto”;
  • il fatto che il bambino preferisca la vicinanza di un caregiver in particolare sembra essere una diretta conseguenza dei limiti imposti da un cervello non ancora del tutto strutturato;
  • stabilire un sano legame di attaccamento primario è un processo complesso e difficile, necessita di un susseguirsi cadenzato di esperienze pre-verbali che si ripetono in modo da essere prevedibili;
  • ci sono anche – e debbono esserci – un secondo e persino un terzo legame di attaccamento.

Perché lo stabilirsi di un solido legame di attaccamento primario è importante

L’attaccamento nel primo anno di vita, in quel periodo cioè in cui il legame si sta strutturando nel cervello del bambino, è diverso dall’attaccamento nel terzo o quarto anno di vita, quando ormai il sistema funziona. Sottoporre a stress un sistema che è in una fase di sviluppo produce maggiori effetti negativi di quelli che il medesimo stress può produrre in un bambino di 4 anni. (Shore & McIntosh, 2011)

Prevedibilità e continuità: una priorità

Cosa avviene quando le abitudini del bambino vengono continuamente modificate in quel periodo in cui si sta costruendo il legame di attaccamento? Il legame di attaccamento produce l’effetto opposto di quello che dovrebbe produrre: invece di regolare i livelli di stress del bambino ne aumenta lo stato di agitazione.

Punti sui quali concordano la teoria dell’attaccamento e neurobiologia (infanzia & prima infanzia)

  • E’ una fase critica dello sviluppo.
  • I bambini piccoli meritano una particolare attenzione quando c’è da decidere per un accordo sull’affidamento? Si.
  • Costruire un solido legame di attaccamento per assicurare al bambino il sufficiente conforto e rassicurazione è una priorità nei primi anni due anni del suo sviluppo.
  • Il bambino ha bisogno di più di una persona con la quale sentirsi consolato e al sicuro.

[A proposito di Shore e Siegel potete leggere anche qui.] La domande empiriche che derivano da queste considerazioni sono:

  • Come ottenere tutto questo in caso di divorzio?
  • Cosa accade se un bambino trascorre più tempo con una persona piuttosto che con un’altra?
  • In che modo gli accordi sul pernottamento dei bambini hanno a che fare con queste considerazioni?

Esaminiamo le ricerche basate su dati empirici che hanno cercato di rispondere a queste domande: credetemi, non ci vorrà molto tempo. Ci sono 2 studi che hanno focalizzato la loro attenzione sugli accordi per il pernottamento di un neonato e due studi rilevanti per ciò che riguarda i bambini in età prescolare. Perché così pochi?

  1. Gli accordi che riguardano l’affidamento di bambini al di sotto dei 3 anni e prevedono che dorma presso entrambi i genitori sono poco comuni. In Australia solo il 6% della popolazione dei genitori separati ha adottato questo sistema. All’estero, i casi aumentano in modo direttamente proporzionale all’età del bambino.  Questo significa che ottenere un campione significativo di bambini e fare una ricerca sui grandi numeri è una vera e propria sfida.
  2. Una cosa che i ricercatori possono fare è cercare piccoli gruppi di soggetti volontari da studiare, ma optando per questa possibilità si deve rinunciare ad un paio di regole d’oro, come la randomizzazione del campione dei soggetti da studiare e la potenza statistica.
  3. Che si abbiano a disposizione pochissimi lavori sull’argomento è comprensibile. Ma anche quando si avranno maggiori dati su cui lavorare, non si otterrà comunque lo studio dal quale desumere “il risultato perfetto” applicabile ad ogni singolo bambino.

Un breve riassunto dei tre principali studi sull’argomento (…) [per esaminare gli studi basta seguire i link] Nel primo studio, di Solomon e George (1999), 145 bambini  sono stati osservati ad un anno e a due anni e mezzo per valutare il legame di attaccamento: si trattava di bambini  i cui pernottamenti erano regolamentati in modo da essere condivisi, bambini i cui pernottamenti non erano condivisi, e bambini in famiglie non separate. E’ risultato che i bambini in regime di pernottamenti condivisi mostravano un comportamento ansioso, inquieto, particolarmente rabbioso, e in particolar modo nel momento della ricongiunzione con il caregiver principale; sempre in questo gruppo di bambini si è riscontrato un alto tasso di legami di attaccamento disorganizzati e insicuri con il caregiver principale. Si è riscontrato nei genitori un alto livello di conflittualità e ansia, nonché di incapacità nel comunicare fra di loro a proposito del bambino e del modo di gestire le sue difficoltà.

