Quando si parla di surrogacy – utero in affitto o gestazione per altri che dir si voglia – in Italia si pensa subito ad Elton John.
Sarà colpa di Adinolfi o di Dolce e Gabbana, non lo so, ma certo sembra che tutti ignorino che la lista di celebrità che si è riprodotta grazie alla surrogacy è composta da un gran numero di coppie eterosessuali.
E’ grazie alla surrogacy che Robert De Niro e sua moglie Grace Hightower, nel 2011, hanno avuto la piccola Helen Grace (la seconda della coppia e la sesta per Robert), così come Nicole Kidman e Keith Urban hanno scelto la surrogacy per concepire la loro seconda figlia (la quarta per Nicole, che già aveva adottato due bambini col primo marito Tom Cruise); sono frutto della surrogacy i due figli di Elisabeth Banks e del il marito Max Handelman (lei è in questo periodo al cinema nel ruolo di Effie Trinket, la variopinta accompagnatrice dei tributi del distretto 12 nella saga Hunger Games), quelli di Dennis Quaid e sua moglie, di George Lucas e sua moglie, e di molti altri ancora.
Pure, quando i difensori della famiglia tradizionale salgono sul pulpito per gridare i loro slogan omofobi e arriva il momento di giocare la carta dell’utero in affitto, si scordano sempre di citare tutte queste illustri coppie eterosessuali.
Secondo una ricerca condotta dalla University of Huddersfield Repository, che ha analizzato sia i dati provenienti da organizzazioni che si occupano di surrogacy che quelli forniti dal governo della Gran Bretagna, risulta che la maggioranza di coloro che ricorrono alla surrogacy sono coppie eterossuali.
Non sono riuscita a reperire altri studi incentrati sull’orientamento sessuale dei richiedenti la surrogacy, ma da uno studio australiano risultano queste percentuali:
dalle quali si evince che la maternità surrogata non è uno strumento usato prevalentemente dalle coppie dello stesso sesso.
Se si considera poi che l’India, una delle mete privilegiate per le coppie che cercano madri surrogate a prezzi convenienti, ha dichiarato la surrogacy illegale per le coppie gay, per i genitori single e per le coppie sposate da meno di due anni nel 2013, direi che abbiamo abbastanza elementi per giungere alla medesima conclusione espressa da Chiara Saraceno in un articolo di qualche tempo fa:
Fare, come sta succedendo in Italia, della condanna all’utero in affitto l’arma principale per opporsi al riconoscimento delle unioni civili è quindi un pretesto per opporsi non solo a qualsiasi riconoscimento della capacità e responsabilità genitoriale delle persone omosessuali, comunque si trovino ad avere figli, ma anche della loro dignità di coppia tout court. Così come non verrebbe in mente di proibire il matrimonio a due persone di sesso diverso a motivo della sterilità di una o entrambe, non verrebbe neppure in mente di proibire il matrimonio a due persone di sesso diverso solo perché potrebbero ricorrere all’utero in affitto per soddisfare il proprio desiderio di avere un figlio.
Altrettanto pretestuoso, però, è troncare ogni discussione sulla maternità surrogata accusando l’interlocutore di omofobia, così come fa Lez Pop in un articolo intitolato “Quando il femminismo diventa omofobo. Il no delle femministe alla gestazione per altri“.
Omofobo, e anche indiscutibilimente ipocrita, è un Mario Adinolfi che si preoccupa delle madri sfruttate da Elton John e finge di non vedere tutte le famiglie tradizionali che usano gli stessi mezzi della pop star inglese, ma certo non lo sono quelle donne che cercano di spostare l’attenzione da chi ritiene che avere un figlio biologico sia un diritto che la scienza è tenuta a garantire (e sono persone sia eterosessuali che omosessuali) a quelle donne che vengono usate come corpi da riproduzione, nell’illusione che una donna e il suo corpo possano essere scisse senza che questo abbia alcuna conseguenza sulla sua integrità, sul suo benessere e sullo status di tutte le donne nella società.
Sono aperta al dibattito sulla questione surrogacy, ma che sia un dibattito onesto. Sono da sempre favorevole all’adozione da parte di persone omosessuali, in pieno accordo con quanto espresso tempo fa dall’Associazione Italiana di Psicologia:
L’Associazione Italiana di Psicologia ricorda che le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale […]. Infatti i risultati delle ricerche psicologiche hanno da tempo documentato come il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno.
