Una traduzione da They were taken from their mom to rebond with their dad. It didn’t go well, di
Laura Jeu sentì che c’era qualcosa che non andava quando sua madre, Sharon, tornò da un’udienza alla fine di novembre 2011. Sharon Jeu aveva semplicemente detto ai suoi quattro figli di prepararsi per andare a trovare il padre. Ma lo sguardo negli occhi di sua madre aveva fatto comprendere a Laura, allora sedicenne, che quello non sarebbe stato una delle normali visite che si erano succedute nei sei anni di battaglia per l’affido dei suoi genitori.
“Ho capito che aveva pianto”, ha ricordato Laura, una donna minuta e dai capelli scuri di 22 anni. Mentre raccontava la sua storia tormentava il bordo sfilacciato della sua camicia a quadri. “Sapevo che era successo qualcosa di insolito. Non c’era modo di convincermi a salire in quell’auto”.
Quello che Laura allora non sapeva era che il giudice del tribunale di Loudoun County (Va.), Burke McCahill, aveva appena concesso a suo padre, Raphael, la custodia temporanea dei figli per portarli ad un seminario di quattro giorni in California allo scopo di recuperare il loro rapporto. Il giudice ordinò a Sharon di portare i bambini dalla sua casa in Pennsylvania all’ufficio del loro terapeuta in Virginia, senza dire loro dove sarebbero davvero andati, secondo l’ordine di custodia provvisoria. Se Sharon non fosse riuscita a convincerli, aveva avvertito McCahill, un mandato di arresto sarebbe stato emesso a suo carico.
“Doveva mentire”, ha raccontato June Burke, un’amica di famiglia, che accompagnò Sharon all’udienza in tribunale. “Ma i bambini sapevano che c’era qualcosa che non andava”.
Allarmati, i bambini si rifiutarono di salire in macchina e, ha ricordato Sharon, non solo i suoi figli erano troppo grandi per essere costretti, ma lei nutriva gravi preoccupazioni per la loro salute mentale. Disperata, chiamò un’unità psichiatrica di emergenza che inviò a casa dei terapeuti, i quali però non riuscirono a persuadere i bambini ad entrare in macchina.
Senza dirlo alla madre, ricorda, Laura chiamò l’avvocato di Sharon, dicendo che lei e i suoi fratelli si sarebbero suicidati. Anche l’avvocato allora chiamò l’unità di emergenza, che suggerì a Sharon di portare Laura e i tre ragazzi – allora di 13, 12 e 9 anni – al Chambersburg Hospital di Chambersburg, Pa. Sharon e i suoi figli erano al pronto soccorso quando Raphael arrivò con l’ordine di custodia, alcuni amici e la polizia di Chambersburg. L’ospedale consegnò i ragazzi a Raphael, che li infilò in un minivan e li portò a casa sua. “Li ho abbracciati e ho detto loro di essere forti e di avere fede, mentre mi dicevo la stessa cosa”, ha ricordato Sharon. (L’ospedale non ha commentato, citando questioni di privacy.)
“Sono rimasto scioccato per quanto i bambini fossero sconvolti e stressati e irrazionali, Laura in particolare continuava a urlare: Mi ucciderà”, ha raccontato Jeff Milrod, un amico di Raphael della Chiesa dello Spirito Santo di Leesburg, Va. “Non capivo come potesse dire una cosa del genere”, ha aggiunto Milrod, che ha descritto Raphael come “un uomo gentile e amorevole”.
Storditi e afflitti dalla nostalgia di casa, i ragazzi rimasero a casa di Raphael per due settimane, hanno riferito i fratelli maggiori, con visite occasionali da parte dei membri dell’ufficio dello sceriffo della contea di Loudoun e dei servizi di protezione dell’infanzia. (che non hanno risposto alle richieste di informazioni.) Anche se nessuno dei due ricorda bene quel periodo, David, ora diaciannovenne, ha raccontato che c’erano adulti e polizia che entravano e uscivano di casa, mentre lui, i suoi fratelli e la sorella per lo più stavano seduti sul divano in uno stato di torpore.
La notte del 14 dicembre, ricordano Laura e David, furono bruscamente svegliati da Raphael, accompagnato da quattro adulti corpulenti. Gli adulti, della Bill Lane & Associates, un servizio di trasporto giovanile con sede a San Diego, portarono i ragazzi disorientati in auto. Con poca comprensione di ciò che stava accadendo, spaventati, vennero separati e mandati via: Laura ha ricordato che era con un uomo e una donna, mentre i tre ragazzi partirono con gli altri due uomini. Dopo aver trascorso il resto della serata in un motel, Laura fu portata all’aeroporto internazionale di Dulles mentre i suoi fratelli si recavano all’aeroporto internazionale Marshall di Baltimore-Washington; all’alba del 15 dicembre si imbarcarono sui voli per la California. Era un momento agrodolce per i ragazzi, che sognavano di viaggiare per il mondo, secondo Laura: era la loro prima volta su un aereo.
“Mi ha fatto capire quanto fossimo vulnerabili”, ha detto Laura. “Potevano separarci o prenderci in qualsiasi momento, e non c’era niente che potessimo fare”.
Quando atterrarono all’aeroporto internazionale di San Francisco,ad accoglierli c’era Raphael, che, insieme agli agenti, li ha portò al Larkspur Inn nella Mill Valley, a nord di San Francisco, per iniziare il loro programma di riunificazione. Sarebbe trascorso quasi un anno prima che i ragazzi Jeu potessero di nuovo vedere o parlare con la madre.
Laura, David e i loro fratelli fanno parte di un numero crescente di bambini coinvolti in casi di divorzio gravemente conflittuale che vengono inviati – spesso contro la loro volontà – a partecipare a programmi di “riunificazione”, un fenomeno emergente la cui efficacia è indimostrata, che possono costare decine di migliaia di dollari. Questi programmi sono nati nell’ultimo decennio soprattutto per affrontare l’alienazione genitoriale, un controverso disturbo nominato per la prima volta nel 1985 dallo psichiatra Richard Gardner che si riferisce ad una situazione in cui un bambino sceglie di non avere una relazione con un genitore a causa dell’influenza dell’altro genitore. Gli oppositori accusano i programmi di riunificazione, e le stesse accuse di alienazione dei genitori, di essere ciarlatanerie – solo uno strumento per mezzo del quale avvocati, psicologi e assistenti sociali traggono profitto dai genitori coinvolti in aspre battaglie per l’affido, e, per il genitore più ricco, un modo per ottenere la custodia dei figli. I sostenitori sostengono che l’alienazione genitoriale comporta danni psicologici che dovrebbero essere riconosciuti dalla comunità terapeutica e dalla legge sulla responsabilità civile, e che i programmi di riunificazione sono a volte l’unico modo per rimettere insieme le famiglie.
I casellari giudiziari mostrano che il giudice McCahill era frustrato dalla disputa di lunga durata dei Jeus, che ruotavaa principalmente attorno alla riluttanza dei bambini nel fare visita al padre. Sebbene riconoscesse entrambi i genitori colpevoli della situazione, il giudice e il terapista Christopher Lane, nominato dal tribunale dei minori, concordarono sul fatto che Sharon aveva alienato i bambini da Raphael. (Il giudice, Lane e l’ex avvocato di Raphael, Bruce McLaughlin, non hanno risposto alla richiesta di essere intervistati.) L’alienazione era sorta, aveva rilevato il giudice, perché Sharon “aveva uno stile genitoriale intricato, con confini vaghi a causa dei suoi bisogni e delle sue ansie. …. Aveva difficoltà a fissare dei limiti, e ci sono state alcune inversioni nei ruoli genitore-bambino”.
Nell’autunno del 2011, Raphael trovò una soluzione che convinse il giudice esasperato che ci fosse la possibilità di una svolta: un programma chiamato Family Bridges, che a Raphael era stato consigliato dal suo terapeuta. La sua premessa – e quella di servizi simili – è che se i figli e il genitore alienato trascorrono ininterrottamente del tempo insieme, senza interferenze da parte dell’altro genitore, è possibile recuperare il loro rapporto. Per incoraggiare questo risultato, tuttavia, questo e altri programmi richiedono due controverse misure legali: il giudice deve concedere l’affido esclusivo al genitore alienato e deve ordinare ai figli di non avere alcun contatto con il genitore favorito per 90 giorni dopo il completamento del workshop.
Raphael credeva di non avere scelta. “Stavo cercando una risposta. Stavo cercando una soluzione. E quando hanno raccomandato un programma come Family Bridges, ho dovuto prenderlo in considerazione”, ha dichiarato in una recente intervista. Pensa che il giudice abbia accettato la proposta di un nuovo regime di affido perché aveva provato “un senso di sicurezza sapendo che ci stavamo affidando a qualcosa come Family Bridges”.
Poiché i workshop sono gestiti privatamente e molti dei programmi nascono rapidamente, il numero di famiglie che si affidano a loro è difficile da determinare. (Negli atti giudiziari, i fondatori di Family Bridges hanno dichiarato di aver visto un aumento dei loro partecipanti negli ultimi cinque anni.)
Una ricerca canadese ha rilevato che i giudici hanno ordinato programmi di ricongiungimento familiare nel 27 per cento di tutti i casi di separazione in cui c’era un’accusa di alienazione. Mentre non esistono ricerche simili disponibili negli Stati Uniti, l’assistente sociale Shely Polak, che ha passato cinque anni a studiare i programmi canadesi e statunitensi per la sua tesi, pensa che la percentuale negli Stati Uniti sia significativamente più alta.
“Chiunque può appendere un’insegna sulla propria porta”, ha detto Polak, che si è interessata ai servizi di riunificazione dopo aver iniziato il proprio, Families Moving Forward, al quale però entrambi i genitori devono partecipare. “E’ come il selvaggio West là fuori”.
