La cattiva madre

Proprio stamani leggevo un articolo a proposito di

quel tipo di stereotipo che conferma il più trito maschilismo che risorge dalle barzellette della settimana enigmistica e che impazza nei racconti delle pazienti nelle stanze analitiche… quella complessa costellazione reale e insieme simbolica di quello che nel gergo junghiano noi chiamiamo – la cattiva madre.”

Ci spiega Zauberei che “la cattiva madre”

“è colei la quale castra simbolicamente in figli e figlie le loro possibilità espressive, le loro opportunità emotive, l’oggetto che storicamente inibisce all’espressione di se, usurpando momenti di vita e della psiche che non le spettano…”

Sempre oggi – tu guarda le coincidenze – trovo questo:

zerbino

La storia la conosciamo tutti.

Un uomo affonda ben 5 volte il coltello nel petto della sua bambina di 18 mesi, che giace inerme nella sua culla. Ogni singola coltellata ha raggiunto organi vitali – cuore e polmoni – trapassando il corpicino da parte a parte. La bimba, ci dice il medico legale, è morta dopo pochi istanti.

Ora vi chiedo, se potete, di immedesimarvi nel dolore di una madre che torna a casa e trova la sua bambina senza vita, accoltellata al petto non una, ma 5 volte.

E poi si trova a leggere su Tgcom un’intervista del genere rilasciata dalla madre dell’assassino.

E’ crudele. Questa intervista, a pochi giorni dall’omicidio, è crudele.

L’indifferenza nei confronti del dolore di un’altra madre dimostrata da questa signora, che non esita neanche un attimo ad accusare di un delitto atroce una donna che non ha mai impugnato un’arma contro nessuno,  non può che essere definita crudeltà, e non c’è dolore che possa giustificarla.

Ecco, questa mi sembra una cattiva madre, perché, di fronte al silenzio di una famiglia distrutta dalla sofferenza, si sente in diritto di raccontare all’Italia tutta lo stato d’animo del suo “povero bambino” – che è vivo e vegeto – e di puntare il dito contro una mamma che la sua, di bimba, non potrà riabbracciarla mai più.

Non so se ricordate l’efferato omicidio di Melania Rea. Quando per giustificare le azioni del “povero” Parolisi il Giudice affermò che lei lo umiliava ripetutamente e che aveva nei suoi confronti un rapporto di «sudditanza fisica e morale».

È Melania Rea che è morta, ma nelle motivazioni della sentenza la vittima alla fine è Salvatore Parolisi, scrisse allora Michela Murgia.

Di nuovo ci troviamo a dover leggere la medesima versione dei fatti: il colpevole non è chi impugnava l’arma del delitto, chi ha infierito su una creatura piccola e indifesa.

Colpevole è la donna.

La donna è colpevole in quanto donna, anche se non ha mai torto un capello a nessuno, anche quando è lei a morire.

A tale proposito vorrei citare la recente intervista allo psichiatra Claudio Mencacci, che ci esorta tutti a

non giustificare mai la prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché giustificare in un certo senso è come avallare l’idea che sui più deboli si possa accanire la violenza.

Mi rivolgo ai giornalisti, mi rivolgo a questa cattiva madre, a tutte quelle madri che nascondono figli adulti sotto le loro gonne: la vittima qui è una e una sola, è una bambina di 18 mesi, Alessia, e il responsabile della sua morte è l’uomo che le ha conficcato un coltello nel petto 5 volte. Il responsabile non è un mostro, è un uomo, e in quanto uomo è ora che impari ad assumersi le sue responsabilità.

 

 

Sullo stesso argomento:

Mio figlio è un bravo ragazzo

Vittima

Lacrime di coccodrillo

Siamo sicuri che non è colpa della donna cattiva?

 

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
Questa voce è stata pubblicata in attualità, notizie, riflessioni, società e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

21 risposte a La cattiva madre

  1. Paolo ha detto:

    sono totalmente d’accordo e sulla storia del “non poteva separarsi per dovere”: “il senso del dovere” è una cosa positiva di per sè ma non si può usarlo per giustificare la propria paura di rompere un matrimonio che non vogliamo più

  2. Paolo ha detto:

    e comunque non voglio più sentire cavolate sugli uomini che “non hanno il coraggio di piangere” o che “devono imparare a piangere”..certo che un uomo può piangere ma la bontà d’animo e la sensibilità non centra nulla con la frequenza dei pianti: questo a quanto pare piangeva come una fontana e abbiamo visto cos’ha fatto

