Lo scorso autunno ho pubblicato a puntate un’inchiesta giornalistica australiana che denunciava il fallimento dei tribunali nel riscontrare e comprendere in modo affidabile la violenza domestica e gli abusi sui bambini.
Quello che segue è un articolo di Laurie Udesky sulla situazione negli USA, dove il movimento delle Battered Mothers da anni manifesta contro un sistema pesantemente viziato dal pregiudizio di genere, a causa del quale sempre più bambini vengono sottratti al cosiddetto “protective parent” per venire affidati in via esclusiva a genitori sui quali gravano prove di abusi e violenze.
L’originale è consultabile qui: Custody in Crisis: How Family Courts Nationwide Put Children in Danger.
“C’è questo mito là fuori, che vengano fatte più segnalazioni di abusi di quanti abusi siano realmente perpetrati, ma in realtà le statistiche dimostrano che il fenomeno è sottovalutato”, ha detto il giudice in pensione Jerry Bowles, co-autore della guida [N.d.T.: le linee guida Child Safety in Custody Evaluations]
Il giudice Bowles, che forma i suoi colleghi in materia di violenza domestica e intrafamiliare, ha detto che è comune nei tribunali la convinzione che le madri cerchino di ottenere restrizioni per i loro ex coniugi mosse da ragioni diverse dalla sicurezza dei propri figli. Egli collega questa convinzione alla mancanza di formazione e quindi all’incapacità di comprendere le dinamiche della violenza domestica.
Uno studio pilota di Joan Meier, docente di clinical law presso la George Washington University Law School, supporta le osservazioni di Bowles. Dall’analisi di 240 sentenze selezionate mediante ricerca elettronica e riguardanti casi di affido e di alienazione, ha rilevato che accade spesso che le accuse di abuso non limitino l’accesso ai bambini nei tribunali della famiglia. Su circa 36 casi in cui una madre aveva accusato il padre di abusare i propri figli, il tribunale ha comunque deliberato a favore del padre nel 69 per cento dei casi. La tendenza a non tenere in considerazione le accuse della madre è ancora più evidente nei casi in cui era contestato l’abuso sessuale: nei 32 casi identificati da Meier, la tesi del padre ha prevalso l’81 per cento delle volte. Ora sta lavorando ad uno studio più vasto che prenda in esame le stesse problematiche – inclusa la violenza contro il partner – su 5.000 casi grazie ad una sovvenzione dell’Istituto Nazionale di Giustizia.
La caratterizzazione di Sawyer come il genitore buono e di Gill come soggetto mentalmente disturbato fornita da Bernet è coerente con un modello inquietante che le organizzazioni che combattono per riformare i tribunali della famiglia riscontrano in questi casi. Esse comprendono il Center for Judicial Excellence, il Domestic Violence Legal Empowerment and Appeals Project e The Leadership Council on Child Abuse and Interpersonal Violence.
“La ricerca mostra che i tribunali di famiglia sono il luogo perfetto per i maltrattanti, i quali riescono ad ottenere l’affido dei propri figli.”
Ha detto l’ex consigliere della Casa Bianca Rosenthal: “Sanno come manipolare il consulente tecnico; sanno come manipolare il tutore [nominato dal tribunale]; sanno come manipolare il giudice. Sanno presentarsi bene e fanno apparire la madre come una matta.”
Cynthia Cheatham, un’avvocata di Nashville che ha rappresentato Gill in appello e e si occupa di aiutare i genitori protettivi a lottare per recuperare la custodia, concorda.
“Hanno una mamma, che sembra una che ha appena infilato il dito in una presa, e l’abusante, che potrebbe aver infilato il suo dito nella vagina della sua bambina, ma appare un ragazzo perfettamente normale”.
Alcuni consulenti si spingono molto lontano nel loro sforzo di normalizzare i comportamenti dei perpetratori. Thomas Hanaway, PhD, sempre in Tennessee, ha scritto a proposito di un padre i cui abusi sessuali erano già stati dimostrati dai servizi sociali: “sembra essere molto affezionato ai suoi figli e anche se ha avuto comportamenti sessualmente inadeguati con loro, è mia opinione che lo ha fatto in un certo modo“. Hanaway non ha risposto alla richiesta di rilasciare un’intervista.