Oltre ai Jeus, ho intervistato i figli o esaminato i documenti di altri otto casi di affido – in Michigan, the District, Seattle, Miami, Miami, New Jersey, Utah, Montana e Long Beach, California – anche se non tutte le famiglie hanno scelto di rilasciare una testimonianza. I casi si sono verificati tra il 2011 e il 2016, e tutti tranne uno riguardano Family Bridges. In molti di essi si sono verificati eventi simili: il giudice ha modificato il regime di affido, gli agenti addetti al trasporto hanno preso i bambini e li hanno scortati in aereo in un altro stato, dove degli estranei li hanno incontrati negli alberghi e li hanno istruiti a riunirsi con il loro presunto genitore alienato. Sono stati avvertiti che se avessero cercato di contattare l’altro genitore, quel genitore avrebbe potuto essere arrestato e imprigionato. Tutti hanno avuto difficoltà a ricongiungersi con il genitore che originariamente aveva l’affidamento.
Più di 800.000 coppie divorziano ogni anno negli Stati Uniti, secondo i Centers for Disease Control and Prevention; le ricerche hanno dimostrato che più di tre quarti degli intervistati elaborano un accordo senza alcun intervento del tribunale. Nei casi che vanno in tribunale, trovare una soluzione ai sensi dell’attuale standard legale, “l’interesse superiore del bambino”, può portare a mozioni e contromozioni frustranti e anni di contenzioso.
C’è poca ricerca scientifica ad aiutare i professionisti a determinare il miglior accordo di possibile sulla base del “superiore interesse del bambino”. “Come se fossero antibiotici, stiamo abitualmente prescrivendo qualcosa, ma in questo caso non siamo nemmeno sicuri che funzioni”, ha affermato il professore dell’Università della Virginia Robert Emery, direttore della scuola del Center for Children, Families and the Law.
Ad esempio, le decisioni sono prese quotidianamente sulla base di diagnosi di alienazione genitoriale, compresi i casi in cui i bambini vengono inviati ai programmi di ricongiungimento, nonostante il disaccordo sulla sua esistenza. La sindrome non è stata inclusa nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), che elenca tutti i disturbi psichiatrici, e questo ha creato un’enorme incertezza circa il suo utilizzo nel sistema giuridico. (L’American Psychiatric Association, che prende le decisioni sull’inclusione nel DSM, non ha una posizione ufficiale sulla sindrome di alienazione genitoriale.)
Coloro che sostengono l’esistenza del disturbo, come William Bernet, professore emerito in psichiatria e scienze comportamentali alla Vanderbilt University School of Medicine, dicono che esiste ricerca a supporto della sua esistenza. Come esempio cita il libro della psicologa Amy Baker, “Adult Children of Parental Alienation Syndrome: Breaking the Ties That Bind”, basato su interviste con 40 persone che si sono definite affette da alienazione genitoriale. Ciò che si perde nella battaglia al vetriolo [sulla fondatezza del concetto di alienazione genitoriale], ha dichiarato Bernet, è la realtà dei comportamenti tipici dell’alienazione genitoriale, che possono essere mitigati se affrontati nelle prime fasi del processo.
Gli oppositori avvertono che non esiste un metodo scientifico che dimostri cosa spinge un bambino a non voler interagire con un genitore, e che la ricerca ha dimostrato che molti fattori, come le scarse competenze genitoriali, l’abuso o le reazioni ai continui sconvolgimenti, debbono essere tenuti in considerazione.
“Non c’è nessuna prova scientifica o modo per determinare se i bambini si sono allontanati perché maltrattati o se un genitore favorito li ha rivolti contro l’altro genitore,” ha detto Joan Meier, clinical professor presso la George Washington University Law School e fondatrice del Domestic Violence Legal Empowerment and Appeals Project, che fornisce assistenza in appello nei casi di violenza domestica.
Proprio come la ricerca non ha definitivamente dimostrato la validità dell’alienazione genitoriale, non ha dimostrato che i programmi di ricongiungimento familiare funzionino. Spesso i workshop sono fatturati come educativi o psico-educativi, il che permette loro di aggirare le norme mediche e la supervisione (non sono coperti da assicurazione sanitaria).
L’unico psicologo che ha valutato Family Bridges, ad esempio, è il texano Richard Warshak, che ha contribuito allo sviluppo del programma, è stato uno dei suoi creatori e ha testimoniato in casi di affido a sostegno dell’invio di bambini ai workshop, dove i suoi DVD e libri sono spesso materiali necessari. Ha scritto tre articoli che citano l’efficacia di Family Bridges; un articolo sostiene che il 95% degli interventi ha avuto successo, anche se il numero è sceso all’83% dopo che i bambini sono tornati a casa. (Warshak ha rifiutato di essere intervistato a causa di possibili controversie future.)
Per contro, quando una valutazione esterna non ha potuto dimostrare l’efficacia di un programma gestito da Overcoming Barriers, con sede nel Massachusetts, l’organizzazione non profit ha deciso di chiudere il suo workshop di quattro giorni per le famiglie in situazioni di alto conflitto.
“Dobbiamo davvero capire quanto questi bambini siano traumatizzati dal conflitto dei loro genitori”, ha detto Peggie Ward, co-fondatrice di Overcoming Barriers. “Ma siamo arrivati al punto in cui il sistema familiare è così polarizzato ….. non ci sono più decisioni sfumate”.
Laura e David Jeu hanno detto che la battaglia per l’affido dei loro genitori non ha nulla a che fare con la loro crescente disaffezione per il padre (i bambini più piccoli, che sono minori, non sono stati intervistati per questo articolo). I loro problemi con lui, hanno detto, sono iniziati molto prima del divorzio dei loro genitori.
Raphael, 57 anni, che è emigrato con la sua famiglia dalla Corea del Sud in America all’età di 7 anni, è cresciuto a Bethesda, Md. e lavora come analista gestionale nell’amministrazione del governo federale. Sharon, 57 anni, è nata e cresciuta nella Pennsylvania centro-meridionale e attualmente lavora nel settore della vendita al dettaglio. La coppia si è incontrata in un campeggio della parrocchia e si è sposata nell’ottobre 1993, quando entrambi avevano 33 anni. La loro famiglia di sei persone viveva fuori Leesburg, nel nord della Virginia. Sharon ha instruito a casa i quattro bambini, che andavano in bicicletta e giocavano con gli amici di quartiere fino a sera, quando il padre parcheggiava nel vialetto. La vita della famiglia ruotava attorno al lavoro, alla chiesa e, dicono Laura e David, al variare dell’umore di Raphael.
David, alto e magro, con un debole per la matematica e facile al sorriso, ha raccontato che suo padre governava la casa con il pugno di ferro. “Aveva una natura imprevedibile. Non eravate sicuri se sarebbe stata una bella persona che vi avrebbe portato a fare un giro in bicicletta o se si sarebbe arrabbiato, e sareste stati schiaffeggiati o colpiti”, ha detto.
Nel 2004, Sharon ha deciso di prendere i bambini e andarsene, e nel 2005, Raphael ha intentato una causa per vederli. I bambini non volevano frequentarlo, ha affermato Sharon, perché Raphael a volte era stato fisicamente aggressivo con lei e con loro. In una deposizione, Raffaello ha negato di aver mai colpito Sharon o di aver usato violenza ai bambini, se non occasionalmente sculacciandoli quando erano più giovani e afferrando i polsi per trattenerli quando erano più grandi.
“Se fossi un maltrattante, [Sharon] avrebbe tonnellate e tonnellate di fotografie”, ha detto Raphael di recente. “Abbiamo scattato foto di tutto”. Avevamo libri pieni di fotografie….. e direi che non ci sono [foto che mostrano abusi]”.
Il caso è arrivato al tribunale del circuito della contea di Loudoun. Il giudice ha deciso per l’affido condiviso, con i bambini in visita dal padre ogni fine settimana, ma i bambini non volevano andare.
“Mi aggrappavo fisicamente ai sedili della macchina di mia madre; passavamo ore nel vialetto rifiutandoci di scendere”, ha detto David.
I bambini hanno segnalato gli abusi ai loro terapeuti e alla corte. In tribunale, [il giudice] McCahill ha detto, “Il padre ha usato la punizione corporale, e …. era rigido e controllante e, a volte, ci sono stati alcuni comportamenti violenti”, mostrano le trascrizioni.
Eppure, il giudice, che credeva che anche Sharon avesse le sue responsabilità, ha permesso che le visite continuassero. Un tale approccio non è raro; uno studio dell’Istituto Nazionale della Giustizia del 2011 condotto da Daniel Saunders dell’Università del Michigan ha scoperto che il 47% dei consulenti raccomanda contatti senza supervisione anche quando ci sono state segnalazioni di violenza in famiglia.
L’avvocato Gregory Jacob, partner dello studio legale internazionale O’Melveny & Myers, ha discusso un certo numero di casi di affido pro-bono all’anno per quasi due decenni. Per questo, ha dichiarato, ha familiarità con le accuse di abusi domestici e di alienazione genitoriale; ha detto che crede che quest’ultima accada, anche se “neanche lontanamente con la frequenza con cui viene utilizzata come strategia di difesa da parte degli autori di abusi”.
Prima che Jacob accettasse il caso dei ragazzi Jeu nel 2012, tuttavia, non era a conoscenza dei programmi di ricongiungimento familiare. “Non avevo mai visto niente di simile”, si è espresso a proposito dell’ordine di McCahill di affidare temporaneamente i figli a Raphael e inviarli a Family Bridges.
Secondo gli atti giudiziari, il fondatore di Family Bridges Randy Rand ha detto a Raphael che avrebbe dovuto ottenere l’affido e pagare un importo di 29.000 dollari – esclusi viaggio, vitto e alloggio – prima che lui e i bambini potessero iniziare il workshop (il programma di quattro giorni costa da 25.000 a 40.000 dollari, ed è pagato dal genitore che partecipa).