Lo studio Kline Pruett e altri (2004) ha seguito i bambini fino ad una età più avanzata (una media di 4,9 anni all’ultima osservazione); i genitori prendevano parte volontariamente ad un progetto sul divorzio. Sono state raccolte le testimonianze di padri e madri sul comportamento dei bambini in due momenti della loro vita, e sono stati messi a confronti i risultati dei bambini i cui pernottamenti erano condivisi con quelli in un regime di affidamento che non comprendeva i pernottamenti. Rispetto al tempo trascorso con i genitori, i bambini tra i 4 e 6 anni presentavano, secondo quanto riferito dai genitori, meno problemi rispetto ai bambini più piccoli. Le bambine tra i 4 e i 6 anni mostravano di trarre beneficio da un affidamento condiviso che comprendesse anche i pernottamenti (al contrario dei maschi). Scarse competenze genitoriali e pessimi rapporti fra i genitori si sono dimostrati i fattori determinanti nel causare problemi di comportamento nei bambini. Avere più caregivers si è rivelato un problema per i bambini più piccoli.

Il terzo e più recente studio è stato condotto da Bruce Smyth, Margaret Kelaher e da me. (…) [A proposito dei dettagli sullo studio “Post-separation parenting arrangements: Patterns and developmental outcomes. Studies of two risk groups”, di Jennifer McIntosh, Bruce Smyth, Margaret Kelaher, Yvonne Wells and Caroline Long, (2011) si può leggere diffusamente qui e anche qui.] Questo è ciò che abbiamo ottenuto:

  1. in accordo con i risultati degli studi di Solomon e George, e Kline-Pruett, a causare problemi ai bambini sono principalmente la mancanza di calore nel rapporto genitore-figlio, le difficoltà a relazionarsi fra loro dei genitori, e le risorse psico-sociali;
  2. in accordo con lo studio Solomon e George, è risultato che una maggiore frequenza nell’alternanza dei pernottamenti causa – indipendentemente da altri fattori – dei problemi nello sviluppo della capacità di autoregolare le emozioni nei bambini al sotto dei 3 anni; in accordo coi risultati dello studio Kline-Pruett, non si riscontrano i medesimi problemi per bambini al di sopra dei 4 anni.

Per i bambini da 0 a 2 anni i segnali di stress nel gruppo con maggiore alternanza nei pernottamenti (una o più volte a settimana) sono stati: un comportamento più irritabile e nervoso con il caregiver principale, e una maggiore tendenza a monitorarne costantemente gli spostamenti. Nel gruppo fra i 2 e i 3 anni i segnali stress nel gruppo con maggiore alternanza nei pernottamenti (più del 35%) sono stati: incapacità a concentrarsi a lungo nel gioco o nelle attività di apprendimento e una gamma di comportamenti che esprimevano angoscia nei confonti del caregiver principale (piangere o tentare di farsi prendere in braccio nel momento del suo allontamento; un aspetto preoccupato o molto serio; nessuna reazione quando veniva ferito; frequenti momenti di grande rabbia; difficoltà ad inghiottire il cibo; rifiutarsi di mangiare; picchiare, calciare o mordere il genitore). Anche in questo caso, tutti questi comportamenti disturbati venivano messi in atto in presenta del caregiver principale. Non erano evidenti socialmente, non c’erano difficoltà a livello globale. Si trattava di difficoltà specifiche nel regolare le emozioni nel contesto della relazione col caregiver principale. Per farla breve, abbiamo preso questi risultati, li abbiamo confrontato con quelli di altri studi, e abbiamo riconosciuto delle costanti (voi le vedete?).