Io per prima mi sono scandalizzata di fronte alla proposta di chi pretendeva di sottrarre i figli a quei genitori che ad un certo punto della vita intraprendono una relazione sentimentale con persone dello stesso sesso.
Ma la surrogacy non è un tema che riguarda la genitorialità delle persone omosessuali, o meglio, non solo: riguarda tutti, riguarda il concetto stesso di genitorialità, ma soprattutto riguarda le donne e i loro corpi.
Sullo stesso tema:
Caro Ricciocorno, colgo la tua apertura al dibattito e riporto alcune considerazioni che scrissi in un articolo di qualche tempo fa:
“Ma il punto è che se il problema di una determinata pratica è il timore che possa portare a sfruttare economicamente degli esseri umani, la questione non si risolve vietando la pratica, ma regolamentandola in modo da evitare la possibilità di sfruttamento.
Il fatto che personalmente non ci si offrirebbe mai come madre surrogata non significa che non possano esserci persone che acconsentirebbero liberamente a farlo. Sarebbe bello che se ne potesse discutere tenendo in considerazione anche l’esistenza di chi, che ci piaccia o no, la pensa diversamente da noi.”
https://lalucechefiltradaglialberi.wordpress.com/2015/03/17/maternita-surrogata-e-altre-questioni/
E consiglio un bell’articolo di Chiara Lalli, come utile contributo alla discussione:
“”La presunzione di parlare in nome di tutte le donne è pericolosa e miope. E la volontà di difendere le persone dalle loro stesse scelte è paternalistica e anche un po’ ridicola. La condanna della scelta di portare avanti la gravidanza per qualcun altro sembra alimentarsi anche di convinzioni stereotipate secondo cui le donne sono fragili e materne, e non possono che volersi tenere quella creatura che per nove mesi hanno tenuto nel proprio utero. Non possono che seguire strade predisegnate.
Ovvero, l’utero è mio ma decidi tu cosa devo farne.”
http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/11/10/maternita-surrogata-donne
Non tutti i problemi che la maternità surrogata solleva sono collegati all’aspetto economico.
L’Huffington Post, in un recente articolo (http://www.huffingtonpost.it/paola-tavella/surrogacy-incredibile-laccusa-di-omofobia-contro-monica-ricci-sargentini_b_8664584.html?utm_hp_ref=italy) cita il caso di Patidta Kusolsang.
La legge thailandese, riconosce la donna che partorisce il bambino come la madre del bambino, e coloro che fanno richiesta di parentela non hanno diritti automatici sul bambino (fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Thailandia,-madre-surrogata-rifiuta-di-affidare-la-figlia-ad-una-coppia-omosessuale-34868.html)
La piccola Carmen è il frutto di un ovulo donato, ma ciò non toglie che nove mesi di gravidanza siano una circostanza che possa aver creato per la donna un legame tale da farle considerare il distacco dalla bambina una crudeltà (“I miss her every day,” Kusolsang said. “You see how cruel the world today.” fonte: http://edition.cnn.com/2015/07/22/asia/thailand-surrogacy-gay-couple/)
Non esito neanche a credere che sia altrettanto profondo e sincero il dolore di quelli che pensavano di diventare i genitori della bambina: “Siamo stati qui sei mesi e la nostra vita ora è distrutta”, fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Thailandia,-madre-surrogata-rifiuta-di-affidare-la-figlia-ad-una-coppia-omosessuale-34868.html
Il dolore di chi dovrebbe lenire la decisione di un Tribunale? Chi merita di essere lasciato nella sofferenza? E che genere di affetto sta ricevendo questa bambina, che vive i suoi primi mesi di vita circondata da un conflitto del genere?
Mi sembra un dejavu del dibattito sulla prostituzione. Stesso uso fuorviante di slogan sulla “scelta” ( ma se è libera perché c’è un mercato?), stesso ostinato focalizzarsi sulla (insignificante) offerta, e non sulla domanda che alimenta il mercato, come se inspiegabilmente, al di fuori di ogni contesto sociale o rapporto di potere, le donne provassero l’insopprimibile desiderio di mettere i loro corpi a disposizione degli altri (Mi immagino queste donne che si svegliano con questa voglia disperata e inseguono le povere coppie sterili per strada “Voglio darvi un bambinooo! Che vuol che dire non lo volete???”). Ma perché? Perché le donne sono naturalmente portate al sacrificio e all’abnegazione? Ma non è molto più sessista questa fantasia? Non ci si può chiedere come femministe di liquidare l’elefante nella stanza – le questioni di genere, di classe, di razza – con un “fatti i cazzi tuoi, è una scelta privata”.