“I programmi sono fondamentalmente una frode. Era chiaro per me che cosa stavano facendo, ovvero incassando ingenti somme in cambio dell’ottenimento dell’affido” ha detto Jacob.
Una volta che un giudice concede l’affido esclusivo ad un genitore, sostiene Jacob, il genitore non affidatario deve affrontare una strada tutta in salita per riavere i bambini, perché i tribunali non amano cambiare spesso idea. Al momento – o se – il regime di affido precedente viene ripristinato, i bambini di solito non avranno parlato con l’altro genitore per almeno tre mesi.
Nel caso Jeu, i ragazzi non hanno avuto contatti con Sharon dla dicembre 2011 al dicembre 2012. Il giudice avrebbe più tardi dichiarato che Sharon “era uscita di scena”. Ma secondo Jacob, Sharon stava cercando di soddisfare la richiesta del giudice di far loro frequentare un workshop Family Bridges per poter rivedere i bambini. Family Bridges non avrebbe collaborato, disse Jacob, e Sharon non poteva più permettersi un avvocato privato. Sharon ha poi cercato aiuto legale, e Jacob ha accettato il caso nell’agosto 2012. Nell’ottobre di quell’anno, ha presentato una mozione per ribaltare l’ordine di affido provvisorio; in dicembre, Sharon ha visto i bambini per alcune ore e nel 2013 ha iniziato ad avere contatti regolari con loro.
Nelle altre otto cause esaminate per questo articolo, tutti i bambini hanno dovuto aspettare più di 90 giorni prima di vedere o parlare con i loro genitori favoriti, e nessuno degli ordini di affido è stato annullato. Un caso ha coinvolto Hannah Mills del Michigan. Ha frequentato Family Bridges nell’agosto 2015 dopo che l’affido è stato trasferito a suo padre, Kurt. Aveva 15 anni, era depressa e si procurava dei tagli, ha detto in recenti interviste. Hannah ha affermato che Rand le intimava che se non avesse smesso di piangere sarebbe stata inviata ad un programma residenziale e avrebbe potuto non rivedere mai più sua madre. (Erano trascorsi 171 giorni, ha detto sua madre, quando ha rivisto Hannah.) Terrorizzata, ha raccontato, Hannah ha accettato di andare avanti, ma dopo il completamento del workshop è stata inviata a vivere con suo padre, al quale era stato concesso l’affido esclusivo permanente nel settembre 2016. (Kurt Mills non ha risposto ad una richiesta di intervista.)
In un altro caso, il giudice della Corte Superiore di Seattle, Regina Cahan, ha ordinato alla diciassettenne Arianna Riley e a sua sorella di 13 anni di frequentare Family Bridges nel 2016 per ricongiungersi con la madre, Suzette. “Sono caduta a terra urlando: Non prendermi, non acconsento a questo”, racconta Arianna, ma gli agenti di trasporto le dissero che il giudice l’avrebbe messa in carcere o in un’unità psichiatrica se non fosse andata con loro. Dopo aver completato il programma, Arianna ha depositato e vinto l’emancipazione legale dai suoi genitori nell’agosto 2016. Vive con suo padre. Sua sorella è ancora affidata Suzette, che ha inviato tutte le domande al suo avvocato. Arianna e suo padre hanno detto di non vedere o parlare con la ragazza più giovane da settembre.
Dopo aver trascorso una notte insonne chiusi in camere d’albergo con gli agenti addetti al trasporto, Laura e David hanno raccontato di essere stati scortati in una sala conferenze al Larkspur Inn nella contea di Marin la mattina del 16 dicembre 2011.
Lì hanno incontrarono tre adulti: Deirdre Rand, psicologa e moglie del fondatore di Family Bridges, Randy Rand; Edward Oklan, uno psichiatra infantile; e un’assistente di nome Anne.
(Randy Rand, che non ha la licenza per esercitare come psicologo, era anche lì – in qualità di amministratore. Il California Board of Psychology revocò la licenza di Rand nel 2009, dopo aver stabilito che egli non aveva agito in modo imparziale in un caso e aveva testimoniato impropriamente in un altro. Invece di contestare la revoca, Rand ha scelto di non praticare più la professione, secondo gli atti giudiziari. Rand e il personale di Family Bridges non ha risposto alle richieste di commento. Raggiunta telefonicamente, Deirdre Rand ha rifiutato di essere intervistata.)
Edward Oklan disse ai ragazzi che stavano per imparare a interagire con il padre attraverso esercizi nel corso di un workshop. Lesse loro l’ordine del tribunale, che dichiarava che il padre aveva l’affido esclusivo e che non dovevano avere contatti con la madre per almeno 90 giorni.
Laura ha raccontato: “Mi sentivo come se vivessimo in un altro paese. Non potevo credere che ciò stesse accadendo in America”.
I ragazzi hanno trovato il laboratorio alternativamente confuso e noioso. Parte della giornata consisteva nel guardare video, tra cui “Welcome Back, Pluto”, che, a detta di Family Bridges, spiega l’alienazione genitoriale e insegna ai bambini a ricostruire i rapporti danneggiati da un grave conflitto; è stato sviluppato e viene venduto da Warshak. I bambini hanno anche guardato una clip dallo show ABC “Desperate Housewives”, secondo le deposizioni del tribunale, e hanno fatto rompicapi, secondo David, che ha trovato il programma pieno di “compiti senza senso”.
Nei restanti tre giorni, i ragazzi pranzarono con il padre e parteciparono a finti incontri familiari. I bambini più grandi hanno detto che erano terrorizzati dall’idea che se non avessero eseguito gli ordini non avrebbero mai più visto la madre, perché, sostengono, Rand aveva suggerito loro che la madre sarebbe potuta finire in prigione o avrebbe dovuto affrontare gravi sanzioni se si fossero messi in contatto.
L’ultimo giorno del programma per i ragazzi Jeu, Oklan disse loro che, tornati nella casa di Raphael, sarebbero stati finalmente in grado di recuperare il loro rapporto con lui.
Ma i ragazzi non erano d’accordo. “Semmai”, ha detto David, “Family Bridges mi ha fatto arrabbiare di più per la mia situazione e mi ha fatto desiderare il suicidio come non lo avevo mai desiderato prima.”
Raphael, tuttavia, crede che Family Bridges abbia migliorato il suo rapporto con i figli. “Mi ricordo di aver cucinato qualcosa….. e ho urlato ‘Ow!’ e i bambini non hanno detto niente”, ha raccontato di recente. “Dopo Family Bridges, quando succedeva qualcosa del genere loro chiedevano: ‘Stai bene?’ – è un grosso passo avanti rispetto a prima”. Ha anche citato il fatto che David gli ha inviato un messaggio qualche mese fa; David ha replicato che a volte risponde ai testi di Raphael con un “sì” o un “no” per proteggere i suoi fratelli più piccoli, che sono ancora soggetti all’ordine del tribunale che impone loro contatti con il padre.
Dopo il loro ritorno in Virginia, ha raccontato Laura, le mancava sua madre ma aveva paura di raggiungerla mentre era in vigore l’ordine del tribunale. Ha ricordato di essere andata alla Rust Library di Leesburg, dove ha nascosto una lettera all’interno di un libro che sperava sarebbe stato controllato: La busta diceva: “Se questa lettera viene trovata, si prega di inviare a mia madre”.
All’inizio del 2013, Jacob e il suo collega David R. Dorey hanno presentato una richiesta di restituzione dell’affido dei ragazzi Jeu alla madre e si sono preparati ad un processo primaverile.
Il 23 marzo 2013, prima del processo, Laura ha compiuto 18 anni.
“Il giorno dopo il mio compleanno”, ha detto, “ho voltato le spalle e sono uscita”. Dopo una settimana di vacanza con sua madre, ha vissuto a casa di un vicino di casa mentre terminava il suo ultimo anno di liceo nella contea di Loudoun. Dopo la laurea, è tornata a Greencastle, Pa. e sta frequentando l’università nelle vicinanze, nel Maryland, mentre lavora in una società di ingegneria civile. Ha detto che ha parlato a malapena con suo padre negli ultimi quattro anni e non crede che avrà mai un rapporto con lui.
Il 23 luglio 2013, il tribunale ha stabilito che Sharon e Raphael dovranno condividere la custodia legale e fisica dei bambini, che vivono con Sharon durante l’anno scolastico. Per quanto ne sanno gli avvocati di Sharon, questa è l’unica volta che un tribunale ha restituito l’affidamento ad un genitore favorito a seguito di un programma di ricongiungimento familiare. Raphael ha ancora l’ultima parola sulle decisioni mediche ed educative.
Durante l’udienza conclusiva, McCahill ha fatto riferimento alla visita dei bambini all’ospedale di Chambersburg e all’intervento della polizia e degli agenti addetti al trasporto in California, e ha dichiarato che è stato “molto, molto preoccupante per me sentire, sai, come tutto questo è messo in atto, e me ne rammarico. Vorrei solo che ci fosse un modo per far tornare indietro il tempo, vorrei non aver mai lasciato che quei bambini sperimentassero qualcosa di così traumatico”.
Il California Department of Consumer Affairs ha aperto un’indagine su Family Bridges per conto della famiglia Riley. Nel frattempo, Jacob e Dorey hanno usato le deposizioni dei Rands nel caso Jeu per presentare denunce, per conto di Sharon, al California Board of Psychology. “La speranza è quella di fare luce su ciò che accade effettivamente durante un programma Family Bridges, che è anni luce dai rapporti aneddotici non verificati che Warshak e altri hanno pubblicato nel tentativo di creare un mercato per i loro programmi”, ha detto Jacob. “Il resto spetta all’ente di concessione delle licenze”.
