Trouble in the Family Court – parte quarta

Una traduzione da Suffer the children, di Jess Hill, un’inchiesta giornalistica australiana  su violenza in famiglia e affidamento dei minori coinvolti.

Vista la lunghezza dell’articolo, viene pubblicato a puntate.

Questa è la terza (qui la primaqui la secondaqui la terza parte).

darth_vaderImmagine da Darth Vader and Son

 

A leggere le sentenze di quel periodo, sembra che alcuni giudici ritenessero che un padre violento è meglio che nessun padre. Una sentenza del 2007 affermava che “Le conseguenze di negare il contatto tra il genitore maltrattante, di solito il padre, e il bambino possono essere altrettanto gravi dei danni provocati dall’abuso … non vi è presupposto o regola che a priori, a proposito di condotte anche molto gravi come gli abusi sessuali, … pongano una barriera insormontabile ai contatti con la vittima minorenne. ”

In un caso del 2010, un padre già inserito nel registro dei colpevoli di reati sessuali per possesso di materiale pedopornografico, era in lotta per l’affido condiviso delle sue figlie di otto e dieci anni. La madre chiedeva che gli fosse concesso di vederle solo di giorno e in un contesto protetto. La figlia maggiore aveva detto agli assistenti sociali che amava suo padre e non voleva turbarlo, ma che preferiva non stare a casa sua, soprattutto da sola. Quando le è stato chiesto perché, lei rispondeva di fare riferimento a quello che aveva dichiarato alla polizia, ma è diventava “estremamente angosciata” quando si insisteva a farla parlare. Ha più volte detto agli assistenti sociali di non voler ripetere quello che aveva raccontato di suo padre.

Nella sua sentenza, il giudice ha ammesso che il padre aveva dimostrato un affetto “inappropriato” verso la figlia. Ha anche dichiarato di credere alle dichiarazioni della madre, che diversi anni prima aveva visto il padre con l’erezione, mentre si chinava e toccava la figliastra di cinque anni con i pantaloni del pigiama giù, e di credere che la madre per anni non aveva denunciato la cosa perché aveva paura dell’uomo. Il giudice ha anche riconosciuto che c’erano prove sufficienti per affermare che l’uomo era stato intimidatorio, “manipolatore e bugiardo” nel corso del matrimonio.

Nonostante tutto questo, il giudice ha ordinato che le figlie passassero un fine settimana si e uno no e la metà delle vacanze con il padre. I pernottamenti dovevano essere sotto la supervisione di un “amico adulto” del padre, per aiutare la figlia maggiore ad affrontare il suo nervosismo, e che le figlie dovevano condividere la stanza per “supportarsi reciprocamente”.

Questi casi riflettono un’idea bizzarra che stava emergendo nel tribunale della famiglia: un genitore percepito come alienante era in alcuni casi trattato come una minaccia più grande per i figli di un genitore con un passato di maltrattamenti e reati sessuali su minori.

Entro il 2012, altre tre indagini avevano rivelato che il Family Law Act non era in grado di proteggere le vittime di violenza domestica. L’allora procuratore generale, Nicola Roxon, dichiarò chegli studi avevano dimostrato chiaramente che i genitori avevano paura di denunciare gli abusi, e ha annunciato una serie di riforme alla legge. Il governo Gillard ha rimosso la “friendly parent provision“, ha ampliato la definizione di violenza domestica e quella di abusi sui minori per includere l’esposizione alla violenza domestica, su consiglio della Australian Law Reform Commission. Sulla carta, il tribunale ora aveva il mandato di dare la priorità alla sicurezza di un bambino rispetto al suo diritto ad un rapporto significativo con entrambi i genitori. I cambiamenti hanno avuto un impatto immediato: nel tribunale della famiglia, 470 genitori hanno depositato accuse di abusi sui minori o di violenza familiare nel 2014-15, a fronte delle 334 denunce del 2011-12 – un aumento del 41%.

Eppure, nonostante questi cambiamenti positivi alla legge, continuiamo a sentire le stesse storie. I genitori hanno ancora paura a sollevare accuse di abusi e subiscono pressioni dai loro avvocati per firmare accordi che, temono, metteranno in pericolo i loro figli. Le vittime ancora percepiscono che le loro denunce e quelle dei loro figli vengono sminuite o non considerate attendibili. Nella ricerca effettuata per questo articolo, le stesse problematiche mi sono state ripetute più e più volte: le vittime di violenza domestica vengono esortate dai giudici a mettere da parte una “storia antica”, a dimenticare le loro rimostranze e “pensare ai figli”, come se la violenza domestica finisse quando finisce il rapporto.

Quando le vittime di violenza domestica arrivano davanti al tribunale della famiglia, sono già in svantaggio. Liberarsi da un rapporto violento può essere come una fuga dalla prigionia – le vittime ne escono disorientate e impaurite, e spesso sono ridotte a uno stato di impotenza. Ricordare i dettagli degli abusi – anche dopo anni – può innescare lo stress post-traumatico e renderle ansiose ed emotive. Tragicamente, questo può minare la loro credibilità come testimoni.

E’ ancora peggio se ritengono che il loro aggressore sia anche una minaccia per i loro figli. Come la professoressa Kelsey Hegarty ha dichiarato alla Victorian Royal Commission quest’anno, le vittime in queste circostanze possono sembrare “mentalmente instabili” e questo può essere usato contro di loro. “Al contrario”, ha aggiunto, “il violento può spesso apparire molto calmo e razionale.” Al violento – se non rappresentato, come lo sono tanti – è consentito persino interrogare la sua vittima.