Alina Feldman, 16 anni, Dallas, Texas, vorrebbe che le denunce di abuso che per la prima volta ha mosso quando aveva quattro anni fossero state prese sul serio dal terapeuta e dal consulente della corte. Se lo avessero fatto, avrebbero potuto risparmiarle ciò che descrive come anni di abusi e sofferenza patiti con suo padre e separata dalla madre che amava.
“Mi puntò un coltello fino al collo e minacciò di uccidermi”, ricorda Alina. “Ha preso un coltello e mi ha tagliato il braccio. A volte mi ha soffocato fino a farmi perdere i sensi. Mi ha spezzato i polsi. ”
Invece di portarla a un medico, racconta, suo padre avrebbe messo il polso in un tutore finché non guarì. Le ha anche torto le braccia in direzioni diverse, afferma. Quando entrò nell’adolescenza, iniziò a sedersi sul gabinetto per guardarla mentre si faceva la doccia. Se piangeva perché le mancava la madre, la puniva negandole il cibo.
Suo padre, inoltre, la teneva isolata: “Se controllava la posta, io ero con lui ogni volta. Non ero mai sola. Non sapevo il mio indirizzo. Non mi era permesso di conoscerlo.”Alina ha detto di aver provato a uccidersi diverse volte. “Ho preso un sacco di pillole, ma mi sono sempre svegliata.”
Rachel Feldman, la madre di Alina, aveva chiesto al tribunale della famiglia, anni prima, di modificare le disposizioni di custodia congiunta che aveva con il suo ex marito Jack. Nel gennaio 2005, a quattro anni, Alina era tornata a casa da una visita con lui e aveva raccontato come suo padre le avesse mostrato le “chiappe”, invitandola ad odorare.
Nelle registrazioni dettagliate delle visite tra Alina e la terapeuta designata dalla Corte, Gail Inman, si sente la bambina che afferma che il “padre le fa mettere la mano sul pene” e che “le sue parti intime sono appiccicose”.
Inman, però, ha [successivamente] testimoniato in tribunale che non aveva riportato le informazioni alle autorità perché non era chiaro se gli incidenti erano “intenzionali o accidentali” e che sembravano avvenuti “molto tempo prima”.
Il consulente assegnato al caso, John Zervopolous, disse al giudice che vivere con il padre era “la soluzione migliore per Alina in termini di accudimento”. Le sue ragioni? Il padre si mostrava più capace della madre, nel corso delle visite al suo studio, di controllare la bambina.
Durante una delle visite programmate per osservare l’interazione tra madre e figlia, Zervopolous osservò che la bambina era restia ad entrare nel suo ufficio e appena la madre cercò di coccolarla per convincerla ad entrare addirittura corse nel corridoio, riportano le carte processuali. Zervopolous ammetteva che avrebbe potuto aver sconvolto la bambina chiedendole delle accuse di abusi sessuali in un momento in cui era solo con lei immediatamente prima del colloquio con la famiglia. Che la bambina fosse rimasta da sola con lui prima che tutti entrassero era stato il risultato di un malinteso, e poteva essere una causa del comportamento della bambina.
Ma qualunque cosa si fosse verificata nel corso di quella visita, Zervopolus lo ha interpretato come un problema con la genitorialità di Rachel Feldman. Aveva permesso ad Alina di esprimere la rabbia e le aveva lasciato una scelta “invece di imporle di fare una cosa”.
Zervopolous disse al giudice che i punteggi dei test psicologici di Jack Feldman erano “entro la norma”. Al contrario, ha descritto i punteggi di Rachel Feldman come indicativi di una persona “immatura … priva di consapevolezza, che fornisce risposte semplicistiche ai problemi e spesso è in conflitto con gli altri.”
Zervopolous ha scritto in una risposta via e-mail alla richiesta di concederci un’intervista che “sarebbe inadeguato commentare un caso in cui sono stato coinvolto professionalmente. Inoltre, non voglio discutere di qualsiasi altra questione che riguardi il tribunale della famiglia”.