Nonostante la nuova sentenza, Raphael ha presentato una nuova mozione, sostenendo che Sharon non si stava conformando agli ordini. Il caso si è trascinato per altri due anni. Nel 2015, circa un decennio dopo l’inizio della battaglia per l’affido dei Jeu, il contenzioso è cessato.
Nel gennaio 2016, quando David ha compiuto 18 anni, ha deciso di non vedere più suo padre. Vive con sua madre, frequenta una vicina università dove si sta specializzando in ingegneria, ed è felice di non essere più costretto ad eseguire gli ordini dei tribunali.
“Ho passato tutta la mia infanzia ad aspettare che finisse”, ha detto.
Per approfondire:
No Oversight for Programs Advertising They Reconnect Children with ‘Alienated’ Parents
La deprogrammazione raccontata da chi l’ha subita
Se non volete che il bambino di Laura viva una situazione altrettanto traumatizzante, firmate la petizione.
Seguirò questa discussione – che però vorrei spingere verso un confronto-paragone tra questa ‘roba’ di FAMILY BRIDGE PROGRAM del 2010 di Warshak e la nuova ‘roba’ di programma REFARE inventato e testato nel 2018 dalla banda Pasista Italiota del Pingitore-Camerini-Verrocchio-Lopez che ora si rifa’ al nuovo quartiere generale della PAS che è LA CASA DI NILLA di Catanzaro. Il PROGRAMMA REFARE della banda Pasista è — dicono quelli della banda basata a LA CASA DI NILLA — il futuro della famiglia italica in cui il padre è stato rifiutato dai figli a causa del rifiuto indotto dalla ex-moglie.
Tre commenti:
(i) questa storia — risaputo ma e bene ripeterlo — si riferisce a Warshak, ed è del 2010, che è la preistoria della PAS; il momento di transizione dalla PAS-Sindromica del Richard Gardner alla PAS-Relazionale del William Bernet. Warshak era e rimane un fedele seguace di Gardner e infatti cura gli archivi degli scritti (sic!) del Gardner.
(ii) la PAS di oggi post-2010 è la PAS-Relazionale del Bernet, che è stata adottata a cominciare dal 2010 dal Concistoro della PAS Italiota
— prima da Guglielmo Gulotta, che collaborava con Bernet dal 2008;
— poi dal Delfino del Gulotta il Marco Pingitore di Cosenza;
— poi dalla Verrocchio, che era / è Delfina della Amy Baker che a sua volta era la Delfina di Bernet;
— poi dal Sommo Giovanni Battista Camerini, che oggi è il capo formale (!!!) della PAS Italica per il semplice fatto che è un dottore medico (che poi si è auto-definito, in modi che ancora non mi sono chiari, neuro-psichiatra infantile).
(iii) Oggi questa PAS-Relazionale del Bernet domina — è il verbo della PAS Italiota di cui Camerini è il portavoce e Papa Sommo. Questa PAS-Relazionale del Bernet è la struttura portante del DDL 735 Pillon, che in realtà dovrebbe essere chiamato “PASA 735 PAS_Camerini-Bernet_VEZZETTI. Vedi l’intervista del Sommo Camerini su IN TERRIS in cui il Sommo prima seppellisce il cadavere putrefatto del suo primo Profeta-Dio Gardner e la sua PAS-Sindrome e poi lo rimpiazza con il cadaverico suo nuovo Profeta-Dio Bernet e la sua PAS-Relazionale. Proclama il mercuriale Sommo Camerini: “La Sindrome di Alienazione Parentale non esiste; esiste l’Alienazione Parentale.”
Tradotto per i novizi, ciò significa:
– Io Sommo Camerini proclamo che la PAS-Sindrome del mio Primo Profeta e Dio Richard Gardner non esiste; l’ho buttato ai ‘porci’! (MI perdonino quei bellissimi animali senzienti che in gergo venivano chiamati ‘porci’ — ma il linguaggio spesso intrappola.)
– Io Sommo Camerini pure proclamo che la PAS che esiste è la PAS-Relazionale del mio Secondo Profeta e Dio William Bernet — che io plagio e scopiazzo come mi pare meglio … come facevo col Gardner prima del 2010.
– E implica il Sommo Camerini: questa PAS-Relazionale del mio nuovo Profeta e Dio Bernet l’ho piazzata alle fondamenta del ‘mio’ DDL 735. Tutta la struttura del cosiddetto DDL 735 Pillon è erge sulla PAS-Relazionale che io ho piazzato nel paragrafo d’apertura del DDL.
(iv) Il Progetto REFARE del Pingitore-Camerini-Verrocchio-Lopez- (e un’altra di Catanzaro di cui non ricordo il nome) è tutto basato sulla PAS-Relazionale del Bernet.
Domanda: come differisce il Family Bridge Program del 2010 del Warshak, che era basato sulla PAS-Sindromica del Richard Gardner oggi buttata ai porci dai Pasisti Bernetiani dal Programma REFARE del Pingitore & Co che si basa sulla PAS-Relazionale Bernetiana. Alla fine dei conti, ciò che è importante è il presente-futuro — e qui sembra che il presente-futuro potrebbe essere definito dalla banda pasista di oggi … che poi è la stessa banda pasista di ieri … stesse facce – storie che dicono siano diverse. Lo sono?
Io non ci trovo tutte queste differenze.
Cito da qui: https://www.marcopingitore.it/refare-program-alienazione-parentale/2203/
“L’alienazione parentale è possibile rilevarla solo nei contenziosi legali di separazione. Essa rappresenta l’impossibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tra genitore e figlio principalmente a causa dei comportamenti devianti dell’altro genitore incube. Tali comportamenti tendono a svalorizzare le capacità di comprensione e decisione del figlio fino a provocare un vero e proprio rifiuto di quest’ultimo nei confronti del genitore succube il quale rivestirà un ruolo sempre più passivo e marginale. Il processo psicologico dell’alienazione parentale determina nel figlio vittima, in relazione alla sua età e alla sua capacità di discernimento, una coartazione della sua volontà. L’alienazione parentale rappresenta la negazione del diritto del figlio alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione. (Marco Pingitore, in press).”
Invece qui https://richardalangardner.wordpress.com/2017/03/08/la-sindrome-di-alienazione-genitoriale-secondo-richard-gardner-guido-parodi/
leggiamo:
“Usando le parole di Gardner, la PAS è: Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello”, o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. E’ proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS. In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile.”
Fra i presupposti al trattamento Family Bridges, c’è l’affido esclusivo al genitore rifiutato e l’assenza di contatti con l’altro genitore.
Il REFARE Program deve prevedere “l’affidamento super-esclusivo al genitore rifiutato e l’allontanamento del figlio dall’abitazione del genitore dominante. Per affidamento super-esclusivo (ex art. 337-quater Codice Civile) si intende che anche per le questioni di maggiore interesse del figlio (salute, educazione e istruzione) le decisioni spettino al genitore affidatario” nonché l’ “Esclusione del genitore dominante – Nella fase iniziale del trattamento, non è previsto il coinvolgimento del genitore irresponsabile (dominante) perché potrebbe continuare ad esercitare la sua pressione psicologica diretta/indiretta sul figlio.”
Entrambi i programmi sono interamente privati.
Sarò ottusa, ma io non vedo sostanziali differenze.
Leggerò — e benché’ io non sia uno psichiatra, so che ci sono differenze enormi tra PAS-Sindrome, a cui Warshak si riferisce’ e la PAS-Relazionale, a cui Pingitore-Camerini-Verrocchio-Lopez si riferiscono. La frase cruciale qui e’:
“Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello”, o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione.”
Nei prossimi giorni comincerò a esaminare e comparare i ‘concetti’ (tra virgolette perché’ queste sono ‘idee personali di questa gente’ senza nessun legame serio alle discipline scientifiche di psichiatria e di psicologia. (Per cui intendo le discipline accademiche-scientifiche — che gente come Warshak, Gulotta, Camerini, ecc. sconoscono e a cui non appartengono assolutamente.).
Questa distinzione e’ cruciale: non per nulla Bernet-Gulotta-Camerini et al ci hanno investito ora 11 anni della loro vita (dal 2008 quando Bernet presento la sua proposta sulla PAS-Relazionale al DSM-5; al 2010 quando il DSM-5 rigettò la proposta con una semplice riga che diceva “rigettata per mancanza di evidenza empirica – medica e clinica”; al periodo 2011-2019 in cui il Bernet ha creato tutto un sistema di menzogne in cui proclama che la sua PAS-Relazionale e’ nel DSM-5 e chiede (ordina) ai suoi vassalli pasisti — e i vassalli italiani sono i migliori — di ripetere in tutte le salse e ad nauseam che infatti la PAS — PER CUI DEVONO INTENDERE PAS-RELAZIONALE DEL BERNET — ESISTE NEL DSM-5.
Sarebbe totalmente irrazionale avere un movimento internazionale capitanato da William Bernet e coadiuvato tra altri dal Concistoro Pasista Italico che investe >11 anni per dire le stesse cose che diceva Gardner — tralasciando il fatto che né la PAS-Sindrome del Gardner né la PAS-Relazionale del Bernet siano nel DSM-5.
Non solo, ma dovresti leggerti l’intervista del Camerini su IN TERRIS nel contesto del DDL 735 PAS_Camerini-Bernet-Vezzetti che ‘fa’ le fatiche d’Ercole per differenziare la PAS-Sindrome del suo primo Profeta-Dio Gardner (di cui Warshak è l’archetipo ancora oggi) e la PAS-Relazionale del suo nuovo Profeta-Dio Bernet (che era amico fraterno del Gardner). Il Camerini mercuriale papeggia: la Sindrome di Alienazione Parentale non esiste; esiste l’Alienazione Parentale. Il Camerini sta rigettando tutta la sua esistenza come Pasista-Sindromico Gardneriano prima del 2010 (ancora nel 2010 lamentava a scomparsa della grande mente e personalità umana del Gardner (nel2003)) per affermare la sua nuova esistenza come Pasista-Relazionale Bernetiana dopo il 2010. Passare >11 anni per dire le stesse cose in modo un po’ diverso sarebbe veramente irrazionale.
