L’inutile montatura

“Coloro che, pur disapprovando gli atteggiamenti e le azioni di un governo, gli concedono obbedienza e appoggio sono senza dubbio i sostenitori più coscienziosi, e perciò, di frequente, gli ostacoli più seri alle riforme.”

da “Resistance to Civil Government”, di Henry David Thoreau.

hijarbieFa discutere in questi giorni la richiesta dei sindacati del personale di volo di Air France di non obbligare il personale femminile a lavorare sul volo Parigi-Teheran.

A partire dal 17 aprile, infatti, riaprirà la tratta Parigi-Teheran il prossimo 17 aprile, che era stata chiusa nel 2008 a causa delle sanzioni internazionali imposte all’Iran per il suo programma nucleare. L’Air France ha reso noto che le hostess, atterrate a Teheran, saranno obbligate ad indossare pantaloni lunghi, una giacca lunga e un velo a coprire il capo, a causa delle leggi iraniane.

“Non vogliamo mettere in causa le leggi e i costumi dell’Iran – ha dichiarato Christophe Pillet, segretario generale dell’Snpnc, il sindacato di categoria -. Chiediamo solo di instaurare il principio di volontariato, per salvaguardare le libertà individuali”.

Air France pare non abbia intenzione di prendere in considerazione la proposta di esonerare dal servizio su quella tratta le dipendenti che si rifiutano di indossare il velo; il lavoro sulla tratta Parigi-Teheran rimarrà regolato nello stesso modo in cui sono regolati quelli su tutte le altre tratte e quelle dipendenti che decideranno di non adeguarsi al nuovo codice di abbigliamento rischieranno di incorrere in sanzioni.

hijarbie2Per caso sono incappata in un articolo che commenta quella che viene definita “la piccola rivolta da parte delle hostess” e che si intitola “E se il caso del velo per le hostess Air France in Iran fosse un’inutile montatura?”

La domanda posta dal titolista è retorica, perché per chi scrive la risposta è si, il “piccolo” caso del velo per le hostess Air France in Iran è un’inutile montatura.

Montatura: esagerazione o mistificazione intenzionale di una notizia o avvenimento.

Vediamo perché. (Quelli in corsivo sono i passi dell’articolo di Vanity Fair.)

1)”Torna ciclicamente il problema del velo in Iran. Come se fosse l’unico e il piú grave problema da risolvere per le donne iraniane che da anni lottano per diritti ben piú seri del velo.”

Il problema del velo obbligatorio non è l’unico problema delle donne iraniane e gli altri problemi sono più seri del velo, ci dice Tiziana Ciavardini, autrice di questo intervento; se concordo con la prima affermazione, a proposito della seconda mi chiedo: su che basi Ciavardini ha stilato una classifica delle problematiche delle donne iraniane? Le donne iraniane hanno partecipato alla stesura di questa classifica? Perché a me risulta che per alcune iraniane la questione del velo è piuttosto importante. Così la pensa la giornalista iraniana Masih Alinejad (e tutte le iscritte e gli iscritti alla sua pagina faceboook “My Stealthy Freedom”), che in una recente intervista ha dichiarato: “L’hijab? È il simbolo dell’oppressione contro le donne. Da bambina volevo essere come mio fratello, che giocava libero. Io invece sono stata costretta a indossare il velo a sette anni. (…) Quando le donne camminano per strada possono essere fermate dalla polizia anche se non indossano l’hijab in modo corretto perché potrebbe intravvedersi qualche ciocca di capelli. Chi rifiuta di indossare il velo non può andare a scuola né ricevere un’educazione: di fatto non potrà lavorare nel proprio Paese e dovrà lasciare la propria casa. L’hijab obbligatorio è tutto questo: è contro la dignità. Le donne iraniane sfidano il governo ogni giorno…”

2) “Sembra che l’Air France abbia scoperto l’acqua calda perché é davvero una polemica inutile. (…) Tutte le compagnie aeree si adeguano alle leggi vigenti in Iran come da decenni fanno le nostre hostess Alitalia che non hanno mai sollevato alcuna polemica.”

L’Air France ha “scoperto l’acqua calda” (che significa “scoprire le cose più ovvie convinti di essere arrivati a grandi verità”), ma qual è questa ovvia verità che tutti conoscono da tempo? Il fatto che il velo è obbligatorio per legge in Iran dal 1979? Oppure che ogni protesta contro questa legge è “inutile”? E perché ogni protesta contro questa legge è inutile? L’inutilità deriva dal fatto che le hostess di Alitalia, a differenza delle hostess di Air France, si infilano il velo senza protestare?

3) Malgrado una grande parte della popolazione indossi volontariamente l’Hijab con senso di appartenenza sia per motivi culturali che religiosi, un’altra parte è fortemente contraria a questa imposizione: è una regola che deve sicuramente cambiare. (…) Ancora oggi in Iran la donna deve chiedere il permesso al marito o a suo padre per poter lasciare il Paese. Ancora oggi in caso di eredità alla donna viene concessa una parte inferiore a quella di un uomo. Le donne non possono partecipare a incontri di calcio o sportivi in cui vi sono uomini. Le donne ancora oggi non hanno spesso accesso ad alcuni corsi universitari. Questi sono i veri problemi delle donne in Iran e sono molteplici ben piú seri e gravi di un velo.
Altri diritti ne hanno conquistati dalla Rivoluzione a oggi e non possiamo far finta che non siano delle grandi vittorie. Forse minime per noi occidentali ma immense per chi quella realtà la vive ogni giorno. Le polemiche sterili come quella delle hostess servono a fare i titoli peraltro sbagliati dei quotidiani. Nulla di piú.