Anche quando le vittime si presentano bene, la loro testimonianza può suonare non plausibile. Alcune delle caratteristiche della violenza domestica e degli abusi sui minori sono intrinsecamente controintuitive. Non ha senso che un laborioso padre di famiglia una volta tornato a casa possa fare cose del genere. Non ha senso che una vittima torni dal suo aggressore ancora e ancora (sette volte, in media). Non ha senso che, dopo essergli sfuggita, una vittima possa prima decidere di incoraggiare il rapporto del violento con il loro bambino, per poi cambiare idea (dopo aver scoperto che è un pericolo anche per il  bambino). Né è logico che i bambini vittime di abusi sessuali dicano di amare il loro aggressore e non mostrino paura in loro presenza. O che un bambino possa rivelare gli abusi ad una persona, per poi negarli con un altra.

La violenza domestica è la principale area di interesse del tribunale della famiglia, eppure viene predisposta poca o nessuna formazione in merito per giudici, per gli avvocati o il personale giudiziario. Non esiste nemmeno un livello minimo richiesto di competenza sull’argomento specifico per gli esperti e gli autori della relazione che esprime una valutazione sulle accuse di abuso. Questo deficit allarmante è stato evidenziato in un recente articolo di Matthew Myers, ora giudice presso la Federal Circuit Court (dove si discutono la maggior parte dei casi di diritto di famiglia): “Quelli che presentano relazioni al tribunale della famiglia e alle Federal Magistrates Courts”, ha scritto, “raramente hanno la formazione, le conoscenze e le competenze necessarie per fare questo tipo di lavoro in maniera adeguata.

Le opinioni degli esperti hanno una grande influenza. Se decidono che le accuse non sono vere, la posizione del genitore che accusa è considerata così compromessa che la Legal Aid spesso rinuncia a rappresentarlo, in quanto il suo sostegno si basa sul potenziale successo della causa. Se questo genitore vuole opporsi alle dichiarazioni di un esperto, deve trovare un altro avvocato o interrogare lui stesso l’esperto. Molti genitori finiscono semplicemente con l’accettare i consigli dell’esperto, come è successo con Tina e sua figlia, Lucy.

La mancanza di competenza in questo settor epreoccupa notevolmente la magistrata Anne Goldsbrough che, in quanto Australian Law Reform Commissioner, ha supervisionato le raccomandazioni nelle quali si afferma che ogni ufficiale giudiziario australiano frequenti un corso di formazione sulla violenza in famiglia. Goldsbrough è stata l’unica a comprendere che Greg Anderson rappresentava una minaccia mortale per Luke Batty e sua madre, Rosie, dopo che Rosie ebbe testimoniato nel tribunale di Goldsbrough che Anderson aveva preso un coltello e aveva detto: “Questo potrebbe essere la fine di tutto.” Goldsbrough rimase così turbata dalla testimonianza di Rosie, che ordinò l’interruzione di ogni contatto tra padre e figlio e sospese gli accordi preesistenti. Ma la sua decisione venne ribaltata successivamente da un altro tribunale, dopo che Anderson ne aveva richiesto la revisione. La tragedia di Luke Batty è tutta un susseguirsi di poliziotti, magistrati, consulenti e assistenti sociali incapaci di rilevare i fattori di rischio che avevano allertato Goldsbrough. Dieci mesi dopo l’udienza con Goldsbrough, Anderson ha ucciso Luke con una mazza da cricket e un coltello dopo una partita a Tyabb, a sud-est di Melbourne.

Goldsbrough, un ex avvocato familiarista, afferma che senza formazione sulle dinamiche della violenza in famiglia, alcuni miti possono trasformarsi in certezze. “E’ una credenza diffusa tra molti – tra cui alcuni di quelli che operano nel sistema dei tribunali della famiglia – che le madri usino le cause per l’affidamento come spade e non come scudi”, spiega Goldsbrough. “Chiunque fa questo lavoro vi dirà che le false accuse sono incredibilmente rare … qualunque intervento è deciso sulla base di prove. C’è la prova che si è verificata violenza in famiglia e che è probabile che si verifichi di nuovo? Si c’è? Allora interveniamo.”

Se sei un genitore e vuoi presentare un’accusa di maltrattamento fondata in un tribunale della famiglia, puoi essere fortunato: il tuo giudice comprende la violenza domestica, l’esperto che valuterà la famiglia è addestrato a riconoscerla, e il tuo avvocato ti crede. Molte volte accade. Ma troppo spesso questi genitori sono invece accusati di sovraccaricare il loro bambino di ansia e di voler distruggere il suo rapporto con l’altro genitore. Il termine più comune (e controverso) usato per descrivere questa situazione è “alienazione genitoriale”, anche se non è sempre citata in modo esplicito, a causa delle polemiche generate dal termine. Le accuse di alienazione genitoriale nelle sue varie definizioni, tuttavia, sono diventate una risposta comune per quei genitori accusati di abusi – soprattutto quando le accuse sono  mosse da un bambino.

(continua…)

 

Per approfondire:

Usare i bambini contro le madri: le strategie del violento

Mother blaming e violenza domestica

Le competenze genitoriali dell’uomo violento

I bambini hanno bisogno di essere protetti dai genitori abusanti

Crescere i tuoi figli con un ex maltrattante e rimanere sana di mente: è possibile?

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Genitorialità condivisa con un ex abusante?

Traumi infantili, salute e violenza domestica

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