Nel 2006 il giudice Susan Rankin ha affidato Alina al padre. Nella sua sentenza Rankin ha affermato che la madre di Alina “avrebbe messo in pericolo il benessere fisico o emotivo della bambina se avesse trascorso un po’ di tempo con lei”. Rankin ha dichiarato che Rachel Feldman “non ha alcuna consapevolezza del modo in cui il suo comportamento abbia influenza sulla figlia … spinge la bambina a dire certe cose … aliena la figlia dal padre … crea nella bambina i problemi dei quali si lamenta … “. Rankin ha anche ordinato alla madre di tenersi alla distanza di almeno 1000 piedi dalla figlia. Se voleva ottenere visite protette con lei, ha scritto il giudice, prima doveva versare 50.000 dollari di cauzione. Perché termini tanto duri? Il giudice riteneva Rachel Feldman pericolosa “a causa della sua instabilità emotiva e della convinzione che il padre stia danneggiando la bambina”.
Poi, nell’aprile del 2012, Alina ha riferito ad un insegnante che la notte prima il padre l’aveva bloccata sul suo letto e che lei aveva lottato, riuscendo a fuggire nella sua stanza e a chiudersi a chiave. “Pensavo: in entrambi i casi ho intenzione di uccidermi. Se lo racconto, lui mi ucciderà. Se non lo racconto, mi ucciderà comunque. Non ce la facevo più”, racconta Alina.
Un dichiarazione giurata firmata dalla terapeuta allora nominata dalla Corte, Donna Milburn, ha confermato la sua versione. Alina ha descritto come suo padre insisteva “per farla dormire nel suo letto quella notte” e quanto era spaventata. Entro un mese dalla sua confessione a scuola, seguita dalla relazione della terapeuta alle autorità, Rachel Feldman ha presentato una domanda per ottenere l’affido della figlia. Undici giorni dopo, il padre di Alina ha firmato un accordo nel quale rinunciava ai suoi diritti di genitore.
Joyanna Silberg, PhD e senior consultant for child and adolescent trauma presso lo Sheppard Pratt Health System di Baltimora, ha identificato 55 casi simili nei quali i tribunali hanno prima concesso l’affido ai presunti abusanti per poi mettere in bambini in sicurezza dopo un secondo intervento.
Se alcuni di questi bambini stanno reagendo bene, ha detto, “tutti riportano traumi che avranno conseguenze permanenti sulla loro salute metale – la consapevolezza del tradimento del sistema, delle persone che avrebbero dovuto proteggerli e invece hanno fatto loro del male, il fatto che non sono stati creduti.” Questi bambini soffrono anche della consapevolezza “che per la persona che amavano più del mondo, più spesso la madre, era impossibile proteggerli “, ha detto Silberg, la cui ricerca è stata finanziata dal Dipartimento di Giustizia. Poi c’è il “ricordo costante degli abusi che hanno subito e il danno prodotto sui loro corpi e le loro anime.”
Per approfondire:
I Giudici si servono di una teoria controversa per punire le madri che denunciano gli abusi?
Traumi infantili, salute e violenza domestica
Le competenze genitoriali dell’uomo violento
Usare i bambini contro le madri: le strategie del violento
Quando sono arrivata alle parole: “secondo intervento”, ho pensato subito le stesse cose che scrivi a seguire sulla salute mentale dei bambini. Mi sta piacendo questo tuo aggiornamento continuo con sempre nuovi post dedicati a tribunali, sentenze, ribaltamenti delle stesse e responsabilità genitoriale, stai dando un quadro davvero ampio ricciocorno e a me personalmente fa sempre piacere leggerti perché mi sei di ispirazione per riflettere anche su questa tematica, la osservo dalla mia angolazione come sai ma anche da quella sto avendo molte conferme, vedendo talune situazioni e poi leggendo i tuoi spunti.