Prima affermazione: ci sono donne costrette ad indossare l’Hijab contro la loro volontà (secondo l’art. 638 del codice penale islamico dell’Iran una donna senza il velo in pubblico può essere condannata fino a due mesi di carcere, a pagare una piccola multa o a ricevere 74 frustate – e sottolineo 74 frustate – la mia fonte è l’Espresso);

frustatequesto non è giusto: è una legge che va modificata. Negli ultimi anni, in Iran, le donne sono riuscite a modificare altre leggi ingiuste e queste sono da considerarsi delle vittorie. Entrambe le affermazioni sono vere. Mi chiedo, però: come hanno ottenuto, le donne iraniane, le vittorie di cui parla Tiziana Ciavardini? Io scommetto che non le hanno ottenute raccontandosi che ogni protesta contro quelle leggi ingiuste era inutile o che era opportuno di occuparsi di altro.

4) Su qualche sito francese di legge che il segretario del sindacato di categoria François Redolfi a FranceTv info ha dichiarato “Non vogliamo far polemiche, non sta a noi dare un giudizio sull’uso del velo in Iran. Quello che noi denunciamo è l’obbligo”. La denuncia dell’obbligo è in sé un giudizio negativo sull’uso del velo in Iran. Ci si chiede anche da quando la compagnia Air France sia diventata paladina dei Diritti Civili delle donne.

L’Air France sostiene che “non è compito” della compagnia condannare l’obbligo del velo in Iran. Normalmente, in effetti, non rientra fra i servizi offerti da una compagnia aerea una riflessione etica sulle leggi dei paesi che attraversa. Non vedo perché la posizione ufficiale di Air France dovrebbe impedire ai suoi dipendenti di interrogarsi sull’obbedire o meno ad una legge che ritengono lesiva dei diritti umani: il dipendente di una compagnia è vincolato forse ai principi morali del suo datore di lavoro?

5) Anche la stessa divisa che si indossa è un obbligo, puó non piacere ma trattandosi di lavoro si accetta.

Una divisa si accetta, sempre e comunque. Davvero? Io di questo ne parlerei con Tierney Angus…

6) Indossare il velo in Iran non significa affatto “sottomettersi” come qualcuno vorrebbe farci intendere, ma significa solo adeguarsi alle leggi del Paese dove si atterra, come accade da sempre. Queste sono opininabili sicuramente ma non modificabili di certo dalle proteste provenienti dalle Hostess.

Lascio a voi la discussione sulla sottile differenza linguistica che intercorre fra l’espressione “sottomettersi ad una legge” e “adeguarsi ad una legge”, perché il punto qui non è qual è il verbo più adatto, ma il fatto che chi protesta ritiene che quella legge sia lesiva della dignità delle donne. Ci dice Ciavardini che “sottomettersi” è un verbo non idoneo perché “accade da sempre” che le compagnie aeree si adeguino alle leggi dei paesi che servono e non è opportuno che cambi questo stato delle cose, ma dimentica di spiegarci il perché non è opportuno che cambi questo stato delle cose. Ci dice anche che le leggi iraniane sono “opinabili”, ovvero che è discutibile (e non vero) che sia ingiusto incarcerare o frustare una donna che mostra i capelli. Inoltre, ritiene che protestare non servirà a modificarle, le leggi “opinabili”, soprattutto se a protestare sono delle hostess. Ci sta forse dicendo che una hostess non può protestare in quanto hostess? Che quello che pensa una hostess non interessa a nessuno?

hostess7) Abbiamo visto donne che lavorano nella nostra politica come altre di Paesi stranieri recarsi in Iran e “accettare” di indossare il velo non vedendolo come un “obbligo” ma come segno di rispetto in un paese diverso dal proprio.

Mia nonna buon’anima, quando ero bambina e per ottenere il permesso di fare qualcosa portavo come argomento “ma la mia amica X lo fa!”, mi rispondeva: “Se la tua amica si butta dalla finestra, ti ci butti anche tu?”

8) La compagnia Air France ha già detto che le hostess potranno scegliere se recarsi in Iran o no e non ci saranno ripercussioni sullo stipendio. I voli riprenderanno domenica 17 aprile ma siamo sicuri che qualche hostess volontaria disposta ad accettare le regole del proprio lavoro verrà trovata! E di sicuro sará anche molto felice di tornarci!

Che l’Air France abbia accettato la soluzione dei sindacati applicando il principio di volontariato, a me non risulta (ma vi invito ad aggiornarmi). A proposito del fatto che qualche hostess sarà felice di indossare lhijab e volare verso Teheran, mi appello nuovamente alla saggezza di mia nonna: “Se vedi qualcuno che si butta dalla finestra, ti ci butti anche tu?”

A Tiziana Ciavardini risponde il blogger Matteo Gamba, che sottoscrive ogni riga, e aggiunge: temo che chi si è già schierato in quest’ennesima Crociata sia poi lo stesso che pretende il Crocifisso in classe (da cambiare anche questo secondo me) in nome del “rispetto della cultura e della storia del Paese che ti ospita”…

Questa è una battaglia per la dignità delle donne iraniane, condotta affinché un domani non debbano più essere perseguitate a causa di cosa decidono o non decidono di mettersi in testa; non è il caso, secondo me, di spacciarla per una guerra fra religioni.