Poi non ho veramente capito il commento di Chiara Lalli. Sembra suggerire che legare con il bambino che hai portato in grembo è sintomo di fragilità. Ho capito bene? “Mica siamo tutte fragiline che non vogliamo dare via i bambini”?? Per carità, io non sono neanche madre, non credo la maternità sia un destino ineluttabile, ma…. C’è una tendenza a voler persuadere le donne che la capacità di scindersi dal proprio corpo e dalle proprie emozioni è segno di liberazione. Di nuovo, mi ricorda le pro-prostituzione dove se non reggi l’abuso sessuale sei fragilina e non adatta al mondo ‘glamour’ del sex work.
Guarda, a proposito di “donne fragili”: https://antipornfeminists.wordpress.com/2015/11/24/whatever-a-mother-does-it-will-be-wrong/
Secondo H, lui e il suo compagno avevano stipulato un contratto con S, che aveva accettato di essere madre surrogata e affidare loro il bambino una volta nato. Secondo S, lei e H – amici da 25 anni – si erano accordati per diventare entrambi genitori, avrebbero dovuto crescere il bambino insieme, come due genitori eterosessuali che hanno un bambino e poi si separano.
Il caso alla fine arriva in tribunale quando il bambino ha 15 mesi di età.
Il Giudice stabilisce che lei stia mentendo sulla base di “The way she looked at me, the way she spoke with me… and then the way she looked at [H and his partner], spoke with them.” (???) e “On the balance of probabilities…”
Siccome la donna viene valutata “iperemotiva e molto coinvolta nella vita del bambino”, visto che lo allattava ancora, lo portava ancora in braccio, e non aveva ancora stabilito una data per tornare al lavoro, il giudice stabilisce che il bambino venga immediatamente collocato presso il padre.
Ecco un esempio di “donna fragile”, troppo legata al figlio. Motivo per il quale le viene strappato. Le prove? Era “probabile” che avesse stipulato un accordo privato di surrogacy, più probabile del fatto che avesse deciso di avere un figlio insieme ad un amico e al suo compagno, concordando di collaborare alla sua crescita.
non credo che Chiara Lalli volesse disprezzare chi ha questa “fragilità” (ammesso che si tratti di fragilità) ma diceva di non presumere che tutte le donne ce l’abbiano.
Premetto che sull’utero in affitto sono in larga misura d’accordo con voi.
“La condanna della scelta di portare avanti la gravidanza per qualcun altro sembra alimentarsi anche di convinzioni stereotipate secondo cui le donne sono fragili e materne, e non possono che volersi tenere quella creatura che per nove mesi hanno tenuto nel proprio utero”
Io leggo: ci sono convinzioni stereotipate sulle donne che le dipingono tutte fragili (quindi incapaci di decidere per loro stesse o se lo fanno non sono in grado di percepire il peso della scelta fatta) e materne (come se davvero la maternità fosse un istinto uguale per tutte e non un amore che, come tale, si può sviluppare i maniere molto differenti e anche non svilupparsi) e la conclusione di queste visioni stereotipate è che nessuna donna possa volersi separare dalla creatura che ha tenuto in grembo per nove mesi.
Cito ancora un volta Chiara Lalli in un articolo di oggi sul fatto che si sta facendo molta “confusione tra una delle possibili modalità di surrogacy (abuso di donne prive di mezzi) e la surrogacy in assoluto”.
http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/12/04/femministe-maternita-surrogata
Non si tratta di classificare come libera chi sa scindere corpo e emozioni e assoggettate tutte le altre, si tratta solo di riconoscere una vastità in cui c’è spazio per tutte: materne, non materne, chi vive il sesso (anche) come una ginnastica e chi invece lo considera qualcosa di profondamente intimo e sacro, donne che vivono in maniera differente il rapporto col proprio corpo.
In linea teorica il discorso è molto bello, ma incompleto.
La realtà odierna ci mostra un mondo in cui le donne “che vivono in maniera differente il rapporto col proprio corpo” sono troppo poche rispetto alla domanda di bambini su commissione, motivo per il quale si è creata un’industria fondata sullo sfruttamento delle zone più povere del mondo.
