Lo scorso autunno ho pubblicato a puntate un’inchiesta giornalistica australiana che denunciava il fallimento dei tribunali nel riscontrare e comprendere in modo affidabile la violenza domestica e gli abusi sui bambini.
Quello che segue è un articolo di Laurie Udesky sulla situazione negli USA, dove il movimento delle Battered Mothers da anni manifesta contro un sistema pesantemente viziato dal pregiudizio di genere, a causa del quale sempre più bambini vengono sottratti al cosiddetto “protective parent” per venire affidati in via esclusiva a genitori sui quali gravano prove di abusi e violenze.
L’originale è consultabile qui: Custody in Crisis: How Family Courts Nationwide Put Children in Danger.
La sindrome di alienazione genitoriale si è fatta strada anche a Cleveland, Ohio, in un caso che riguarda abusi fisici. Il giudice del tribunale della famiglia Judith Nicely ha affidato a Leonard Doyle i suoi due figli nel 2012. Nelle motivazioni, il giudice Nicely ha citato la relazione di un consulente: “si è rilevato che la madre ha messo in atto una serie di comportamenti atti ad alienare i bambini dal padre, eliminare il padre dalla loro vita e convincere i bambini che solo lei ha il loro benessere e la loro sicurezza a cuore “.
Poco dopo la decisione del tribunale, il figlio di 11 anni di Doyle e sua sorella minore si sono barricati all’interno della casa dei nonni e hanno chiamato il 911. Ognuno di loro si puntava un coltello al collo.
“Se mi fai andare con mio padre,” ha detto il ragazzo al telefono, secondo una trascrizione del 911 della chiamata, “io mi uccido.” La madre aveva appena informato il ragazzo e sua sorella che il padre – che li aveva feriti fisicamente, causando lesioni che richiedevano cure mediche di emergenza – aveva ottenuto l’affido e il pieno controllo delle visite della madre.
Doyle era un uomo già noto al sistema giudiziario come soggetto violento, che aveva scaricato pedopornografia ed era finito in carcere per atti osceni. Un promemoria del 2008 della procura federale contro Doyle affermava che un’analisi del suo computer da parte dell’FBI aveva scoperto che aveva scaricato “numerose storie che glorificano e mostrano sesso tra adulti e bambini”. Ciò che rendeva il materiale particolarmente inquietante per l’ufficio del procuratore, secondo la nota, era “il fatto che fosse il genitore affidatario dei bambini piccoli all’epoca”, un fatto grave tanto che, scriveva il procuratore, “richiede un ordine di cinque anni di reclusione”.
Il promemoria cita numerosi incontri tra Doyle e la polizia, inclusa una condanna per disturbo della quiete pubblica del 2003 per aver trascinato “per i piedi una vittima sanguinante lungo la strada”. Nel 2008 è stato condannato a 13 mesi di carcere.
Leonard Doyle si è rifiutato di rispondere a domande su questa storia, ma ha minacciato con un messaggio scritto di fare causa nel caso “vengano pubblicate dichiarazioni false o fuorvianti” sul suo caso.
Alla fine di settembre, nel 2008, poco prima che Doyle iniziasse a scontare la pena, il figlio chiamò sua madre, pregandola di andarli a prendere. Secondo i documenti del tribunale, il ragazzo aveva raccontato che il padre l’aveva inseguito sul prato con la sua auto. Spaventata per la loro sicurezza, Robin Doyle aveva preso i bambini e li aveva portati in un rifugio per vittime di violenza domestica, dove avevano ricevuto aiuto.
Un medico, che aveva diagnosticato al figlio una live commozione cerebrale causata da un altro evento nel 2010, ha testimoniato nel 2012 che credeva al ragazzo quando raccontava che suo padre l’aveva colpito in testa. All’evento era anche seguita un’indagine che aveva riscontrato l’abuso, come conferma una lettera del collegio dei commissari della contea di Geauga nel marzo 2010.
La juvenile and family court judge’s guidebook mette in guardia i giudici chiamati a decidere per l’affido che “le accuse di abuso presentate dal genitore a rischio o dal figlio devono essere prese sul serio”. Ma il giudice Nicely ha ignorato le affermazioni del bambino nonostante la conferma del medico che si era davvero fatto male. La sua decisione si è basata invece sulla testimonianza del supervisore nominato dalla Corte, che disse che non aveva mai visto Doyle colpire suo figlio e non pensava che l’incidente fosse realmente avvenuto.