 

P.S. L’Air France ha ceduto: le hostess e le donne pilota della compagnia di bandiera francese potranno rifiutarsi di prestare servizio sui voli diretti a Teheran.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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55 risposte a L’inutile montatura

  1. Michela ha detto:

    Ma ancora si da retta alla Ciavardini? Una che scrive articoli che sono la fiera dell’ovvio infarcito con il pensiero dell’uomo della strada. 15 anni in Iran e non parla persiano, riscrive paro paro i tweet di Khamenei, nega le persecuzioni dei Bahai derubrucandole al complotto sionista contro l’iran e se le fai notare qualcosa, risponde acida dicendo che lei vive da anni in iran quindi lei sa e tu no. Vi prego, non le date mai più spazio, neanche per sbaglio. Per favore.

  2. Morgaine le Fée ha detto:

    A parte il condividere l’analisi di questo post, non posso fare a meno di notare l’inconsistenza della chiosa di Matteo Gamba. Con grande probabilitá, chi è a favore di uno stato laico sará contrario sia all’imposizione del crocifisso da noi, che del velo in Iran. Chi critica le regole violente di una societá patriarcale lo fará indipendentemente dalla cultura che le impone.
    La “guerra tra religioni” non ha nulla a che vedere con la questione. Tralaltro, la Francia ha una costituzione profondamente laica, e le limitazioni, in certe circostanze, del velo islamico in suolo francese nascono da leggi emesse all’inizio del secolo scorso per limitare l’ingerenza della chiesa cattolica negli affari di Stato.

  3. Paolo ha detto:

    articolo che condivido nella sostanza. Io poi non sopporto nè veli nè crocifissi

  4. IDA ha detto:

    “Malgrado una grande parte della popolazione indossi volontariamente l’Hijab con senso di appartenenza sia per motivi culturali che religiosi, un’altra parte è fortemente contraria a questa imposizione…”
    Questo è un altro dei falsi, se c’è l’imposizione, non si può parlare di volontarietà, nell’indossare l’Hijab, ma la volontarietà sta nella sottomissione e nell’obbedienza.
    Certo le donne iraniane, non possono aspettarsi la solidarietà da Air France, hanno da pensare ai profitti.

  5. IDA ha detto:

    “Di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo.” San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, XI

    • Morgaine le Fée ha detto:

      Un altro ossessionato dalle gerarchie e rapporti di potere, chi è il capo di questo e chi è il capo di quell’altro. Typical patriarchy.
      E poi, ma che razza di problemi psicologici hanno tutte queste religioni monoteiste coi capelli delle donne? Tricofobi.

      • IDA ha detto:

        Quando ero bambina io, i capelli non si potevano portare sciolti, a me facevano la treccia. La odiavo, anche perchè spesso me la tiravano e faceva un male cane…Un giorno mi rinchiusi nel bagno e la tagliai con le forbici, poi scappai su un’albero che si trovava davanti casa. ( quando ho letto il Barone Rampante di Calvino per me è stata un’emozione immensa.) Il mio babbo, non perdeva tanto tempo con me, mi diceva:- se vuoi mangiare la strada la conosci. E al primo buio sono rientrata in casa per la cena, timorosa. E mi disse: domani non vai a scuola ma vai dal parrucchiere a sistemarti i capelli. – Averlo saputo prima. Da allora ho portato i capelli lunghi fino alla spalla, ma con la passata, che anche questa odiavo, ma è un’altra storia. Questo fatto che le bambine, le ragazze e le donne non potessero avere i capelli sciolti non la capivo. Non capivo il motivo, perchè per forza si doveva legare i capelli? Una volta mia nonna mi spiegò che le donne con i capelli sciolti vanno a letto con gli uomini ed io per anni non ho capito cosa era che impediva ad una donna con i capelli legati di andare a letto con un uomo. 🙂

      • Morgaine le Fée ha detto:

        Ahahah Ida, questa del non andare a letto con gli uomini a causa della treccia è favolosa! E io che pensavo fossero i bigodini a far da deterrente 🙂
        Scherzi a parte, sospetto che l’imposizione dalla treccia per le fanciulle avesse anche uno scopo pratico: se tieni i capelli legati non si riempiono di nodi e il genitore che deve pettinare ha lavoro in meno 😉 (notato col figlio più piccolo, che ha bei capelli boccolosi di cui un effetto collaterale è la formazione di dreadlocks, specie dopo la notte o una giornata ventosa).