Nessuna condivisione dei pernottamenti non sembra creare nessun tipo di problema. Ciò che invece sembra essere una possibile fonte di turbamento per lo sviluppo della capacità di regolare le emozioni nei bambini al di sotto dei 3-4 anni è l’alternanza nei pernottamenti.

Finché non avremo dei dati che ci offrono evidenza del contrario, forse è il caso di andarci cauti nel parlare di equa divisione dei tempi quando si parla di bambini che hanno meno di tre anni. Queste conclusioni hanno fatto arrabbiare un paio di persone. E subito si è iniziato a mistificare i risultati ottenuti. Abbiamo ritrovato gli scopi, i progetti e i risultati travisati in modo incredibile da affermazioni, motivazioni e intenti a noi attribuiti.

Conclusioni giustificate e conclusioni ingiustificate

Prima di applicare i risultati di questi studi a casi specifici o di usarli per giustificare una causa, dovreste comprendere che:

  1. i risultati non supportano alcuna argomentazione che riguardi il genere dei genitori in relazione al problema del pernottamento dei bambini.
  2. i risultati non supportano alcuna argomentazione contro nessun genere di accordo che riguardi il pernottamento dei bambini.

Ecco cosa riteniamo ci suggeriscano i dati disponibili a proposito dei bambini: Ferme restando tutte le altre condizioni, è più probabile per bambini al di sotto dei tre anni, rispetto a bambini dai 4 in poi, che la condivisione dei pernottamenti comporti conseguenze negative per loro sicurezza emotiva e  per i processi di regolazione dello stress. Per ciò che riguarda i singoli casi, ci sono molte altre circostanze da tenere in considerazione – le competenze genitoriali del singolo genitore, la capacità dei genitori di collaborare, il carattere e i bisogni del singolo bambino – allo scopo di stipulare un accordo che non diventi  un problema per il bambino, ma un supporto al suo sviluppo. I singoli casi ci insegnano che ci sono ancora un  mucchio di domande alle quali ancora non sappiamo dare una risposta.  Alcune di quelle più rilevanti sono le seguenti:

  1. Che genere di bambini ottiene buoni risultati con un accordo in cui i pernottamenti sono condivisi?
  2. In quali circostanze condividere i pernottamenti può essere considerato una forma di protezione per il bambino, o una scelta necessaria? (mi vengono in mente i casi di bambini con genitori malati, stanchi, molto stressati)
  3. Che tipo di comportamento del genitore favorisce un affido che prevede la condivisione dei pernottamenti?
  4. Che sappiamo di quei bambini che provengono da culture nelle quali la condivisione dei compiti di cura è tradizionalmente condivisa? Sappiamo che il meccanismo dell’attaccamento non è diverso nei bambini che provengono da culture diverse, ciò che cambia è il contesto nel quale la cura è dispensata.
  5. In che modo vanno presi in considerazione tutti gli altri fattori? I genitori che lavorano, i servizi di assistenza all’infanzia, la distanza fra i genitori separati, la violenza, la povertà, i problemi con alcol e droga, ma anche la presenza di fratelli o sorelle, di nonni disposti a fornire aiuto, la salute, il benessere e il contesto sociale: ci sono tante cose che possono lavorare contro o a favore della sicurezza di un neonato, diverse caso per caso.

Il dibattito in corso può essere definito poco elegante, o addirittura brutto, perché si pone come obiettivo la ricerca di una norma che permetta di vergare l’accordo perfetto da applicare  al problema del pernottamento dei bambini piccoli. Il bambino stesso si oppone ad una simile soluzione, contrapponendovi la sua unicità e l’unicità del contesto nel quale ci si prende cura di lui. Il bambino ci invita ad osservarlo e ad osservare i suoi progressi, a pensare alla complessità dello svilupparsi della sua capacità di regolare le emozioni, ad approcciarsi al suo caso cercando di metterci nei suoi panni, e di immaginare come il modo in cui ci prendiamo cura di lui lo può aiutare nella crescita.