Nonostante le prove concrete a supporto degli avvenuti abusi, il giudice ha scritto che il padre era stato “estremamente paziente durante questo processo” e che “sembrava essere maturato”. Al contrario, ha dichiarato, “la madre non ha fatto nulla per incoraggiare i bambini a costruire un rapporto positivo con il padre dopo la sua scarcerazione e ha cercato attivamente di tenere il padre fuori dalla loro vita”.
Per quanto riguarda gli abusi sui bambini, il giudice si è avvalso di una relazione della tutrice legale per il caso, Sandra McPherson. Nella sua relazione, McPherson ha espressamente dichiarato di “aver lavorato a partire dalla premessa che gli atti di violenza del padre contro i bambini non erano mai accaduti”.
Come è prassi in questi casi, il tribunale ha sigillato tutti i documenti medici e psicologici relativi ai bambini.
Robin Doyle non vede i suoi figli dall’ottobre del 2015; in quell’occasione rimasero con lei per due settimane, perché “l’ospedale locale non ha voluto che i bambini rimanessero affdati al padre “, ha dichiarato Doyle. All’epoca, il suo ex marito era stato accusato dai figli di aver spinto il ragazzo di 14 anni così forte che la sua mano aveva attraversato una finestra e le lesioni avevano richiesto un intervento chirurgico d’emergenza, così risulta dalla dichiarazioni registrate dalla polizia locale.
Alcuni mesi più tardi, i bambini erano fuggiti da casa verso i boschi vicini con solo qualche snack in tasca. Trovati dalla polizia, i bambini erano stati interrogati. In una dichiarazione alla polizia, la figlia aveva parlato delle ferite del fratello, aveva pianto e raccontato che erano terrorizzati dal padre e avevano paura di tornare a casa.
Robin Doyle aveva richiesto un ordine di protezione per i suoi figli. Non lo sapeva, ma nello stesso momento il suo ex marito presentava un ordine simile contro di lei. Dopo due settimane i bambini vennero riaffidati al padre.
“Non prendono sul serio le richieste d’aiuto dei bambini”, ha detto Robin Doyle, parlando della corte. “Li ignorano.”
Joan Meier, che dirige anche il Domestic Violence Legal Empowerment and Appeals Project e ha collaborato al caso Doyle, sostiene che le azioni del tribunale si possono spiegare solo con l’alienazione genitoriale.
“Una volta che sei etichettato come un alienatore, indossi una lettera scarlatta che non ti permetterà mai di avere affidati i tuoi figli, anche quando diventa evidente che i bambini subiscono abusi dall’altro genitore, che era poi ciò che avevi denunciato.”
In una recente intervista, Doyle ha detto che prega ogni giorno per la salvezza dei suoi figli. “Amo i miei figli più della vita stessa”, ha detto a un giornalista. “Mi mancano terribilmente.” Riporta quanto le venne detto dan un avvocato, che un giorno potrà far loro vedere tutte le carte che testimoniano le sue battaglie in tribunale “e mostrare loro che non ho mai rinunciato”. Doyle sta sta cercando di capire quale potrà essere la sua prossima mossa.
L’indignazione per queste decisioni dei tribunali di famiglia aumenta tra i sostenitori dei diritti dei bambini: “Una parte del sistema non può essere ritenuta responsabile di ciò che fa ai cittadini che dovrebbe tutelare”, ha dichiarato Kathleen Russell del CJE. “Non puoi perseguire mediatori, consulenti tecnici, giudici, cosicché queste persone operano al di sopra della legge e finché non potranno essere giudicate per questi crimini contro i bambini, continueremo a vedere cose del genere.”.
Una soluzione è quella di convincere il Congresso a intraprendere azioni per riformare il tormentato tribunale della famiglia. Un certo numero di associazioni che combattono gli abusi sui minori e la violenza domestica, inclusa quella di Russell, hanno fatto qualche proposta.