      • IDA ha detto:

        Non contenta della spiegazione della mia nonna, negli anni mi sono un po’ informata sui capelli, che non hanno nessuna funzione vitale ma ne hanno molte di simboliche. Per gli uomini rappresenta la forza e per le donne la sessualità. Questo lo troviamo praticamente in tutte le culture umane. Basta pensare a Sansone, o ai nativi americani, sia uomini che donne portavano i capelli lunghi. Al guerrigliero ucciso, portavano via lo scalpo, cioè la forza. Tra i greci e i romani era vietato per gli schiavi portare i capelli lunghi. Sappiamo che Giulio Cesare, faceva ricorso al riportino, e questo dai contemporanei era visto come una mancanza grave, l’imperatore Adriano portava la parrucca. La stessa corona d’alloro o la corona regale, secondo alcuni maligni, serviva a dissimulare una incipiente calvizia.
        Negli uomini indica la forza e la virilità, nelle donne la sessualità. Portare i capelli sciolti sulle spalle , per una donna, indica uno stato libero e una disponibilità sessuale. Tagliati o legati, significa una mancanza di disponibilità sessuale e le donne sposate dovevano portare i capelli legati. San Bernardino da Siena, consigliava anche alle fanciulle e alle donne non sposate di legarsi i capelli o tagliarli. Il taglio dei capelli era considerato come estremo sacrificio ed umiliazione, non a caso negli ordini monastici venivano tagliati i capelli sia a uomini che donne. Sempre San Bernardino, che era un Santo, consigliava ai mariti, se le proprie mogli erano troppo “civette” con gli altri uomini, di non “menomarle” ma di “raparle”. -Anche perché una donna in casa fa sempre comodo. Questo l’ho aggiunto io. Antonio Della Casa, nel rinascimento, nei consigli alle “buone mogli”, tra le virtu indicava: non passeggiare per strada, non entrare nelle botteghe, non starsene alla finestra, dire il rosario, legarsi i capelli anche in casa. A Firenze, le prostitute dovevano avere i capelli sciolti e se legati, dovevano essere legati con un nastro giallo. Si dovevano distinguere dalle “donne per bene”. Le prostitute quando entravano in chiesa dovevano indossare un velo giallo. Ora mi collego anche al tema proposto da Riccio. Nella Pasqua del 1576, per protestare contro l’ordinanza del velo giallo, umiliante e discriminatoria, alcune nobildonne, si presentarono in chiesa con il velo giallo. Fu un tale clamore, che si arrivò anche a parlare di congiura contro la famiglia dei Medici, ad opera di Caterina dei Medici, regina di Francia.
        Il risultato fu: le cortigiane, non saranno più obbligate a portare il velo giallo, i capelli sciolti, ne il nastro giallo. Ma solo le cortigiane, per quelle di strada, chiamate anche a candela, probabilmente perché il rapporto lo consumavano appoggiate al muro. Per loro non cambiò nulla, come sempre.
        La protesta delle nobildonne fiorentine, era capeggiata da Leonora Álvarez de Toledo e Isabella de’ Medici, che pochi mesi dopo questo fatto, sono uccise dai rispettivi mariti, ufficialmente per gelosia. Ora ci do un taglio.
        https://it.wikipedia.org/wiki/Isabella_de%27_Medici
        https://it.wikipedia.org/wiki/Leonora_%C3%81lvarez_de_Toledo

      • Morgaine le Fée ha detto:

        Grazie Ida per le info sui capelli lunghi, sciolti e legati nella storia, molto interessante (io nell’infanzia e adolescenza ho sofferto molto perché mia madre mi obbligava a tagliare i capelli corti, mentre li ho sempre desiderati lunghi).
        Il tuo commento, per associazione lunga d’idee, mi ha fatto venire in mente un post di un altro blog che seguo, An atheist in a headscarf, scritto da una donna inglese ex-musulmana. Nel post racconta di come, dopo aver realizzato di non sentirsi piú musulmana e credente, si tolse per la prima volta l’hijab in pubblico e la “sensazione di libertá dei capelli al vento” che provó. (“An atheist in a headscarf” é riferito al fatto che, quando si reca a far visita alla famiglia deve rimettersi l’hijab e fingere di essere musulmana, per evitare ai familiari un’enorme delusione e dolore, oltre all’ostracismo totale della comunitá d’origine).

      • Anche io, quando ero piccina, dovevo portare i capelli corti. Quando chiesi a mia madre perché non mi lasciava crescere i capelli come quelli delle altre bambine dell’asilo, lei disse che i capelli lunghi erano un’inutile perdita di tempo e che siccome era lei che doveva lavarmeli, asciugarmeli e pettinarli, quello che sarebbe stato sprecato era il suo tempo. Mi promise, però, che appena fossi stata in grado di gestire da sola i miei capelli, avrei potuto tenerli come preferivo. Ho imparato molto da mia madre 🙂

      • IDA ha detto:

        Io sono stata una madre democratica: Io decidevo e loro potevano dissentire e avevano 5 minuti per argomentare il loro dissenso. Ma sui capelli, li ho lasciati fate quello che volevano loro cioè uguale alla maggioranza dei loro coetanei.

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  8. men ha detto:

    scusate ma a parte i cenni storici e le favole sui capelli ma qui il nodo è un altro: un’ azienda richiede alle sue dipendenti un certo tipo di divisa da indossare per i viaggi in iran per quale motivo le lavoratrici si devono rifiutare? il velo mica glielo impongono nella vita privata ma solo nelle ore di lavoro (tra l’ altro solo quelle svolte a bordo dell’ aereo) e quindi chi non si adegua è giusto che incorra in sanzioni. in molte fabbriche gli operai indossano la divisa con i colori e il logo dell’ azienda e chi non si adegua viene sanzionato e se prosegue a vestirsi senza indossare la divisa può venire anche licenziato. io credo che se vuoi lavorare sotto qualcuno devi vestirti come ti chiede l’ azienda altrimenti ti apri una attività tua e fai il cazzo che ti pare.