Per cominciare forse dovresti leggerti pure l’audizione del Vittorio Vezzetti per il DDL 735 — su cui lui ha lavorato accanitamente dal di fuori 24/7 (perché’ non gli era permesso di fare parte della Commissione, lui così fortemente protetto dalla Galloni di FI e dal Pillon Leghista????). Li parla di un certo Regier e della PAS-Sindrome e della PAS-Relazionale … e fa dire al Regier cose che il Regier non ha mai detto e che sono potenzialmente criminali (datemi un avvocato!). Su questo sto lavorando — in un articolo.
I pasisti tutto sono — ignoranti e perversi e quello che vuoi; ma non sono mai ‘irrazionali’ – nel senso di massimizzazione dei propri interessi.
E sarebbe assolutamente irrazionale che il Pingitore e tutta la Banda spendano anni — anche se godono delle risorse enormi de La Casa di Nilla senza nessun freno — per dire quello che Warshak avrebbe detto nel 2010. Peraltro, una volta il Pingitore disse — ma ora sembra essere scomparso dai suoi siti web — che infatti REFARE era un programma australiano che lui e la Verrocchio stavano adattando alla situazione italiana.
“Sarebbe totalmente irrazionale avere un movimento internazionale capitanato da William Bernet e coadiuvato tra altri dal Concistoro Pasista Italico che investe 11 anni per dire le stesse cose che diceva Gardner”.
Senza entrare nel merito delle concrete differenze nell’impianto teorico tra PAS e PA, non capisco perché sarebbe irrazionale, da parte dei professionisti che prima diagnosticavano una sindrome, affidarsi ad un escamotage linguistico per continuare a fare quello che facevano prima: diagnosticare un qualcosa (che da sindrome diventa disturbo o “fenomeno”, ma non cambia nella sostanza) allo scopo di screditare i soggetti (madre e bambino) che denunciano gli abusi subiti.
Se vado a leggere il preambolo al ddl 735, a proprosito di alienazione genitoriale trovo: “È poi necessario superare la concezione nominalistica dell’alienazione genitoriale, che in passato ha suscitato consistenti polemiche, e avere riguardo al dato oggettivo…”
Nominalistico: che riguarda una mera questione di nomi e non va ad intaccare la sostanza delle cose.
Queste persone non si rivolgono al mondo della ricerca scientifica, né tantomeno a quello della pratica clinica. Operano principalmente in ambito forense e politico, debbono convincere giudici, avvocati, parlamentari e giornalisti, non mirano al Nobel per la medicina.
Inoltre, a dispetto delle affermazioni, questa gente continua a far riferimento ai testi di Gardner: nel 2015, in un articolo a firma Camerini-Pingitore pubblicato da Psicologia Contemporanea, seppure Gardner non viene citato come fonte dei “criteri” elencati per diagnosticare l’alienazione genitoriale, essi non sono altro che i suoi “sintomi” parafrasati, ai quali è stato cambiato il nome.
C’è da chiedersi se ancora oggi, a più di tre anni da quella pubblicazione, gli autori fanno ancora riferimento a quei criteri…
L’evoluzione dell’alienazione genitoriale mi fa venire l’evoluzione del concetto di “isteria”: tra il primo trattato di Ippocrate di 24 secoli fa, agli studi di Freud, c’è un abisso, in termini di costrutto teorico. Non possiamo ravvisare nessuna somiglianza fra l’utero mobile all’interno del corpo della donna, gli sproloqui del Malleus Maleficarum e la rimozione imperfetta di un desiderio sessuale che il soggetto non può tollerare e accettare; c’è un radicale spostamento della patologia dall’utero al cervello e, in teoria, quella che era la malattia di un genere soltanto (quello provvisto di utero) diventa per forza di cose neutra rispetto al genere. Tuttavia, le diagnosi di isteria continuano a riguardare quasi escluvamente le donne: https://congresoamp2018.com/it/textos-del-tema/lhysterie-masculine-existe-t-elle/
Mentre, lentamente, l’isteria evolve verso l’odierno disturbo di conversione, un uso criminale dell’isteria persevera nell’internamento coatto di donne semplicemente ribelli (ad esempio https://www.amazon.it/dp/B078WBWGX5/ref=dp-kindle-redirect?_encoding=UTF8&btkr=1).
E’ azzardato il parallelo?
Perso il commento (Deus non Vult?) – lo riscrivero’ domani.
quante parole e quanti insulti, per esprimere un concetto semplice semplice:
la PAS non esiste; ripetete con me, la PAS comunque chiamata, non esiste…
la PAS e la manipolazione dei figli NON esiste ed è frutto delle teorie di un pedofilo
americano pervertito.
Strano, però , che la PAS esista,
per un procuratore della repubblica che ha chiesto il rinvio a giudizio
per una madre che ha sporto querela contro un ex padre,
che esista infine per due professioniste che fanno svolto una consulenza.
http://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2018/04/29/news/figli-rifiutano-la-madre-padre-a-giudizio-1.16776203
la Pas, quindi, esiste! SOLO quando è subita dalla madre
🙂
Si, esiste come in quanto unica teoria dimostrata tramite le dichiarazioni di un’autorità giudiziaria. Un metodo straordinario: un po’ come quello utilizzato contro Galileo Galilei…
certo, signora “ricciocornoschiattoso”, perchè tu sei legibus solutus?
non sei cittadina italiana e non sei soggetta alla legge ?
Vivi a Montecarlo ?
Non sei Galileo Galilei? Allora sei l’assolutista il Re Sole.
Sei tu “la legge” e tu sei libera di violarla…
svicola, svicola …ci siamo capiti.
Ti sbagli, non ci siamo affatto capiti.
Bene!
I pasisti fanno scienza a colpi di pressioni, lobbying e menzogne … e altro.
Infatti, sto lavorando sul nuovo capo della PAS (nuova per dire perché’ si rifa’ al 2008), che coordinò l’attacco Pasista contro il DSM-5 per l’appunto nel 2008. a cui collaborò il sommo Guglielmo Gulotta e il suo delfino Marco Pingitore … e il Bernet è maestro nell’uso di pressioni, lobbying e una stringa di menzogna che si estende negli anni per fare passare la PAS come scienza. Pensa, questo tizio
– ha investito gli anni del 2007 al 2010 per presentare la sua proposta sulla PAS_Relazionale (e non la PAS_Sindreomica del suo amico fraterno che era morto (suicida-omicida?) nel 2003; e in quel periodo ha ‘pestiferato’ i membri del DSM-5 con le sue richieste, ha organizzato una coalizione internazionale, ha mobilitato le potentissime organizzazioni di padri separati-divorziati USA, ecc. per mettere pressioni che quelli del DSM-5 definirono come senza precedenti nella storia del DSM-5;
— Poi ricevette la notizia della sua disfatta – e della disfatta di tutti i pasisti — a fine del 2010, quando il DSM-5 riportò in una riga “PAS rigettata per mancanza di evidenza empirica medica e clinica; e lui che fa? Inizia una nuova campagna per stabilizzare la base Pasista proclamando “Nonostante il DSM-5 non menziona la PAS esplicitamente, IO so che la PAS è nel DSM-5! E come lo so! E qui comincia la stringa di 6 spiegazioni dalle piu’ assurde alle piu’ criminose.
Tra quelle criminose l’ultima è quella che il suo amico Regier — vicedirettore della pubblicazione del DSM-5 lo ha rassicurato personalmente che la PAS è nel DSM-5! Wow!
(È come se Einstein si presentasse al mondo e proclamasse che la teoria della relatività è vera’ perché’ l’editore (che deve essere uno specialista di qualche forma) del suo libro lo ha rassicurato che infatti la teoria della relatività è vera’. Ora Einstein era abbastanza intelligente da capire che la sua teoria non fosse vera — non ci sono verità nelle scienze! Infatti, non si sapeva nulla della ‘congruenza empirica’ della sua teoria sino all’esperimento cruciale del 1919. E anche dopo il geniale Einstein mai disse che era vera; infatti nessuno nelle scienze pensa che la teoria della relatività e vera’; e i fisici intelligenti infatti stanno aspettando il momento in cui potranno liberarsi della teoria della relatività perché’ fa acqua da molte parti.)
E invece qui abbiamo un pinco pallino idiotico come l’ex professore in pensione della Vanderbilt William Bernet — che, ripeto, controlla il Concistoro Pasista Italico — che sproloquia di PAS, di verità di DSM-5, e roba simile a colpi di menzogne.
e non hai idea delle Pressoni e minacce che il Bernet ha lanciato contro editori e critici di vari tipi — tutto archiviato. Magari la ricerca sarà finita prima di morire e cosi vederlo in prigione per un po’ di tempo.
Questo è il fare scienze a colpi di pressioni, lobbying e menzogne … e ora in Italia sia dall’Aprile scorso a colpi di politica manovrata da tizi come Pillon-Camerini-Vezzetti-ecc.
NB: la responsabilità di usare i nomi dei pasisti è tutta mia e assolutamente non ha nulla a che fare con Ricciocorno. Così chi avesse una mezza idea di denunziare chi scrive qui per l’uso esplicito dei nomi di pasisti — tutti seguaci fedeli del Bernet come lo erano prima dal Gardner — sa che l’oggetto proibito dei loro desideri sono io e non Ricciocorno — che è persona fantastica … intelligente, preparata e buona. Tutto il contrario di me.