    • Paolo ha detto:

      forse (dico forse) è meglio un uomo che piange un po’ di meno e ama un po’ di più e sopratutto si assume qualche responsabilità in più

  3. alessandra ha detto:

    una madre può ben rovinare un figlio, basta evitargli sempre di dover risolvere un problema, fungere per lui da eterna infermiera, serva, avvocatessa, dottore, lavandaia, cuoca; basta provvedere e continuare a provvedere a lui come se fosse sempre bambino, spianargli la strada, sempre e comunque. Ecco come si crea un uomo disadattato, privo di forze, privo di cuore, privo della minima capacità di affrontare una difficoltà o un sacrificio. E quando poi la vita ti fa crescere e ti ritrovi a tua volta con una famiglia… ecco che i normali doveri diventano insopportabili, i normali sacrifici, inaffrontabili… e il problema … va eliminato, non affrontato. La bambina, povero angelo, era un problema. Atroce questa vicenda, atroce la nonna.

  4. Rossella Boriosi ha detto:

    I commenti letti in coda all’articolo comparso sul Corriere della Sera raccontano la stessa storia:
    “Si, vabbè, ma dov’era la mamma della bambina?”
    “Alla fine il padre è la sola vittima” (giuro, è stato scritto)
    Mi rendo conto come questo mio commento sia off topic rispetto al tuo tema, ma è singolare che molte dita siano state puntate contro la mamma della bambina assassinata, a prescindere.. L’uomo l’ha assassinata ma la responsabilità ricade sulla donna.

    • La “vittima”, etimologicamente parlando, era l’essere vivente, animale o uomo, consacrato e immolato alla divinità. La vittima è colui/colei che soccombe o che patisce una sofferenza ingiusta per mano altrui, o a seguito di una sciagura, una calamità. Il termine quindi indica il soggetto passivo di una azione o di un evento, non può riferisi a chi agisce. Che quest’uomo possa soffrire a causa di ciò che ha fatto non è cosa che possa renderlo una “vittima”.

      • Rossella Boriosi ha detto:

        Assolutamente d’accordo, non vorrei essere stata fraintesa.
        Mi stupisce e mi sgomenta leggere come il padre possa essere definito “vittima” mentre, al contempo, si cercano le responsabilità della moglie. A partire dalla suocera.

  5. bibbyxxx ha detto:

    Prevenzione. Psicologi obbligatori sin dalle elementari e parità di genere insegnata sin dalla materna… per tutti. magari migliora qualcosa..

  6. Daniela Pia ha detto:

    Trattasi di madri che cercano di assolvere se stesse accusando altre madri
    . Indecenti le parole e il momento. Che pena infinita.

  7. zauberei ha detto:

    Grazie davvero della citazione, però mo sento di dire, che non avrei usato la mia definizione per questo contesto. Perchè penso che il caso sia diverso, perchè penso che anche scoprire che il proprio figlio ha ucciso le proprie nipoti crei dei bisogni e faccia fare delle cose anche imponderate ma comprensibilmente necessarie a se stesse. E poi penso davvero che la dinamica sia diversa o almeno non ci siano gli estremi per fare delle sovrapposizioni.

    • Senza dubbio il caso è diverso. Né ho difficoltà a comprendere il bisogno di autoassoluzione di una madre che si ritrova a doversi confrontare con un figlio che compie un gesto del genere.
      A “ponderare”, in questo particolare caso, dovrebbero essere – a mio avviso – i giornalisti, che tanto spazio hanno offerto alle crudeli accuse di questa signora.
      E credo che tutti dovremmo interrogarci sul perché ci sentiamo spesso e volentieri tanto indulgenti nei confronti di chi mette sempre e comunque al primo posto i propri “bisogni”, senza tenere in minima considerazione il problema del rispetto degli altri.
      Al fatto di infliggere ad una donna che ha appena perso una bambina in modo atroce l’ulteriore ed inutile sofferenza di trovare diffuse a tutta pagina sulla carta stampata, nel web, e persino in TV simili considerazioni, che giustificazione vogliamo dare? Io non ne trovo nessuna.

  8. Tiziana cecchinelli ha detto:

    Sono perfettamente d accordo. Ho avuto anche io questa sensazione dopo aver visto l intervista. Una madre che dopo un atrocità simile va a giustificare il figlio davanti a milioni di persone per far passare la nuora per quella che maltrattava il figlio. Ma che donna potrà mai essere?? Dovrebbe essere lei ha farsi un esame di coscienza e capire di avere generato un mostro! Non ci sono giustificazioni su chi commette un atto del genere!!!