Una risoluzione che chiede al Congresso di riconoscere che “la sicurezza dei bambini deve essere il primo criterio sulla base del quale decidere le modalità di affido” è stata presentata dal repubblicano Ted Poe del Texas e dalla democratica Carolyn Maloney di New York. La risoluzione chiede al Congresso di riconoscere che più di 15 milioni di bambini ogni anno sono esposti alla violenza domestica e/o all’abuso sui minori; che l’abuso sessuale dei minori “è un fenomeno poco denunciato e sottostimato dal sistema giuridico”; che la ricerca dimostra che le accuse di abuso fisico e sessuale dei bambini “vengono spesso ignorate” se sollevate nel corso di cause per l’affido e che “teorie prive di supporto scientifico come la Sindrome di alienazione genitoriale” sono spesso usate per screditare le denuncie di abusi.
Nel frattempo, nel Tennessee, Karen Gill e suo figlio, Daniel, sperano nella giustizia. Il ragazzo è tornato con sua madre, e il loro caso contro Darryl Sawyer è in attesa di essere discusso in un tribunale penale.
Gill, una donna alta con un grande sorriso e cerchi scuri sotto gli occhi, ricorda gli anni in cui poteva vedere Daniel solo saltuariamente. Era diverso, più riservato del felice ragazzino che aveva conosciuto. Ma lei aveva paura di riferire di nuovo le sue preoccupazioni perché avrebbe perso ogni possibilità di vederlo. Finché nel 2011 – tre anni dopo che Gill aveva perso l’affido di suo figlio – Daniel, che aveva otto anni, nel corso di una visita con lei raccontò che suo padre lo abusava sessualmente.
Terrorizzata all’idea di tornare in un tribunale della famiglia, Gill ha contattato l’FBI. L’indagine, che ricomprendeva dei colloqui con Daniel, ha portato ad un’atto di accusa del Gran Giurì contro Sawyer per violenza sessuale su minore.
Secondo la relazione dell’FBI, Daniel ha raccontato che Sawyer lo aveva violentato un sabato pomeriggio nella camera da letto principale e poi lo aveva costretto anche a guardare “spettacoli sessuali” su un computer portatile nel seminterrato mentre veniva abusato.
Il rapporto ha anche affermato che Sawyer, un veterinario, aveva messo Daniel in una “gabbia per cani” e lo aveva torturato con uno strumento “perché aveva parlato con sua madre”.
L’udienza nel tribunale penale è stata rinviata più volte. Ogni rinvio ha intensificato l’ansia che la opprime, ha raccontato Gill. Finché Sawyer rimane libero e non è ritenuto colpevole, dice, si sentirà sempre vulnerabile. “Mi sento cacciata, siamo come delle prede.”
Alla richiesta di commentare per conto del suo cliente, l’avvocato difensore di Sawyer, Ed Yarbrough, ha dichiarato: “Non intendiamo discutere questo caso sui giornali. Ci difenderemo in tribunale. ”
Per quanto riguarda il tredicenne Daniel, ha aspettato quattro anni per testimoniare contro il padre. Spera che se e quando verrà il suo momento, questa volta sarà creduto.
Questa storia è stata prodotta in collaborazione con il G.W. Williams Center for Independent Journalism e sovvenzionata dal Fund for Investigative Journalism.
Laurie Udesky è una giornalista di San Francisco. Un articolo da lei precedente scritto per Salon, “No School Nurses Left Behind”, ha vinto un premio dell’Association of Health Care Journalists.
Mi chiedo ogni giorno della mia vita come sia possibile una cosa del genere. Eppure lo vivo. Esiste. E’ esattamente così che stanno le cose. Non solo in America, Australia…ma qui da noi dove oggi essere madre – e madre perbene e amorevole – è un reato.
La vita è distrutta e non sarà mai più la stessa.
si parla tanto di tutela ai minori…ma dove??? quando???da quando si parla di bigenitorialita’ e di padri che dabbo le vittime,gli unici ad essere tutelati sono proprio loro a spese,non solo delle madri,ma soprattutto dei minori la cui volontà e serenità viene messa da parte per soddisfare un bisogno egoistico di alcuni genitori…il cui intento non è quello di fare da genitore,ma di fare un dispetto all’ altro coniuge,fregandosene dei traumi che i bambini subiscono… è una vergogna!!!!