    • “io credo che se vuoi lavorare sotto qualcuno devi vestirti come ti chiede l’ azienda”: le hostess di Air France si vestono con la divisa dell’azienda, la quale non prevede il velo.
      Qui non si tratta dell’adeguarsi alle richieste di un’azienda – che di solito, come fai notare tu stesso, sono funzionali al lavoro da svolgere (come gli elmetti protettivi per chi lavora in un cantiere), rendono riconoscibile il dipendente quando questi lavora al pubblico e rispondono ad esigenze di marketing, esibendo il logo dell’azienda – ma di adeguarsi ad una legge dell’Iran. Sono due cose molto diverse.
      Prima di introdurre l’argomento ho citato un passo tratto da un testo piuttosto famoso di Henry David Thoreau, noto come “Disobbedienza civile”. Lo conosci? La disobbedienza civile è uno strumento di protesta pacifico, messo in atto nel passato da grandi personaggi storici.
      Era un atto di disobbedienza civile il gesto che rese celebre Rosa Parks, che l’1 dicembre del 1955 si rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus ad un uomo bianco e per questo venne arrestata: fu grazie a lei e alle proteste collettive che seguirono la vicenda che la riguarda, che l’America rinunciò alla legge che normava la segregazione razziale.
      Queste non sono “favole”, caro men, e non sono neanche “piccole rivolte” o “inutili montature”, sono gesti simbolici mirati ad attirare l’attenzione pubblica su leggi ingiuste perché discriminanti e lesive della libertà personale degli individui.
      Ad essere lesa non è, ovviamente, la libertà delle hostess francesi, ma quella delle donne iraniane, e la protesta è un gesto che vuole manifestare solidarietà.
      Non ti interessa essere solidale con le donne iraniane? Liberissimo di fare quel che cazzo ti pare, men. Ma non descrivere quello che è un atto di disobbedienza civile come uno sciocco puntiglio, perché le cose non stanno affatto come racconti tu.

    • Vale ha detto:

      Com’è che però agli uomini non è stato chiesto di fare altrettanto? E sì che il contratto di lavoro è lo stesso… Già trovo sbagliato che le hostess debbano girare in gonna e tacchi quando potrebbero indossare la stessa divisa maschile…

      • IDA ha detto:

        Divisa per tutti uguale: Gonna e tacchi anche per gli uomini.
        A parte gli scherzi, visto che il problema sono le donne, nella tratta Parigi-Teheran solo uomini. (con la gonna, i tacchi e il velo)

    • IDA ha detto:

      No! Ci sono professioni che richiedono una divisa, e spesso hanno un’origine militare come sugli aerei e i controllori dei teni e i capostazione, per esempio. Negli altri posti di lavoro devi avere un abbigliamento consono alle mansioni che svolgi, per motivi igienici e di sicurezza e non per capricci del padrone. Nell’industria alimentare, chi manipola alimenti, deve avere la cuffietta per i capelli, camice bianco o grembiule, ecc.. nell’edilizia, casco e scarpe antinfortunistica. ecc. spesso hanno il logo dell’azienda, perchè è l’azienda che te le deve fornire. L’abbigliamento sul lavoro deve rispettare i criteri di sicurezza e di igiene e te li puoi comprare anche per conto tuo di forma differente, purchè siano conformi a quei requisiti di igiene e sicurezza. Comunque l’abbigliamento imposto dall’azienda non può mai violare la dignità del dipendente. E poi basta con questa difesa ideologica di privilegi e sfruttamento del “potere privato” che viene giustificato e accolto, a prescindere dai suoi meriti.

      • men ha detto:

        ida mi sa che te in fabbrica non ci sei mai stata…io lavoro in un azienda che impone di portare la divisa maglie pantaloni e felpa per tutti uguale e col logo scarpe antinfortunistica si possono scegliere tra due modelli. occhiali, guanti, mascherine, elmetti, tappi per il rumore quelli ci vengono dati quando ne facciamo richiesta. ma è obbligatorio indossare la divisa se senti caldo puoi levare la felpa a patto che sotto ci sia la maglietta dell’ azienda se hai freddo puoi mettere sotto la felpa quante maglie vuoi ma non puoi mettere niente sopra che copra il logo o la felpa stessa. le divise non le abbiamo comprate ce le fornisce l’ azienda.
        così tanto per precisare

        p.s. se domani viene il titolare e ci dice che dobbiamo indossare il turbante in testa e che questo fa parte della divisa ci tocca metterlo e zitti.

      • Questo atteggiamento sottomesso e remissivo è proprio quello che ci vuole nel mondo del lavoro di oggi. … prevedo a breve l’introduzione in fabbrica della frusta.

      • IDA ha detto:

        Io non ho mai lavorato in una fabbrica, di certe questioni me ne sono occupata in passato, anche se sono più di dieci anni che non me ne occupo. Vedrai che la felpa che porti, corrisponde a dei criteri e dei principi che riguardano la sicurezza e la salute. Chi disegna la tuta del metalmeccanico, non lo fa a caso, ma segue dei criteri, domandalo ai confezionisti di abiti da lavoro. Dove lavoravo io, l’azienda, a chi lavorava in magazzino, “consigliava”di usare la tuta che forniva l’azienda. A chi era in contatto con il pubblico; alle donne la gonna, agli uomini la cravatta. “Consigliava” ma non imponeva.
        Sembra strano, oggi, ma il lavoratore dipendente ha dei diritti, ed è importante conoscerli e difenderli.
        p.s: Allora se il datore di lavoro ti dice da domani uomini e donne tutti con tacco minimo 14 e gonna sopra il ginocchio. Te lo fai e zitto.