Alla ricerca della testimonianza del bambino

Tenendo conto delle mie ricerche e delle osservazioni cliniche, questa è la versione ridotta di come potrebbe apparire la testimonianza del bambino se l’accordo per l’affidamento – qualunque esso sia, comprensivo della condivisione pernottamenti o no – fosse di supporto ad un sano sviluppo:

Dovremmo osservare:

  • se il bambino sta bene fisicamente
  • se il bambino sta bene emotivamente
  • se il bambino riesce a gestire bene la quantità di stress che subisce quotidianamente
  • se il legame di attaccamento risulta organizzato e il bambino trae conforto da entrambi i genitori
  • se il bambino prova piacere a trascorrere del tempo con entrambi i genitori
  • se il bambino e ragionevolmente stabile rispetto al contesto di accudimento.

In modo piuttosto semplicistico sto parlando dello stile del legame di attaccamento, organizzato o disorganizzato, e sottolineo che “l’organizzazione” dell’attaccamento e la “sicurezza” dell’attaccamento non sono la stessa cosa.

Un legame organizzato non significa “un mondo perfetto” nel quale il bambino affronta qualsiasi cosa senza problemi. Un attaccamento organizzato significa che il bambino è in grado di cercare e trovare un regolatore per gestire le sue emozioni senza crollare. Nel tempo, un legame di attaccamento organizzato è ciò che mette al sicuro lo sviluppo di un  bambino. Robyn Sexton, Tom Altobelli e io abbiamo lavorato duramente per formulare alcune domande fondamentali su questo argomento per giudici, legali e mediatori, in modo da metterli nella condizione di riflettere in merito ai tutto ciò che concerne i bambini da 0 a 4 anni. Le trovate nel materiale che abbiamo distribuito e, se ci fate caso, non ci sono regole a proposito di dove dovrebbe dormire un bambino in caso di separazione. Ci sono importanti linee guida, che abbiamo ricavato dagli studi neuroscientifici, dalle ricerche relative al divorzio, e dal buon senso.

Io desidero innanzitutto che un bambino sia al sicuro e possa contare su un legame di attaccamento organizzato, nella sua vita. Ora, riportando questo desiderio all’interno del dibattito giuridico, sarete d’accordo sul fatto che non possiamo rimanere a girarci i pollici nella speranza che si realizzi da solo. Possiamo decidere per una condivisione dei pernottamenti in presenza di profonda sfiducia, di paura, o di genitori incapaci di cooperare, e aspettarci che funzioni per il bambino? Nell’arena del conflitto familiare, non c’è spazio per la soluzione del Re Salomone.

Ho evocato un re, e adesso invoco gli dei. Questa mia preghiera è rivolta agli dei profani dei Tribunali dei Minori: Per favore, chiunque voi siate, concedete a questa materia più ricerche e finanziamenti, e liberateci dalla tentazione di tirare acqua al nostro mulino. Dateci strumenti di ricerca efficaci, e preservateci da metodologie superficiali. Dateci la profondità e le capacità per descrivere i misteri dell’infanzia… Dateci la saggezza necessaria a porci le domande giuste, a tollerare con pazienza i vuoti nella conoscenza, e a non riempirli con ideologie o opinioni prive di fondamento. Aiutaci a condurre conversazioni intelligenti, a diffondere informazioni affidabili, a dibattere, a scoprire attraverso indagini meditate. Aiutateci a trovare e rispettare la testimonianza del bambino, sempre, in ogni caso. E tutto questo ve lo chiediamo a nome dei bambini. Amen. Jennifer MacIntosh, Ph.D. 9 giugno 2012

Per approfondire:

Ancora sull’Ordine degli Psicologi

La tenera età del minore e la questione del doppio domicilio – II parte

Residenza alternata: il punto di vista di uno psichiatra infantile

Separazione della coppia e bambino disorientato: gli equivoci della legge sulla famiglia

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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5 risposte a Il divorzio nella nursery

  1. Massimo ha detto:

    Un lavoro approvato da 110 dei maggiori esperti internazionali ha mostrato che lo studio della McIntosh “trae conclusioni non conseguenti dai propri dati” e quindi “non costituisce una base affidabile su cui basare le decisioni per l’affidamento dei figli”. Si veda: http://it.avoiceformen.com/misandria/era-un-inganno-femminista-larticolo-che-sosteneva-che-stare-con-i-papa-fa-male-ai-bambini/

  2. maura ha detto:

    Premesso che la psicologia non è il mio campo e che quindi dirò cose “di pancia” e come tali opinabilissimi.
    Non sono una supporter della famiglia tradizionale che, notoriamente, sapeva anche fare guasti eccellenti sia pure in una apparente normalità. E non parlo del caso di Motta, ma di cose molto più sottili.
    Però mi vengono in mente due ragionamenti “in aggiunta”:
    1) Come valutare, nello scegliere il genitore affidatario, le pulsioni recondite del rapporto? Mi spiego meglio, sono stata una bambina figlia di una madre anaffettiva e ipercritica. sappiamo come le madri possano essere per le figlie ( ma anche certi padri per i figli) di una perfidia sottile ben illustrata dai libri “dalla parte delle bambini 1 e 2” . Ho perdonato da tempo mia madre, che è morta. Figlia del fascismo e madre nei famigerati e misogeni anni cinquanta, perpetrava una cultura non sua, viveva il fallimento di essere madre di una femmina, cui la sorte aveva negato quel principino che le fornisse quel pene fonte di sociale invidia. Nonostante i guasti nella mia autostima, il prezzo più caro l’ha pagato lei. La mia fonte di sicurezza è stato mio padre, che mi amava di un amore incondizionato, morto però quando avevo solo 15 anni. C’azzecca col tuo discorso? Credo sì. Nella scelta del genitore “principale” si possono individuare queste componenti “sottili”? Che se io avessi vissuto i miei primi 10 anni con solo mia madre……. Che pure ere un’ottima madre dal punto di vista del dovere! Cibo, abiti, cure, educazione…. Solo che, da buona donna degli anni 50, era incapace di concepire il piacere nella relazione con una figlia vaginata ( e con la propria, di vagina). E una rapporto genitore figlio senza piacere è devastante. Mia madre verrebbe sicuramente scelta come genitore affidatario ( con mio padre avrei potuto andare a scuola con due calze diverse o mangiare patate fritti a pranzo e cena, ma…..)
    2) certo oggi donne e uomini hanno un diverso rapporto con la propria felicità. la considerano un diritto. Donne e uomini separati e divorziati cercano nuovi patner saltuari o fissi, si risposano, fanno nuovi figli. Nessuna madre considera più un dovere (come fece la mia, rimasta vedova fino a 45 anni) l’astinenza dal sesso e dalla felicità per tutela di una figlia minorenne.
    Voi stesse vi siete indignate all’idea che una madre affidataria possa perdere la casa se vi passa la notte con un altro/altri uomini.
    Quello che io vedo, intorno a me, è però l’aspetto devastante della precarietà dei figli separati continuamente sottoposti ai cambi di fidanzati dei genitori. Avete presente i Cesaroni? Costretti a convivere con estranei non scelti, devono adattarsi a persone che magari detestano e che magari li detestano ( se non violenti o molestatori). Ma se poi, come capita, si affezionano ai nuovi venuti (tipo Cesaroni, appunto), spesso devono subire i traumi di nuovi addii, e ancora e ancora!
    Conosco adolescenti che tra padre e madre han cambiato 4/5 patrigni e matrigne in 10 anni.
    Cosa ne pensi?

    • “una rapporto genitore figlio senza piacere è devastante”: hai perfettamente ragione. E’ per questo che si combattono strenuamente tutti quesgli stereotipi che costringono le persone ad occupare determinati ruoli in base al genere, invece che sulla base delle proprie inclinazioni e vocazioni.
      Oggi, gli studi condotti su famiglie intatte, dimostrano che sono in aumento i casi in cui il caregiver principale è il genitore di sesso maschile, perché sempre più famiglie si distaccano dal modello di “famiglia tradizionale”.
      Per ciò che riguarda l’egoismo, beh… Non credo che sia un problema solo odierno. L’egoismo è sempre stato un problema, nel rapporto genitori-figli. Magari, nei diversi momenti storici, cambia il modo in cui si è egoisti.

    • IDA ha detto:

      Maura, io, mi dovevo chiamare Claudio, poi invece, sorpresa!! Sono nata io.
      Il nonno di mia madre, aveva 5 femmine ed era considerato una disgrazia..

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