Oggi l’India si trova ad affrontare problemi seri: donne indigenti, analfabete, reclutate nelle zone rurali da profittatori senza scrupoli, che finiscono nelle maglie di un sistema che le incanta coi soldi poi le abbandona al loro destino una volta partorito. Per non parlare delle donne costrette: http://www.hindustantimes.com/india/trafficked-tribal-girls-forced-to-conceive-deliver-babies-for-sale/story-KEbZAB2au7Gyw9aspupTEI.html
Che ci dicono i sostenitori italiani della surrogacy di queste situazioni? Nulla. Qual è la soluzione che propongono? Nessuna. Scrive Lez Pop: “È vero, tanti – etero e gay – si rivolgono a quei paesi dove la leva per le gestanti è la povertà”, e liquida così la questione, in una frasetta che neanche si preoccupa di biasimare chi fa questa scelta.
Qual è la soluzione che propongono ai casi controversi che ho descritto nei miei commenti precedenti? Nessuna. Si limitano ad ignorarli, fingendo che la maggior parte delle persone coinvolte nella surrogacy siano donne “che vivono in maniera differente il rapporto col proprio corpo”. Ma è così?
Dell’articolo di Chiara Lalli non comprendo questo passo: “Suggerire poi, come riportato nello stesso post, che l’adozione sarebbe un’alternativa è come dire a uno che vuole un gelato: Ma non vuoi forse mangiare questa pizza con tonno e cipolle?”. Un figlio è un figlio, che tu l’abbia adottato oppure concepito. In che senso un figlio che porta il tuo DNA sarebbe un gelato e un figlio amato, altrettanto desiderato, ma portatore di un diverso patrimonio genetico, sarebbe una pizza con tonno e cipolle? Questa è una pessima argomentazione, che oltre tutto paragona l’amore di un genitore per il figlio al desiderio di mangiare qualcosa di sfizioso: figli biologici e figli adottivi hanno un diverso “sapore”? Onestamente, sono basita.
Questa metafora del figlio-cibo mi inquieta parecchio. Il cibo è qualcosa che noi consumiamo e che ci sostenta. Un figlio è qualcuno che nutriamo e che supportiamo nel suo percorso di crescita verso l’autonomia. Sono sempre più convinta che occorra una riflessione molto più approfondita sulla genitorialità, che si sposti oltre l’enunciazione del mero desiderio…
Chiara Lalli ha ragione su molti punti, ha ragione quando dice “Passare da “io non lo farei” a “nessuno dovrebbe farlo” non è un ottimo argomento.”, ha ragione sul fatto che non possiamo vietare a tutti qualcosa solo perchè noi non la faremmo o non ci piace, non possiamo vietare qualcosa neanche se è oggettivamente dannoso: il junk food e l’alcool fanno male ma vietarli sarebbe illiberale, certo ci sono delle campagne d’informazione sanitaria e delle leggi, si invita la gente a non bere prima di mettersi alla guida ma non è vietato bere e non deve esserlo.
il fatto è che non sono sicuro che mangiare junk food o laurearsi sia uguale a portare in grembo un futuro essere umano (e lo dico da favorevole al diritto di abortire e da uno che ha votato sì al referendum sulla procreazione assistita e li rivoterebbe)
poi la maternità come la paternità non è un istituto, è semplicemente che ci sono donne che sono madri e uomini che sono padri
Credo che una donna e un uomo siano liberissimi di vivere il sesso come ginnastica ma io e altri non vogliamo sentirci bigotti se vediamo il sesso come espressione meravigliosa della passione erotica e quando c’è del sentimento e della passione d’amore
In ogni caso l’utero in affitto è illegale in Italia, forse SNOQ dovrebbe fare appelli su altri argomenti
credo che la Lalli abbia ragione anche quando parla del vizio di certe femministe di ritenere le donne “vittime” sempre e “non libere” quando fanno certe cose..insomma c’è una parte de femminismo che ritiene schiava del patriarcato una donna semplicemente perchè si depila le gambe per estetica o fa sesso orale al suo amante..e questo è un atteggiamento sbagliato. Ma appunto l’utero in affitto è altra faccenda.
La Lalli ne fa una questione di “cervello” (“E se quella donna non è solo un corpo, sarà pure un cervello con la possibilità di decidere cosa fare del proprio corpo senza che nessuno si permetta di dare consigli non richiesti.”), ma il cervello c’entra poco o nulla in questa questione.