Non mi spaventa niente, Ricciocorno. Ma alcuni bambini ora non li salviamo più. La speranza che avevo, è stata uccisa dalla lealtà tradita. Non si può sempre essere traditi e restare integri. Resistere a ogni nuovo assalto aspettando il prossimo. E poi ancora un altro. La storia che si ripete.. ci fanno impazzire, ci abbandonano in un angolo e poi ci riesumano di tanto in tanto, appena rinvigoriamo, per incassarne ancora. Sanno che siamo dipendenti e prive di diritti e libertà. E ci schiacciano senza rimorsi. Tanto i padri, quanto gli avvocati stessi. Le istituzioni stanno dalla loro parte. Le istituzioni sono contro di noi. La scuola, la legge, il pater familias. Noi ne dobbiamo prendere da tutti. Se resistiamo ce ne daranno ancora. Un giorno ci daranno fuoco e ancora avranno ragione. Sono ciechi e sordi. Noi mute, invece, destinate a vivere in un mondo che non è adeguato a includerci, destinate a parlare e non essere credute. Un giorno verrà un raptus a portarci via, non appena tolta la calzamaglia da principe azzurro.. Non è disperazione, è realismo. Nessuno è preparato adeguatamente, nei tribunali, nelle questure, nei centri antiviolenza. Nelle scuole. Nessuno che osservandoti colga il dramma e ti dia valore, dignità, fiducia..
una vita contro, sole, isolate. In mezzo a tutti, ma diverse. Senza nessuna possibilità di farcela. Sorvegliate a vista. Nessuno si sofferma sui tuoi talenti ma solo su ciò che non va. Non sei sposata? Hai qualcosa che non va! Sei madre e non vai d’accordo col tuo ex? Hai qualcosa che non va! Sei in tribunale? Hai qualcosa che non va! Tuo figlio è sano anche se non sei sposata, non vai d’accordo col tuo ex e sei in Tribunale? Davvero? Non sei brava, non lo sei per nessuno: hai di certo qualcosa che non va! Hai un figlio di otto anni con tutti 10 in pagella, campione regionale di qualche sport e suo padre lo ha frequentato complessivamente per circa 180 giorni dalla nascita? Non è lui un padre inadeguato: sei tu che hai qualcosa che non va.
E i conoscenti fuggono, i familiari cedono, scricchiolano sotto il peso di anni di interminabili istruttorie a causa di un uso puramente strumentale della Legge, contro di te. Neppure la Scuola è accogliente: signora, così giovane e già tutti questi problemi?
E gli uomini? Disarmare se stessa e dare di nuovo fiducia, per poi dover accantonare l’eventuale partner a causa delle cause legali, che già non bastava dover crescere un figlio da sole, tartassate da ogni parte, ci vogliono anche le indagini e i processi. Guardare il partner che cambia, che si domanda se alla fin fine tutte queste agghiaccianti accuse abbiano un fondo di verità, se questo delirio che chiamiamo vita sia l’esito di una psiche un po’ fragile, e ci lascia. Tutti ci lasciano, che si può tenere testa a tutto, tranne ad un nemico di cui non si vede la fine.. comunque l’amarezza non ci lascia mai.. Alzarsi ogni mattino preparare il mio bambino e andare al lavoro, invisibile in mezzo a tutta questa gente. Cercando di non deludere troppo me stessa e colui che conta su di me, e gli avvocati che verranno, le maestre che verranno, la famiglia che aveva grandi aspettative su di me, e senza aver ancora conosciuto amore..
Potremo forse ancora riuscire a strappare qualche altro giorno al destino dei nostri figli, come Maria aspettando il sacrificio di suo figlio sulla croce affinché l’umanità non restasse indifferente alla propria cecità, potremo forse rimandare, ancora quanto? Non un grazie. Solo amarezza, vite distrutte, uniche compagne l’amarezza e la sconfitta. La sconfitta di aver vinto una manciata di giorni e perso due vite, la mia e quella del mio bambino.
Nessuno resiste. Esistenze ai margini. Nessun segno di squilibrio, solo un sistema contro, un sistema che non possiamo cambiare da sole, ed al cui non siamo nemmeno capaci di adattarci fino in fondo.