      • Quanto mi piacerebbe essere il suo datore di lavoro per poterglielo chiedere 😊

      • IDA ha detto:

        Si, anche a me! Ma sopratutto, mi piacerebbe rispondere alle inevitabili obiezioni che ci saranno da parte di qualcuno: Che vi lamentate le donne è una vita che lo fanno.

      • Paolo ha detto:

        Concordo con te. Preciso solo che le donne la gonna e i tacchi li mettono se vogliono, il più delle volte. Idem per gli uomini e la cravatta

      • men ha detto:

        se un datore di lavoro mi dice per lavorare metti il turbante lo metto senza discussioni se mi dice metti gonna e tacchi a spillo rassegno le dimissioni e mi cerco un nuovo lavoro. ma non posso imporre ad un titolare il vestiario dei suoi dipendenti.
        comunque lavoro in una fabbrica di meccanica dubito che ispettorato del lavoro e usl darebbero il via libera per tacchi e gonne…

      • Quindi men tu ce l’hai proprio con il fatto di esprimere il proprio dissenso. Secondo te ci sono delle rigide gerarchie, il capo è il capo, e un sottoposto non ha neanche il diritto di esprimersi di fronte a richieste che ritiene ingiuste o assurde…

      • Morgaine le Fée ha detto:

        Porto un esempio. Nel comune dove risiedo l’azienda che gestisce gli autobus é privata e impone un dresscode. Un dipendente, in una giornata particolarmente fredda (siamo nel nord della Svezia), osó mettere un giaccone sopra la divisa aziendale e si beccó un richiamo, con minaccia di licenziamento. I dipendenti (e anche gli utenti, per solidarietá) insorsero protestando contro l’inadeguato dresscode dell’azienda, che non garantiva il benessere dei suoi dipendenti. Quest’ultima fece dietrofront e cambió il precedente dresscode a favore di uno piú adatto alle condizioni climatiche.
        Morale della favola: non é che tutte le decisioni del potere o dell’azienda sono le migliori possibili e sono scolpite nella pietra. Se inadatte per qualche motivo, si puó protestare e farle modificare.

  9. men ha detto:

    ahaha essere solidali con le donne iraniane…togliendosi il velo…quando la stragrende maggioranza di queste il velo non se lo sognano nemmeno di toglierselo…
    molte donne mussulmane che stanno in Italia continuano a portare il velo anche se da noi non è obbligatorio. il vostro punto di vista assomiglia tanto alla teoria dell’ esportazione della democrazia di Bush e compari o alla teoria di civilizzare le popolazioni dell’ africa da parte dei colonialisti del 1800/inizi 1900. le popolazioni scelgono autonomamente la loro cultura e le loro usanze senza imposizioni o pressioni da parte della presunta e autoproclamata superiorità occidentale. io quando sono stato a visitare una moschea ad istambul le scarpe me le sono levate e anche quando in Thailandia sono entrato dentro ad abitazioni private le ho tolte perchè da loro usa così ma non per questo mi sono sentito sottomesso ma ho solo avuto rispetto delle usanze e dei costumi delle popolazioni locali.

    • Ti cito un passo del mio post che deve esserti sfuggito:
      “… a me risulta che per alcune iraniane la questione del velo è piuttosto importante. Così la pensa la giornalista iraniana Masih Alinejad (e tutte le iscritte e gli iscritti alla sua pagina faceboook “My Stealthy Freedom”), che in una recente intervista ha dichiarato: “L’hijab? È il simbolo dell’oppressione contro le donne. Da bambina volevo essere come mio fratello, che giocava libero. Io invece sono stata costretta a indossare il velo a sette anni. (…) Quando le donne camminano per strada possono essere fermate dalla polizia anche se non indossano l’hijab in modo corretto perché potrebbe intravvedersi qualche ciocca di capelli. Chi rifiuta di indossare il velo non può andare a scuola né ricevere un’educazione: di fatto non potrà lavorare nel proprio Paese e dovrà lasciare la propria casa. L’hijab obbligatorio è tutto questo: è contro la dignità. Le donne iraniane sfidano il governo ogni giorno…”
      Qui i link:
      http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/06/04/news/Musulmane-togliete-il-velo-che-ci-opprime-le-iraniane-su-Facebook-senza-hijab-1.215670
      https://www.facebook.com/StealthyFreedom
      Un link sul movimento “La mia libertà furtiva” di questo mese:
      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/my-stealthy-freedom-women-in-iran-step-up-hijab-campaign-by-filming-themselves-walking-in-public-10149226.html

    • IDA ha detto:

      Non hai letto il post di Riccio, perchè non c’è la scelta i portare il velo, dal momento sono previste 74 frustate se non lo portano. Secondo te cosa scelgono? Di non prendere le frustate o di portare il velo?
      L’obbedienza non è un valore positivo, non è mai una virtù, l’organizzazione sociale attuale è fondata sull’obbedienza e ciascuno di noi è chiamato sempre, via via che la vita scorre, a obbedire a qualcuno. Obbediamo sostanzialmente per due ragioni: perché siamo costretti a farlo da un’autorità esterna che si impone attraverso la forza o la manipolazione; perché pensiamo che sia inevitabile (morale) il farlo, insomma perché crediamo sia giusto obbedire. Anche di fronte ai crimini più feroci e inauditi qualcuno ha detto: ho solo obbedito agli ordini ricevuti. Tutto questo succede perché l’individuo, per omissione o trascuratezza, per paura o fede, o ancora per un comportamento ormai condizionato e privo di immaginazione, ha delegato la sua vita a qualcun altro. Questa fuga dalla propria responsabilità ha generato, nel corso della storia, le mostruosità più drammatiche. Le hostess dell’ Air France hanno chiesto di non andarci, perché sono consapevoli che mettersi il velo, non vuol dire rispettare una tradizione, ma consolidare, giustificare, rafforzare una norma barbara che lede la dignità delindividuo.

    • IDA ha detto:

      Se uno entra in un luogo di culto è giusto che rispetti le tradizioni e il luogo stesso, ma dentro un luogo di culto, dove uno può sceglier se entrare o non entrare.
      Quelle che stanno in Italia e portano il velo, io non lo so, fino a che punto lo fanno volontariamente, perchè qui, hanno i mariti e i parenti, so che spesso sono i parenti del marito, che spingono il marito ad obbligare la moglie a portare il velo o come si chiama.
      Vicino a me, abita una ragazza iraniana, che è sposata con un italiano, lei vive all’occidentale, per aver fatto questa scelta è stata ripudiata dai genitori.

  10. Paolo ha detto:

    il caso Air France è figlio di un malinteso e formalistico “rispetto per le altre culture”. Sarebbe interessante vedere cosa farebbe Air France se delle hostess musulmane volessero lavorare col velo. Se accetta allora vuol dire che ognuno può modifivare la divisa da lavoro secondo le proprie convinzioni, se rifiuta (come dovrebbe fare secondo me) sarà accusato di razzismo e “islamofobia” (assurdità)

  11. men ha detto:

    allora sgombriamo il campo da equivoci a me il velo e come vanno vestite le donne mussulmane non piace, preferisco le donne in abiti succinti e tacchi, però non giudico la loro cultura con aria di superiorità come fate voi.
    molte ragazze arabe o iraniane o pakistane che vivono da noi vestono all’ occidentale ma tante altre vestono con gli abiti tradizionali del loro paese e col velo. vicino a casa mia abita una famiglia marocchina dove la moglie e la figlia grande indossano il velo e la figlia piccola veste all’ occidentale coi capelli al vento senza essere ripudiata dalla famiglia. cosa impedisce alle altre due di togliersi il velo?
    poi la tua intervista alla giornalista iraniana è un concentrato di superficialità tipica dell’ occidente con la quale si rapporta sempre agli altri popoli…lei è una giornalista, quindi una donna che ha studiato e che fa parte dell’ alta società di quel paese inoltre vive in città…prova a chiedere ad una donna iraniana che abita in un paesino e fa un lavoro umile e che pensa a come sfamare i figli se vuole togliersi il velo…questa gente il velo lo tiene perché al loro Dio ci tengono veramente e credono che un giorno li ricompenserà…io non credo in nessuna religione però quando non hai niente e non ti hanno dato gli strumenti per capire la realtà che ti circonda, un Dio in cui sperare e credere è tutto quello che ti rimane e fai di tutto per onorarlo anche coprirti i capelli.
    su rosa parks : il suo gesto è stato dirompente perché lei una donna nera ha rotto gli schemi ben altro è quando una donna occidentale dall’ alto del suo piedistallo pontifica e pretende di incarnare aspirazioni di persone che non conosce nemmeno (per conosce non intendo di persona ovviamente ma non conosce cosa pensa come vive e a cosa aspira). pensa se rosa parks fosse stata una donna bianca che salendo sul pullman avesse detto “voi neri cosa aspettate a sedervi è un vostro diritto” avrebbe avuto lo stesso impatto e lo stesso seguito del gesto di una nera che si siede di sua spontanea volontà nel posto riservato ai bianchi?

    • Oh men, vai a farti un giro sulla pagina My stealthy freedom …
      Credo che non ti sia chiara una cosa: eliminando l’obbligo del velo, tutte quelle donne che vorranno continuare a metterselo saranno libere di farlo.

      • Paolo ha detto:

        riccio stavolta sono assolutamente d’accordo con te.Su tutta la linea

      • men ha detto:

        io quando vado in motorino mi sento oppresso dall’ uso obbligatorio del casco. eliminando l’ obbligo del casco chi vuole continuare a metterselo sarà libero di farlo. ti piacerebbe se domani un paese straniero in nome di una presunta superiorità culturale volesse imporre all’ italia di levare l’ obbligo del casco per i motociclisti e scooteristi? ancora se un cittadino straniero che viene da un paese dove il casco non è obbligatorio se sale su di una moto lo deve mettere o no il casco?
        col velo è la stessa cosa. e le donne occidentali che vanno in iran devono imparare a rispettare quel paese e ad obbedire alle loro regole e leggi senò che stiano a casa loro. solo che nel caso delle hostess dovrebbero cambiare lavoro se si rifiutano di svolgere i loro compiti su tratte che non gli piacciono. se fossi il proprietario di air france gli avrei già dato il benservito…

      • Men la tua analogia non sta in piedi. Il casco è un dispositivo di sicurezza da indossare solo quando utilizzi un mezzo potenzialmente pericoloso. Il velo a che serve?