Intanto, se è vero che ognuno di noi è libero di fare una determinata scelta, tutti gli altri sono altrettanto liberi di commentarla, quella scelta, non si tratta di “feroce e infido paternalismo” o di un affermare che le donne sono “sciocche per decidere da sole”: si discute di una questione sulla quale molti paesi nel mondo in questo momento stanno deliberando decisioni importanti, e sarebbe maturo discuterne senza insultarsi a vicenda.
Poi, tornando al cervello: è di questi giorni la notizia che le donne italiane sarebbero “Portatrici sane di stereotipi” (fonte: http://www.huffingtonpost.it/2015/11/27/italia-sessiste-uomini_n_8664374.html).
Questi stereotipi, che le donne hanno inculcati sin dalla prima infanzia (come ci ha raccontato un classico della letteratura femminista, “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti), hanno un ruolo nelle decisioni che le donne prendono liberamente?
E’ di questo che discute il femminismo, non della quantità di materia grigia che ciascuna di noi si porta appresso, la quale certo, ha anch’essa un ruolo nelle decisioni che prendiamo, ma non è oggetto di dibattito, non lo è mai stata.
uscendo dalla questione della gpa e parlando in generale io credo che sopratutto oggi uomini e donne occidentali (ma non solo) sono quello che sono perchè lo vogliono e non perchè condizionati inconsapevolmente dal Dark Lord Stereotypus che le spinge a fare cose che detestano e sì uomini e donne adulti devono poter decidere liberamente su se stessi e sulla loro vita anche quando le loro decisioni ci sembrano sbagliate o stereotipate secondo la nostra scala di valori
è un po’ come col junk food: è giusto dire che fa male alla salute ma se poi la gente decide lo stesso di andare da Burger King deve poterlo fare
oppure altro esempio: secondo la mia (non solo mia) personale idea di emancipazione una donna atea di mentalità progressista e che va in spiaggia in topless è più libera di una cattolica iper-devota che va in spiaggia in costume intero e molto più libera di una musulmana iper-osservante che in spiaggia non ci va proprio o se ci va ci va con uno scafandro ma non posso obbligare la cattolica devota e la musulmana ad andare al mare in topless non sarebbe giusto, loro mi dicono che si sentono libere e felici così e io devo rispettarle anche se la mia idea di libertà è un’altra (ovviamente mi aspetto che la cattolica e la musulmana rispettino la signora atea in topless cosa che non sempre avviene ma è un altro discorso)
Ma chi parla di obbligare qualcuno a fare qualcosa?
Uscendo dal tema della maternità surrogata, proviamo a vedere come sono affrontati determinati argomenti.
Le donne che sostengono di affermare la loro libertà contravvenendo agli standard diffusi:
http://www.girlpower.it/mondo/intornoanoi/la-depilazione-e-antifemminista.php?fb_ref=Default%2C%40Total
Emer O’Toole si è convinta che depilarsi sia “un modo di conformarci a norme artificiali di genere”. Allora cosa decide di fare? Di andare in giro ad insultare tutte quelle che si depilano? Certo che no. Decide per sé, per il suo corpo, e sceglie di non depilarsi, poi va in giro e senza vergogna mostra il suo corpo non depilato. La gente reagisce (come la giornalista che scrive questo articolo) e dice: “Posso quasi sopportare i peli sulle gambe, ma quelli sotto le ascelle li trovo particolarmente sgradevoli alla vista, sarà perchè è davvero difficile vedere in giro una donna con così tanti peli”. Ma Emer se ne frega, e vive felice coi suoi peli.
Anche Paloma Goñi, blogger spagnola, non si depila, e perché? “Affinché tutte le donne possano scegliere liberamente se eliminare i peli superflui o lasciarli dove sono.”
Ecco la sua dichiarazione di intenti: “Penso che noi donne dobbiamo tornare a poter scegliere se volerci depilare o meno senza aver bisogno di passare per una rivoluzione”. http://www.repubblica.it/persone/2013/07/05/foto/la_femminilit_passa_per_la_depilazione_c_chi_dice_no-62449385/1/#1
Il femminismo si batte per dare alle donne una scelta, mostrando loro che esiste un mondo di possibilità al di fuori di quelle che la società ci propone come la via maestra. E’ per questo che si sforza ogni volta di aprire un dibattito su tutto: non per prescrivere, ma per offrire una gamma più vasta di letture del medesimo fenomeno.