Nel commento qui sopra datato “7 gennaio ore 01:16” si insinua che un noto specialista sarebbe invece un medico “che si è auto-definito in modi non chiari neuro-psichiatra infantile”. Cerco con google il curriculum di questo signore. lo trovo nel sito dell’Università La Sapienza, sono elencate le specializzazioni e la sua lunga attività in ambito universitario e non solo. Fuori da questo blog, nessuno ne dubita.
Si vuole qui insinuare che costui si sarebbe taroccato il curriculum? Che le sue specializzazioni sarebbero false? Avete le prove di un’accusa così grave?
O è la solita macchina del fango messa in moto da Savi = Salvo = Salvatore Pitruzzello? Insulti gratuiti? Pensate di giovare così alla causa no-Pas ?
Sai, vero, Ricciocorno, che un blogger è complice di eventuali diffamazioni su commenti che consente?
http://www.leggioggi.it/2013/05/09/mancata-moderazione-dei-commenti-blogger-condannata-per-diffamazione/
Se n’è accorta la giornalista Monica D’Ascenzo di Alleyoop/ilSole24ore, quando ha cancellato uno scritto del medesimo soggetto che insultava un personaggio pubblico.
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2018/09/24/ddl-pillon-cose-la-sindrome-di-alienazione-parentale-ed-e-davvero-riconosciuta-dalle-istituzioni/
Se ne sono accorti i blogger di altri siti che almeno hanno mascherato i nomi dei possibili diffamati, e da anni sfidano “Savi” a mantenere le minacciose promesse che fece (querele, articoli, libri…) ma senza risposta.
http://www.alienazione.genitoriale.com/un-confronto-tra-i-pro-e-i-contro/
Si direbbe che questo blog sia rimasto l’unico posto dove nessuno gli impone il rispetto della legge.
Ricordi cos’è successo a Berlusconi quando diffamò Antonio Di Pietro insinuando che la sua laurea era falsa? Una condanna a 100.000 Euro di risarcimento.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/26/e-un-bugiardo-e-non-ha-una-laurea-valida-berlusconi-risarcira-di-pietro/1818663/
Se Pitruzzello non vuole coinvolgerti in possibili rischi, che scrivesse su un sito suo.
E magari rispondesse alle domande che gli furono fatte in fondo a questa pagina :
https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2015/11/01/la-tacita-accettazione/
Qual’è la tua opinione, Riccio? Chi mente su quel curriculum? Il neuropsichiatra o Savi/Salvo ?
Lo so benissimo, grazie dell’interessamento. Ma non mi pare che si neghi che il noto specialista sia effettivamente un medico e un neuropsichiatra infantile.
Non ti pare.
Ah, allora li derubrichiamo a… cosa? “Semplici” insulti?
Sia in Alleyoop sia in questo blog esiste un disclaimer che vieta gli insulti. Le giornaliste del Sole24ore hanno la correttezza di rispettare la regola. Qui invece non sembra: forse dovresti correggere il disclaimer.
(Tra l’altro, Pitruzzello che mestiere fa? Si occupa di scienze politiche, no? Che tu sappia, ha un titolo pertinente nel campo, questo, in cui vuol dare lezioni? E, che si sappia, su questi argomenti non ha altri pulpiti se non qui…)
Io non ci vedo un insulto. Se questo dovrà interessare le autorità giudiziarie, mi assumerò le mie responsabilità.
🙂
Rispondero’ all’l’UmbertoEchoJunior – punto per punto. Prima devo finire un articolo sull’audizione del Vezzetti al DDL 735 — tutte le sue cavolate su Regier, DSM-5, ICD-11.
Nel frattmpo propongo un’ipotesi testabile con probabilita’ a 87%:
“UmbertoEchoJunior = ‘Signore Innominato’
‘Signore Innominato’ = quello che UmbertoEchoJunior dice che nel suo curriculum dice di essere alla Sapienza; grazie al Pasista Ferracuti.
Riccio non vede insulti. Se lo dice lei…
A me i toni qua sopra ricordano tale quale la antica rubrica “Insulti” che stava anni fa sul “Cuore” di Michele Serra, a firma del “commendator Carlo Salami” Ecco un assaggio:
https://osservatoriolinguisticoestemporaneo.wordpress.com/2013/04/12/insulti/
Per quanto riguarda la Casa di Nilla, dipinta qui più o meno come un covo di sediziosi: proprio lì è stato tenuto un seminario di studi sull’alienazione parentale, a cui è arrivata nientemeno che la medaglia di rappresentanza del presidente Mattarella:
http://www.lacasadinilla.it/2016/11/24/un-seminario-sullinfanzia-premiato-dal-presidente-mattarella/
A tenere il seminario c’era tra gli altri il neuropsichiatra di cui si parlava qui: come si vede, dal Quirinale non si fa inutile sarcasmo sui curricula accademici.
Cosa promette questa volta, Pitruzzello? Un articolo? Sono anni che promette articoli, libri, querele per tutti… E dove dovrebbe pubblicarlo, di grazia? Su una rivista scientifica con peer review? Quale di preciso? Siamo curiosi.
Ipotesi con probabilità 87% ? Quale regola probabilistica porta a questo numero?
La legge di Murphy?
No, non mi chiamo Ferracuti e non ho idea di chi egli sia. Try it again, Sam.
Comunque, Ricciocorno, una riflessione va fatta. Il tuo supporter qui più muscolare, loquace e radicalizzato, ormai lo sappiamo, non è né psicoterapeuta né psichiatra né medico, non lavora con i minori né con le conseguenze del divorzio. Sta invece nel mondo delle scienze politiche, un mondo che (nonostante il nome) non c’entra nulla con la scienza, c’entra invece con le idee politiche. E questo rende palese quanto certe prese di posizione no-Pas, “senza se e senza ma”, sono alimentate sostanzialmente da ideologia politica.
A quanto ne so, anche Mattarella non è né psicoterapeuta né psichiatra né medico, non lavora con i minori né con le conseguenze del divorzio, c’entra poco o nulla con la scienza e molto di più con la politica: allora perché citarlo?
Su una cosa, dopo tanti anni che discuto su questo blog posso concordare: gli appelli all’autorità hanno fatto il loro tempo.
Sostenere “è un medico, ergo ha ragione”, ormai è una fallacia che non convince più nessuno.
Era un medico anche Andrew Wakefield, il quale pubblicò su The Lancet (non su Topolino) il suo studio che svelava la correlazione fra autismo e vaccini, rivelatasi poi una clamorosa frode (https://daily.wired.it/news/scienza/bufala-vaccino-morbillo-provoca-autismo.html).
Che si trattasse di una frode, non lo dimostra il fatto che lo hanno detto il General Medical Council (GMC) britannico o l’Institute Of Medicine of the National Academies americano, ma cosa queste istituzioni hanno detto; a svelare che 5 bambini sui 12 soggetti della ricerca, avevano mostrato i sintomi prima di sottoporsi alla vaccinazione, fu un’inchiesta giornalistica, che confrontò le testimonianze dei genitori con quanto esposto nella studio, e rilevò delle incongruenze.
Certo, non è sufficiente un’inchiesta giornalistica, ad essa si sono succedute una serie di ricerche scientifiche che hanno portato ben altri numeri rispetto ai 12 di Wakefield.
Quindi no, i titoli di studio dei commentatori come quelli dei promotori dell’alienazione genitoriale, da soli, non dimostrano un bel nulla di nulla.
L’esempio di Wakefield è interessante, perfino su Lancet può arrivare a scrivere un truffatore. Ok, ma cosa se ne dovrebbe dedurre? Che se c’è stato un medico truffatore (scoperto e radiato, quindi non è più medico)… sarebbe altamente probabile che ogni medico lo sia?
Te lo chiedo in altri termini: la competenza ha un valore?
Se si parla di salute, è più probabile avere un parere sensato da uno specialista o dal primo che passa? O magari da quello dei due che urla di più? Il mio criterio é: se parla uno specialista con un curriculum importante, è molto probabile che quello che dice sia sensato. Fino a prova contraria. Esistono certo eccezioni alla regola, ma sono appunto eccezioni che si verificano raramente. E tu Riccio, il tuo criterio qual’è?
Il mio nickname l’ho scelto come omaggio affettuoso a Umberto Eco, quello vero, ricordando cosa aveva detto sulle opinioni che si trasmettono via internet. Probabilmente anche tu ricordi cosa disse. Sento molto la sua mancanza.
Perché cito il Presidente Mattarella?
Tu nel tuo blog, e i commentatori a te favorevoli, affermate che chi sostiene la teoria della alienazione é: fascista e/o pedofilo e/o violento e/o uomo-che-odia-le-donne e/o truffatore… Voglio vedere se vi azzardate a mettere Mattarella in questa lista.
Se poi ti scappasse di rispondere che lui non ha titoli nel campo, sarebbe facile ribattere: tu stessa hai appena sostenuto che i titoli di studio non contano (quindi, per logica, nemmeno la mancanza dei suddetti)!.
Ma voglio venirti incontro: credo anch’io che il buon Presidente non sia un professionista di queste tematiche. Ma di sicuro non è né un fascista, né un odiatore delle donne eccetera. E’ persona saggia e intelligente (vediamo se lo contesti!) e prima di dare un endorsement credo che si informi con una certa prudenza.
Quindi la sua posizione sul tema, così come quella di altre/i (Oliverio Ferraris…) falsifica la vostra teoria “alienazione = fascismo & misoginia”.
Ah, ancora una cosa: qualcuno che commenta qui è arrivato a usare la parola “mafioso”, sempre rivolgendosi ai sostenitori delle teorie che non vi piacciono. (Tu dirai che non è un insulto…). Spero che dinanzi al cognome Mattarella, e alla drammatica storia della sua famiglia, almeno questa volta si pesino le parole.
Eppure l’ho spiegato e ribadito: l’esempio serve solo a spiegare perché il titolo, da solo, (e ripeto: da solo), non basta come argomento a dimostrazione di una teoria.