    • Ecco, io credo che questa donna probabilmente abbia voluto rispondere proprio a questo genere di accuse: nessuno di noi puoi accusarla di “aver generato un mostro”. Intanto perché parliamo di un uomo, non di un mostro. Poi perché i figli si fanno e si crescono in due, non c’è solo la “madre” in una famiglia, e i figli sono influenzati tanto dal contesto sociale quanto da quello familiare. Non ho mai inteso accusare questa donna di essere responsabile della morte della bambina.
      Dovremmo tutti imparare che la responsabilità di un atto violento ricade su chi lo ha compiuto: non sulla madre, non sulla moglie, non sulla suocera o qualsiasi altro parente.
      Sono fin troppi gli esseri umani che ogni giorno ci dimostrano di quali atrocità è capace la nostra specie, e gridare al “mostro” ci porta a dimenticare che il male è molto più banale di quanto ci piace ammettere.

      • Paolo Scatolini ha detto:

        il modo in cui i genitori ci crescono può avere una influenza ma una volta cresciuti siamo responsabili dei nostri atti nel bene e nel male

      • bibbyxxx ha detto:

        perché allora il nonno ovvero il padre dell’assasino dove era..

  9. “Disegno di Dio”, “precetto di nostro Signore”, “Dio nostro Signore”. E poi una frase, l’unica, detta a un medico del reparto psichiatria in cui è ricoverato: “Una voce mi ha detto di uccidere mia figlia Alessia”. Nella decina di fogli manoscritti sequestrati dai carabinieri, Luca Giustini, il ferroviere di 34 anni che ha assassinato la figlioletta di 18 mesi con cinque coltellate a Collemarino (Ancona), aveva scritto frasi confuse, a tratti incomprensibili, in cui però si ripetono ossessivamente richiami mistici al “progetto di Dio venuto tra noi”, del “Signore” che avrebbe guidato le sue azioni. E’ quanto emerge dall’inchiesta condotta dalla procura di Ancona.
    Giovedì mattina si terrà nel reparto di psichiatria, dove l’uomo si trova ancora ricoverato, l’udienza di convalida dell’arresto davanti al Gup Carlo Cimini. Giustini, muto con gli inquirenti e con il suo legale, ha invece detto ai medici della Psichiatria, dove viene tenuto sotto terapia farmacologica, di aver sentito una voce che gli diceva di uccidere la figlia. Ha anche parlato di una banale caduta di qualche giorno fa in cui la bimba si era ferita in modo lieve alla nuca. Un episodio che potrebbe aver scatenato nell’uomo l’infondata paura di danni permanenti alla piccina e, da qui, l’impeto delirante di salvarla dal male. Poche ore prima dell’omicidio, era andato a trovare la madre, aveva pianto e aveva chiesto di pregare anche insieme all’anziana nonna. Tra gli ultimi ‘mi piace’ sul suo profilo di Facebook, Giustini ne aveva assegnato uno a un esperto in psicografia, la scrittura sotto la guida di uno spirito: una conferma che il ferroviere da qualche tempo coltivava questo interesse e forse nella sua mente qualcosa iniziava a non funzionare. Sono elementi che dovranno essere esaminati da uno psichiatra.
    Fonte:
    http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/luca-giustini-disegno-di-dio-una-voce-mi-ha-detto-di-uccidere-alessia-1952582/

    • Il rasoio di Occam ha detto:

      Se sarà confermato, mi viene da pensare che la madre dell’assassino si sia scagliata contro la nuora anche per non ammettere che il figlio avesse una malattia mentale, cosa che non poteva non aver notato. C’è molta gente che davanti alla malattia fa finta di niente, un po’ per vigliaccheria un po’ per lo stigma diffuso che ricade sia sui malati che sui familiari; da una parte c’è la vergogna di avere un figlio ‘difettoso’, dall’altra c’è ancora chi pretende che qualsiasi disturbo mentale dei figli sia imputabile ai genitori. Questo non per giustificarla, sia chiaro.

      In ogni caso, penso sia inutile aspettarsi le scuse dei giornalisti che hanno contribuito con tanto zelo a diffamare la madre della vittima, giusto?

  10. Pingback: Stragi in famiglia: perché non chiamarli Killer? – Un altro genere di comunicazione

Scrivi una risposta a Daniela Pia Cancella risposta