Senza dibattito non c’è evoluzione del pensiero, tutto rimane fermo. Dovremmo reimparare ad accettare la critica come opportunità di cambiamento, invece di catalogarla a priori come strumento di distruzione.
Io posso dire per esperienza personale che anche le critiche più distruttive che mi sono state rivolte sono state uno stimolo alla riflessione, all’approfondimento e al cambiamento.
“Io posso dire per esperienza personale che anche le critiche più distruttive che mi sono state rivolte sono state uno stimolo alla riflessione, all’approfondimento e al cambiamento.”
vuoi dire che posso fare “critiche distruttive” alle persone affette da obesità grave o anche a quelle talmente scheletriche ed emaciate da sembrare reduci di Buchenwald? Posso dir loro cose come “Ma non vedi in che stato pietoso sei ridotto/a? Fai schifo a vederti! Pensa alla tua salute o finirai al cimitero!”
posso rivolgermi con gli stessi toni ai fumatori? Te lo chiedo perchè mi sembra che questo blog avesse detto che tali “critiche distruttive” non servono a nulla in questi casi anzi peggiorano le cose..hai cambiato idea? Sarei curioso di avere un elenco di situazioni in cui le critiche distruttive possono aiutare qualcuno (anche al di là delle intenzioni di chi le fa) e altri csi in cui è meglio evitarle
quanto alla depilazione, trovo questi “esperimenti sociali” legittimi ma sommamente discutibili o “criticabili” (poi se sono felici così buon per loro, ma le donne depilate e felici sono libere quanto loro), personalmente non vado in giro a contare quanti peli hanno sulle gambe le donne (a meno che per problemi ormonali non abbiano gambe pelose quanto o più delle mie ma è raro), dico solo che una persona maschio e femmina che si depila le gambe e/o le ascelle anche solo per estetica è libera e autentica come ogni altra, tutti chi più chi meno ci curiamo del nostro aspetto estetico per noi stessi e per il prossimo, tutti abbiamo dei gusti estetici, fa parte della nostra libertà. Oggi anche molti uomini si depilano e nessuno mette in dubbio la loro libertà interiore,lo stesso deve valere per le donne
Poi c’è a chi piace l’ascella pelosa e a chi non piace (per me è indifferente, voglio dire: anche se belen rodriguez non si depilasse le ascelle sarebbe sempre belen rodriguez)..sono gusti legittimi, a prescindere da quanto sono statisticamente frequenti
Quelle non sono critiche, ma offese. “Fai schifo” non è una critica. Forse non ci intendiamo sui termini…
volevo capire il confine tra una critica “distruttiva” e una offesa..mi sembra un confine labile
Sicuramente lo è, in determinate circostanze. Ma senza contesto, è veramente difficile renderlo evidente, quel confine. Sono dell’idea che il contesto abbia una grande influenza sul significato di ciò che diciamo.
Un caso come questo http://www.salon.com/2013/10/02/my_embarrassing_picture_went_viral/
io lo descriverei come offese gratuite e crudeli, ad esempio.
concordo sul caso specifico
Grazie per il chiarimento, ma io continuo a pensare che il passo sia ambiguo. Non capisco quel “fragili e materne”, e di nuovo, cosa c’entra la fragilità con i sentimenti di maternità, che collegamento c’è? Non vedo lo stereotipo delle donne fragili cosa ha a che vedere con la supposizione che una donna si affezioni a un bambino, che è più la regola che l’eccezione. Tra l’altro, l’attaccamento al bambino è frutto anche di processi fisiologici che si mettono in moto con la gravidanza. Non è solo una questione di carattere. Io non ho sentimenti particolarmente materni, ma riconosco che non posso prevedere come mi sentirei quando mi si mettesse in braccio un bambino che ho partorito. Il senso di maternità che non hai prima, può venirti dopo. E in quel caso? Hai firmato un contratto, quindi dallo via e stai zitta? Il caso illustrato dal Ricciocorno è emblematico: quando l’interesse della donna è entrato in contrasto con quello degli uomini, è andata a finire nel modo più prevedibile; quando sorge un conflitto, la scelta delle donne è tenuta in conto esattamente zero. Figuriamoci cosa accadrebbe in Italia dove vediamo tutti come la legge è interpretata creativamente contro le madri.