X sostiene che A è vero, X è un legittimo esperto della materia/una persona per bene/un uomo onesto, quindi A è vero: questo è un ragionamento fallace. Per quanto possa essere probabile che A sia vero, non è un argomento sufficiente a dimostrare che sia vero.
E comunque: io non sostengo che chiunque creda che si possa diagnosticare l’alienazione genitoriale sia un pedofilo, un fascista o un violento. Ci sono una marea di persone in buona fede, e credo che siano la maggioranza.
Ciononostante, l’alienazione genitoriale è un’ottima strategia da utilizzare se si è un pedofilo o un maltrattante. Lo si deduce dal fatto che è capitato, e non di rado, che bambini che erano maltrattati e/o abusati sono stati definiti alienati prima che emergessero prove concrete dell’abuso (ad esempio https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2013/12/05/il-lupo-mangia-tutte-le-mamme-del-mondo/), o che bambini definiti alienati morissero per mano di chi non volevano frequentare.
D’altra parte è il tema di questa inchiesta giornalistica: ragazzi, divenuti maggiorenni, che raccontano di essere stati “curati”, a dispetto del fatto che il problema fosse di tutt’altra natura: “I bambini non volevano frequentarlo, ha affermato Sharon, perché Raphael a volte era stato fisicamente aggressivo con lei e con loro.”
Infatti, l’obiezione mi sembra sufficientemente chiara: “Gli oppositori avvertono che non esiste un metodo scientifico che dimostri cosa spinge un bambino a non voler interagire con un genitore, e che la ricerca ha dimostrato che molti fattori, come le scarse competenze genitoriali, l’abuso o le reazioni ai continui sconvolgimenti, debbono essere tenuti in considerazione.
“Non c’è nessuna prova scientifica o modo per determinare se i bambini si sono allontanati perché maltrattati o se un genitore favorito li ha rivolti contro l’altro genitore,” ha detto Joan Meier, clinical professor presso la George Washington University Law School e fondatrice del Domestic Violence Legal Empowerment and Appeals Project, che fornisce assistenza in appello nei casi di violenza domestica.”
Ciao. Io ti capirei se percepissi in questo blog l’avversione al concetto di Pas come l’idea che le madri hanno sempre ragione a prescindere in quanto madri e donne, se effettivamente percepisci questo in buona fede la tua indignazione avrebbe una ragione che se vera rappresenterebbe ovviamente un’ingiustizia. Non saresti quindi avvocato del diavolo ma qualcuno che se la prende a cuore per un’ingiustizia. Cerchiamo di capire se di questo si tratta.
Purtroppo al giorno d’oggi è facile associarlo, blog femminista, redatto da una donna, contraria all’idea della bigenitorialità come cosa di per sè buona e giusta in quanto tale o per principio = la madre ha sempre ragione, ma non penso o almeno spero che non sia così ;).
Venendo ad aspetti più materiali, ammetto di non conoscere bene questo argomento, nè come tu veda il ddl Pillon, ad esempio la mediazione obbligatoria ma anche a pagamento. Se l’obiettivo è la giustizia, sul presupposto che è da vedere che finora sia facile incolpare il padre e specificamente il padre, senza prove, facilitando invece la ricerca della verità obiettiva, oppure, partendo dal presupposto che gran parte dei divorzi si concludono (ma solo al 50% quando impugnati) con l’affidamento alla madre, perchè introdurre una variabile di censo come il pagamento, soprattutto sapendo che le donne hanno per vari motivi in media un reddito più basso?
Forse se cerchi giustizia non è questo governo, nè il Pillon, che è credibile nel proporre una soluzione. Se ne può discutere.
@ Antome:
“Non è questo questo governo né Pillon, che è credibile nel proporre una soluzione”. Rispetto la tua opinione ma non la condivido. O meglio: dopo dodici anni (ormai tredici) dalla legge attuale, mai applicata nella sostanza (lo certifica anche l’Istat), sono motivato a vedere se/come qualcosa potrà cambiare. Il disegno di legge, se mai passerà in toto o in parte, vuole cambiare alcuni equilibri, potrà spostare i piatti della bilancia.
Altrimenti resterà tutto com’è. Ho visto l’altra sera la puntata di “Presa diretta” su Rai3 sul ddl, un chiaro esempio di giornalismo a senso unico precostituito: donne vittime e uomini cattivi, punto. Ha colpito anche me la mamma intervistata in lacrime perché non le fanno vedere più i figli; ma io conosco di persona più di un padre che anche lui non riesce a vedere i figli, e queste lacrime non sono state mostrate (e nei casi che conosco io, la violenza non entra per nulla). Non capisco perché dovrebbe essere “di sinistra” mostrare empatia soltanto per lo smarrimento di una donna, e non per lo stesso stato d’animo di un uomo. Non è la mia idea di sinistra.
(Potrei portarti tanti altri esempi ma mi fermo qui).
Adesso in scena c’è Pillon, e vediamo cosa succede.
Che la legge 54/2006 “non sia mai stata applicata”, è un’affermazione che non trova fondamento. Chi è preoccupato in questi anni di monitorare gli effetti della norma sul tessuto sociale?
Nessuno, direi.
I dati Istat che abbiamo a disposizione non ci dicono nulla di quanto tempo, in media, ciascun genitore separato trascorre coi suoi figli. Se ci sono soggetti insoddisfatti dell’applicazione della norma – e come finalmente ha mostrato Presa Diretta, dopo anni di informazione a senso unico che si è occupata di riportare principalmente le istanze degli uomini (ne avevamo parlato, mi pare, ad esempio qui https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2014/03/28/chi-scrive-manifesti-e-chi-si-rimbocca-le-maniche/ oppure qui https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2015/03/07/parita-di-genere/) – sono soggetti di entrambi i sessi.
Quanti sono? Tanti, pochi, una minoranza, la stragrande maggioranza? Di cosa si lamentano?
Non lo sappiamo. Nessuno si è preoccupato di fare delle stime.
Ricciocorno schiattosando ci propone una scienza faidate, in cui la convalida del rigore scientifico e dei nessi di causa non passa dalla verifica scientifica ma dall’investigazione giornalistica.
Per farci credere che la convalida scientifica non viene dagli studi e dalla professione, Riccio utilizza un vecchissimo trucco, che peraltro usa spesso: propone un episodio singolo (il caso dei vaccini e le correlazioni con l’autismo) e ce lo indica come esempio che dovrebbe valere per tutto il campo di cui si discute.
In altri termini, il fatto che alcuni giornalisti abbiano scoperto che i casi citati da Wakefield erano inesatti, dovrebbe dimostrare che chiunque può parlare di diagnosi mediche (perché al momento quella di PAS è una diagnosi di tipo medico, la cui validità deve essere riconosciuta dalla comunità scientifica e non da gruppetti di giornalisti, avvocati, assistenti sociali, bloggisti vari, e via dicendo).
Per quanto mi riguarda, questo utilizzo da parte del Riccio dell’episodio di Wakefield ci dimostra invece proprio il contrario, e cioè che la scienza va avanti solo per verifiche scientifiche, da parte di scienziati, e che in rari casi queste verifiche possono essere stimolate da fattori contigui al mondo scientifico: i giornalisti che hanno svolto l’indagine sui vaccini erano comunque giornalisti scientifici, non esponenti di scienze politiche.
E non hanno convalidato l’assenza di nessi di causa tra i vaccini e i casi esposti dal Wakefield.
Si sono limitati ad elencare le contraddizioni e le carenze del suo studio.
La ratio scientifica è venuta dagli studiosi del settore.
Peggio ancora, direi: l’assenza di studi contrastanti le affermazioni di Wakefield, che il Riccio presenta come una sorta di assenza colmata dai giornalisti, non è affatto un problema: nessuno diede retta a Wakefield perché era assurdo sprecarsi a ribattere ai suoi studi.
Agli specialisti del settore era cioè evidente la assenza di veridicità delle sue opinioni e dunque non serviva loro andare a studiare altra casistica per chiarire che le sue erano posizioni assurde.
Tanto per fare un esempio: nessuno si mette a studiare oggi come contestare con dati di fatto un articolo che sostenga che l’AIDS non esiste e che l’HIV non è comunque responsabile della sindrome (notasi: opinione, tra l’altro di uno degli untori che infettò un mucchio di donne).
Se poi un giornalista (scientifico) arriva e smaschera le pretese cifre di un ipotetico articolo al riguardo, meglio ancora: ma è solo la prova che quello smascheramento non è roba da scienziati.
Detto in altri termini, gli specialisti dei vaccini non scrissero nulla sull’articolo di Wakefield perché avevano evidenze contrarie da secoli, ed era compito di Wakefield smontare quanto già accreditato in letteratura con studi controllati e verificati e ripetuti in altri lavori.
Quindi, proprio il caso citato da Ricciocorno dimostra tutto il contrario di quello che vuol sostenere Ricciocorno: bisogna essere scienziati del settore per trarre conclusioni mediche e scientifiche da un gruppo di informazioni attinenti ad un determinato argomento scientifico.
A ciò aggiungiamo un altro punto: chi ha convalidato i criteri di efficacia di decine di migliaia di molecole medicinali presenti in uno dei tanti rami della medicina (tanto per dire: antibiotici, antiipertensivi, diuretici, antiarimici, ecc.) -sancendone quando necessario la non efficacia?
I giornalisti? I docenti di scienze politiche? I lettori del blog di Ricciocorno schiattoso? Cioè, il signor Savi si metterebbe a discutere dell’utilizzo del Triatec nell’ipertensione o di quali debbano essere i criteri per iniziare una terapia antiipertensiva? Minima a 85 o a 90?
In realtà dobbiamo proprio al lavoro di verifica di specialisti competenti se oggi -tanto per fare un esempio- la broncopolmonite può essere curata con antibiotici prima sconosciuti e che speriamo siano soppiantati da altri.