  12. Paolo ha detto:

    se fosse dipeso da men ci sarebbe ancora il lavoro minorile in occidente: “ma non posso mica imporre al titolare l’età dei suoi dipendenti, dove andremo a finire con queste pretese'”

    a parte gli scherzi, io credo che ogni divisa deve essere adatta al tipo di lavoro che fai e obbedire anche a logiche di marketing (“marketing” non è una parolaccia, se lavori in una impresa privata e non solo privata ormai devi farci i conti), ci sono mestieri in cui gonna e tacchi per le dipendenti e giacca e cravatta e barba rasata per i dipendenti e bella presenza e sorriso smagliante per entrambi i sessi possono essere adatti persino necessari alle mansioni svolte (penso a non tutti ma molti lavori a contatto col pubblico, per esempio), chi lavora alla catena di montaggio dove nessun cliente lo vede ovviamente non ne ha bisogno

  13. men ha detto:

    paolo puoi ben dirlo che se fosse per me ci sarebbe ancora il lavoro minorile…io a lavorare in un officina ci sono entrato per la prima volta a 14 anni 200 mila lire al mese da giugno a settembre poi a 17 anni ho smesso di andare a scuola e sono entrato in fabbrica dopo 17 anni sono ancora vivo. oggi se dici ad un sedicenne di andare a lavorare sembra che gli dici di andare in guerra…arrivano a 30 anni e non hanno mai lavorato un giorno…il lavoro non ti fa solo guadagnare soldi ma ti fa crescere e ti responsabilizza io a 18 anni ero molto più grande di testa rispetto ai miei coetanei che studiavano per la maturità….
    riccio hai letto di quella nuova compagnia vietnamita (non ricordo il nome ma in molti l’ hanno già ribattezata bikini air) che per i voli inaugurali ha vestito le hostess con bikini e calze a rete? il solito orrendo maschilismo eh? ah dimenticavo la proprietaria della compagnia aerea è una donna….

    • Ti rivelo una cosa sconvolgente men: esistono anche donne maschiliste.

    • Paolo ha detto:

      va bene men, ne deduco che tu sia a favore anche della giornata lavorativa di 18 ore senza giorno di riposo alla faccia dei sindacati mollaccioni che hanno infiacchito i nostri giovani vietando il lavoro minorile. Cavolo, sei il sogno proibito di ogni industriale dell’occidente

    • IDA ha detto:

      Anche il mio babbo, a 8 anni ha dovuto lasciare la scuola e andare a lavorare, ma lui non ha mai detto, l’ho fatto io lo possono fare anche gli altri, al contrario si è battuto perché non accadesse anche agli altri. Si può obbedire o disobbedire, ma la disobbedienza è non solo necessaria ma anche il primo e inevitabile atto di ribellione per chi desidera e pretende di rispettare se stesso e cambiare qualcosa.

      • men ha detto:

        Ida 8 anni sono pochi per iniziare a lavorare e forse anche 14 ma a 16 penso che si è abbastanza grandi per poter svolgere un lavoro. poi io non dico di andare in fabbrica o su un cantiere i lavori sono tanti e si può scegliere…io la fabbrica l’ ho scelta perché mi piaceva e mi piace ancora mentre detestavo la scuola. si può disobbedire è vero, io ad esempio ho disobbedito alla naja e ho fatto richiesta per l’ esenzione che fortunatamente è stata accettata (se non fosse stata accettata avrei fatto l’ obbiettore) solo che per disobbedire bisogna tenere conto anche dei rapporti di forza. il coltello dalla parte del manico ce l’ ha il titolare dell’ azienda e non l’ operaio; percui io non vado a rischiare il licenziamento per impuntarmi su di una cosa futile come il vestiario. è chiaro che se mi dicono lavora per più ore a parità di salario anche io mi ribello…
        paolo un lavoratore che lavora 18 ore senza giorno di riposo è meno produttivo di uno che lavora 8-9 ore ed ha il giorno di riposo quindi non penso che sia il sogno di un imprenditore. almeno non è il sogno di un imprenditore illuminato.

  14. Morgaine le Fée ha detto:

    A men che scrive:
    “molte donne mussulmane che stanno in Italia continuano a portare il velo anche se da noi non è obbligatorio. il vostro punto di vista assomiglia tanto alla teoria dell’ esportazione della democrazia di Bush e compari o alla teoria di civilizzare le popolazioni dell’ africa da parte dei colonialisti del 1800/inizi 1900. le popolazioni scelgono autonomamente la loro cultura e le loro usanze senza imposizioni o pressioni da parte della presunta e autoproclamata superiorità occidentale.”
    rispondo con questo articolo, scritto da una donna di origine asiatica e con background culturale musulmano (quindi non un’occidentale che fa neocolonialismo):
    http://doublebindmagazine.com/muslims-have-no-right-to-police-each-others-personal-choices
    Poi possiamo discutere ancora di quanto la “libera scelta” sia davvero tale, sia quando si “sceglie” il velo, sia soprattutto quando si vorrebbe cambiare idea. Il discorso dell’articolo vale anche per le musulmane che vivono in occidente, quindi teoricamente non sottoposte a restrizioni legislative.
    L’articolo é in inglese ma merita.

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