Poi purtroppo rimane questo fatto disonesto e scorretto di presentare le argomentazioni anti-surrogacy come “condanna della scelta” di chi porta avanti la gravidanza, mentre che io sappia nessuna ha mai espresso la questione in questi termini. Sarebbe più onesto dire chi è che si vuole tutelare, ovvero le coppie benestanti che vogliono avere figli con questo metodo; non è che affittare un organo del proprio corpo risponda a un bisogno personale delle donne, si tratta di sempre e solo di rispondere a una domanda altrui. Come nella prostituzione, si vuol far passare per femminismo quella che è essenzialmente la protezione di gruppi privilegiati e di interessi economici; in realtà l’interesse delle donne è l’ultima delle preoccupazioni in tutti questi discorsi. Ci si assicura solo che esistano donne disponibili a fornire il servizio, che tutto sia formalmente “legale”, e si vorrebbe che la questione finisse qui. Ma quando andiamo a vedere l’interesse delle donne come gruppo sociale, non è né promosso né tutelato da cose come la prostituzione o la surrogacy, anzi. Un eventuale impatto positivo rimane molto opinabile; inoltre si ridurrebbe a pochissime donne, mentre quello negativo sulle classi più vulnerabili è già una realtà mentre parliamo. Io dalle femministe mi aspetto che prendano in considerazione queste cose: poi si possono proporre soluzioni diverse, una non deve essere per forza per bandirla totalmente, ma non posso accettare che tutte queste argomentazioni siano cancellate con un “sei contro la libertà di scelta”.
Una volta era normale dire che le leggi devono tutelare chi è più esposto a ingiustizie (non più “fragile”), oggi se lo dici sembra che sei animata dall’odio per la libertà.
PS. Tra parentesi, mi ricordo che quando fu approvata la terribile legge sulla fertilità assistita – che puniva veramente le donne – c’è stata un’apatia totale, ora su questa che è una pratica, penso, ancora più di nicchia, tutta questa mobilitazione colpisce molto. Mi domando perchè questa differenza.
Grazie per aver espresso quello che penso da tempo: “Una volta era normale dire che le leggi devono tutelare chi è più esposto a ingiustizie (non più “fragile”), oggi se lo dici sembra che sei animata dall’odio per la libertà.”
Se esprimi la tua preoccupazione per le donne più vulnerabili, quelle vittime non solo della discriminazione di genere ma anche dell’estrema povertà, ti trasformi immediatamente in una “moralista catto-fascista liberticida”… Ribadendo proprio quello che sosteneva Kenneth Roth di Human Right Watch a proposito della prostituzione: https://twitter.com/kenroth/status/630677061858930688 Perché negare alle donne la possibilità di sopravvivere vendendo il loro corpo?
Nessuno vuole negare alle donne la possibilità di fare fronte alle difficoltà economiche: ma cosa comporta lo stabilire per legge che il corpo di una persona è anche una risorsa economica? Accadrà forse che quelle persone che non accettano di usare il proprio corpo per uscire dalla povertà saranno biasimate per questa scelta e lasciate quindi al loro destino? Si dirà che le donne troppo “fragili” e deboli, quelle che non vogliono partorire bambini da “donare” alle coppie ricche, siccome si rifiutano di investire il “patrimonio” in loro possesso, sono “choosy” e meritano di rimanere in uno stato di indigenza?
Ecco. Tutti e tutte ci stanno convincendo della bellezza di praticare quelle stesse libertà che il patriarcato ci ha sempre accordato con entusiasmo: prestare servigi sessuali a richiesta e figliare a richiesta. A posto così.
Riccio, io condivido in parte le argomentazioni di chiara lalli ma a volte fa dei paragoni che mi lasciano perplesso, in effetti
Questo mi lascia davvero tanto, tanto perplessa. Mi fa pensare a Crono che divora i suoi figli…
Ciao, mi interesserebbe molto conoscere il tuo parere su questa intervista:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/ho-messo-al-mondo-i-loro-tre-figli-e-ora-ci-sentiamo-una-famiglia/
Ciao,
Monica S.
Non si può avere un “parere” su un’esperienza personale. Quando una persona ti racconta la sua vita, che opinione vuoi esprimere?
L’unica opinione la posso esprimere nei confronti di chi sceglie chi e quando intervistare. In questi giorni di grande polemica (una polemica che – lo ribadisco – io considero impostata male, perché ddl Cirinnà bis sulle unioni civili nulla ha a che fare con la maternità surrogata) si è sentita solo una voce: quella di chi si dichiara disponibile a donare e donarsi (una parola usata impropriamente, soprattutto in questo caso, perché il “dono” implica che non si riceva nulla in cambio, men che meno una somma di denaro).
Nessuno ha pensato di dare un po’ di spazio ad altre donne, quelle come Pattaramon Chanbua (fonte: http://www.corriere.it/esteri/14_agosto_04/neonato-down-separato-gemello-madre-surrogata-rifiutato-303d06ba-1bd5-11e4-91c9-c777f3f2edee.shtml), che dice: «Vorrei dire a tutte le donne tailandesi di non entrare nel giro delle madri surrogate. Di non pensare solo ai soldi. Perché se qualcosa va storto, nessuno vi aiuterà e il bambino sarà abbandonato».
Si dipingono gli Stati Uniti o il Canada come luoghi dove nulla può andare storto, dove l’industria degli uteri in affitto non miete vittime, ma questo non è vero.
E’ stato girato un documentario sull’argomento, per mettere in luce le problematiche che questo tipo di transazione commerciale comporta: http://breeders.cbc-network.org/ Un documentario che vuole portare all’attenzione del pubblico il lato oscuro della maternità surrogata, ovvero tutti quei casi in cui la madre surrogata confessa di aver pagato un prezzo molto alto in termini di salute fisica, psicologica ed emotiva, a causa della sua scelta di “donare”. Ci sono situazioni che una legge non può risolvere, perché, per quanto non ci piaccia ammetterlo, non tutte le circostanze della vita dipendono dalle nostre scelte. Questo, chi pensa che la gravidanza sia sempre e comunque una passeggiata, dovrebbe metterlo in conto. Ci sono rischi imponderabili i quali, quando inaspettatamente si presentano, comportano una mole di dolore tale che ci dice che, forse, “il gioco non vale la candela”.
Grazie tante.
Io non penso che sia una cosa che vada giocata tanto sul “gay o no gay”, e lo dico da bisessuale. Non ha a che fare con l’orientamento sessuale né lo stare con una persona con il tuo stesso genere o meno, riguarda le donne.
Sono contro la maternità surrogata perché… beh, è inutile. Non capisco il senso di fare tutto ciò quando la cosa più ovvia e logica sarebbe adottare. Non arrivo neanche all’argomento povertà, non povertà, sfruttamento economico o meno. Mi fermo prima, forse sbagliando, ma non vedo un reale fine in questo. Non giudico chi ha utilizzato questo metodo, non mi interessa. Ma non capisco perlopiù-
Forse sono un po’ di parte perché(se proprio mi venisse l’idea, per ora sono childfree) a me piacerebbe adottare piuttosto che fare un figlio mio, indifferentemente dal genere della persona con cui sto. Forse la penso così perché ho paura della gravidanza e mal sopporto di avere un utero, preferirei che non ci fosse.
Però continuo a dubitare di questa pratica.
Grazie Lynnet, un po’ di buon senso, per cui approfitto dell’ospitalità per linkarmi https://noteinappunto.wordpress.com/corpi-di-servizio/
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Difatti a quelli che mi accusano di essere omofoba ogni volta che dico di essere contro l’utero in affitto e la fecondazione eterologa, rispondo sempre snocciolando i vari etero che usano queste pratiche. Ma adesso pare che l’accusa di omofobia vada di moda: le altre due sul podio sono “islamofobia” o “hai votato Berlusconi”….
GLI PSICOLOGI E GLI PSICHIATRI PRATICANO FILOSOFIA NON SCIENZA, CONOSCO BENE QUESTO AMBIENTE ,MOLTO INTIMAMENTE, ,NON MI FIDO DEL LORO GIUDIZIO…
BASTA COL PENSIERO UNICO
VOGLIO AVERE LA POSSIBILITA’ DI RAGIONARE COL MIO CERVELLO,
IO PENSO CHE LA FIGURA FEMMINILE, IL CORPO FEMMINILE SONO INDISPENSABILI PER UN NEONATO , HO LE MIE RAGIONI PER AFFERMARLO E HO IL DIRITTO DI AFFERMARLO,
VIVIAMO IN UNA DITTATURA? VIVETE COME VOLETE , IO VIVO COME DESIDERO…
in effetti senza un corpo femminile è impossibile venire al mondo per un bambino, e un uomo certo non può allattare al seno (ma hanno inventato latte artificiale e biberon).
A parte questo che nessuno mette in dubbio non so perchè si scalda tanto
mi è venuto in mente questo:
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