Mi piacerebbe, a questo punto, che il signor Savi -e la stessa Riccio, e tutti gli altri “intervenenti” nel dibattito sulla PAS- avessero il coraggio di parlare con la stessa seriosità e pretesa di credibilità (scientifica) di altri argomenti scientifici nei quali non sarebbe l’avvallo degli specialisti per la convalida delle ipotesi scientifiche: venissero dunque a discutere di neuromediatori, ovvero di aritmie, o di SARS, o di HIV (e, per cortesia, non rispondete che non lo fatey non vi interessa: la domanda è se ve ne sentite capaci…)..
Se poi vogliamo entrare nel dibattito sulla epistemologia della psichiatria, e dunque sulla scientificità e oggettività della diagnostica psichiatrica, possiamo farlo tranquillamente: ma anche qui occorre avere una preparazione adeguata o per lo meno utilizzare argomenti adeguati, altrimenti si resta nel parolaismo parascientifico.
In altri termini, voi parlate di PAS senza avere, a quanto voi stessi dite, la minima preparazione al riguardo, e la preparazione ahimè serve, proprio perché altrimenti passa la metodologia dell’antivaccinista, o del sostenitore delle scie chimiche.
Oppure -prima di parlare di PAS- dimostrate che la diagnosi psichiatrica non ha gli stessi criteri di oggettivazione di altre diagnosi mediche, però fatelo con argomentazioni adeguate. Che però nelle varie lenzuolate di parole qui pubblicate io proprio non trovo (e che vi prego di indicarmi).
Per quanto riguarda l’ipotesi che l’eloquio del signor Savi abbia contenuti insultanti, ritengo che li abbia. Ovviamente, non so se costituiscano un reato, e non è compito mio stabilirlo.
Vero è che non ci sono termini esplicitamente ingiuriosi, ma simili elusioni di per sé non escludono il tenore insultante di uno scritto.
Come giudicare altrimenti l’espressione, ad esempio, di “banda Pasista Italiota”, che rimanda all’assonanza con “idiota” e al concetto di “banda”, che non è certo quella della banda di paese?
E dell’insinuazione secondo cui il prof Camerini “si è auto-definito, in modi che ancora non mi sono chiari, neuro-psichiatra infantile”?
E di frasi tipo: “il verbo della PAS Italiota”, “Io Sommo Camerini”, ecc.?
Si tratta in altri termini di un quadro denigratorio e svalutativo nella sua totalità, che utilizza l’assenza di insulti espliciti in modo strumentale, e attacca la validità delle persone (e molto poco la adeguatezza delle teorie che pretende di contestare) con una fraseologia esplicitamente svalutativa.
Non posso certo sostenere che si tratti di “ingiuria” nel senso tecnico del reato, ma di certo il testo è, a mio avviso, gravemente denigratorio dei personaggi che rappresenta e di cui lascia ben intendere l’identità (ed il loro essere “banda” di “italioti” e di auto-nominatisi specialisti… ecc. ecc. ecc.).
Se fossi uno di loro con molta probabilità lo querelerei.
Il tutto -a questo punto- rimanda ad un altro aspetto della questione: dove sono le contestazioni tecniche al costrutto di PAS?
Da dove dimostrate l’assurdità dell’utilizzo di tale ipotesi diagnostica in psichiatria forense?
Ma qui mi fermo perché non reputo quanti intervenuti sino ad ora in possesso dei titoli scientifici e professionali per poter sostenere una discussione del genere. Per lo meno, non come piace a me.
Saluti a tutti
Dove sono le contestazioni tecniche al costrutto di PAS?
Direi che la più importante è sicuramente l’esclusione del DSM 5: https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2015/11/17/alienazione-genitoriale-e-dsm-5/ (ci sono i link alle fonti)
Alcune interessanti osservazioni si possono leggere anche qui: https://apsac.memberclicks.net/assets/documents/apsac%20policy%20on%20pas-pad.pdf
Ma io negli anni ne ho riportate diverse, ad esempio qui: https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2013/03/25/dicono-della-pas-xiv/
E comunque, per chiarire: io ho scritto “Sostenere “è un medico, ergo ha ragione”, ormai è una fallacia che non convince più nessuno.”, e poi “NON è sufficiente un’inchiesta giornalistica, ad essa si sono succedute una serie di ricerche scientifiche che hanno portato ben altri numeri rispetto ai 12 di Wakefield.”
Questa fallacia, cioè inventarsi una tesi fantoccio facile da smontare (oh il Ricciocorno ha detto che un inchiesta giornalistica vale più di una ricerca scientifica!) si chiama straw man: https://www.wittgenstein.it/2012/10/19/straw/
[Che la legge 54/2006 “non sia mai stata applicata”, è un’affermazione che non trova fondamento.]
No, non ho riportato una affermazione senza fondamento. L’Istat si è espressa con chiarezza sugli esiti della legge. “Al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione” (Istat, report del 2015 su matrimoni, separazioni e divorzi, pagina 13).
Quanto ai tempi di frequentazione di ciascun genitore, prima e dopo il 2006, se non ti bastano i dettagli espressi dall’Istat, qualcun altro ha monitorato la situazione, quelli a cui stava e sta a cuore. Sono gli stessi che promossero la legge nel 2006, e/o i loro eredi, quelli che hanno continuato a lavorare sul tema fino ad oggi. Potrei dirti i nomi, ma servirebbero a poco in questa sede, perché sono proprio quelli che qui sono osteggiati in tutti i modi, incluse le bordate di invettive (mica insulti, per carità!) dai tuoi alleati di scienze politiche.
Di cosa si lamentano? “Non lo sappiamo” dici, ma lo dici perché non ti interessa ascoltarli, così come non è interessato ai cronisti di Presa diretta. Al momento però si fanno ascoltare nelle audizioni in Parlamento, il monitoraggio dal 2006 in poi viene esposto lì (e vedremo se quelle testimonianze avranno effetto).
Se tu volessi saperne di più, ti consiglierei di spegnere il computer mezza giornata, uscire di casa e andare in cerca nella tua zona di genitori separati in carne ed ossa, madri e padri; e parlare di persona, faccia a faccia, con le une e con gli altri. Le ragioni delle prime, credo, già le conosci; le storie dei secondi potrebbero insegnarti qualcosa.
Se il tuo obiettivo è di avere una visione completa, dovresti guardare e ascoltare a 360°; altrimenti fai advocacy soltanto per la parte che hai scelto.
Se la legge lascia al magistrato la possibilità di decidere in merito all’applicazione della norma, come si può affermare che le decisioni del magistrato equivalgono ad una disapplicazione della stessa?
C’è un motivo, se i magistrati prevedono nella grande maggioranza dei casi un assegno di mantenimento della prole, e quel motivo è il gender pay gap, altissimo in Italia: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/10/30/donne-e-uomini-stessa-paga-ma-redditi-ancora-lontani-in-italia-725.html?ref=search E cosa provoca questa grande differenza di reddito fra uomini e donne? Beh, fra i fattori ci sono “le frequenti interruzioni del percorso lavorativo: le donne lavorano meno ore per far fronte alla mancanza di un welfare che si occupi di vecchi e bambini. Quindi guadagnano di meno, versano meno contributi e vanno incontro a pensioni più basse.”
Il problema, quindi, risiede nell’incapacità dei magistrati di comprendere la norma e applicarla nel modo corretto, o nel dato di fatto che gli uomini sono in media più ricchi delle donne e, in costanza di matrimonio, hanno contribuito di meno al lavoro di cura della prole?
Perché i numeri parlano chiaro e forte. C’è un volume in proposito, la cui lettura consiglio a chi pretende che questo sia un paese in cui non si possa più parlare di divisione del lavoro in base al genere (padre breadwinner e madre che si sobbarca il lavoro domestico e di cura): “Indaffarate e soddisfatte”, di Renzo Carriero e Lorenzo Todesco, Carocci Editore.
Ma di questo avevamo già parlato, tante e tante volte. Allora chi è che non ascolta?
Certo che sei proprio brava a giocare con le parole…
“Le parole sono importanti” ammonisci a volte. Ma quando invece non ti conviene, preferisci giocarci. Una fonte di informazioni come l’Istat, quando offre dati che vuoi usare, la presenti come la verità. Stavolta però l’Istat spiega che la legge non ha trovato effettiva applicazione… e allora critichi pure l’Istat: “come si può affermarlo?!?”. E’ un altro dei tuoi espedienti dialettici.
La legge stabilisce che affido condiviso si concretizzi in rapporti “equilibrati e continuativi” con entrambi i genitori. La sua “applicazione” con il padre breadwinner che deve lavorare tanto per mandare soldi da lontano, e la madre caregiver che fa sostanzialmente da badante ai figli onnipresenti… è una presa in giro della sostanza della legge, i rapporti così non sono equilibrati, e certo non continuativi per uno dei due genitori. Sulla confezione c’è scritto “condiviso”, ma nella scatola c’è sempre il vecchio esclusivo: é pubblicità ingannevole. Questo dice l’Istat (e io, e parecchi altri), mentre tu neghi pure la sostanza delle parole.
Ma entriamo nel merito. Tu oggi dài per scontato che siano ben motivate le decisioni dei giudici (che applicano “diversamente” la legge…), quelle fotografate dai numeri Istat; ci spieghi che i giudici saprebbero bene quello che fanno. E qui balza agli occhi una tua contraddizione. Oggi per te i magistrati (se si tratta di assegno e/o di assegnazione dei tempi genitori/figli) sono diligenti e impeccabili nelle loro decisioni; ma quante volte invece ci hai detto, in caso di sospetto di violenza domestica, che le decisioni dei magistrati sono ben lontane dal senso di giustizia? Giudici saggi in un caso e negligenti nell’altro, ti contraddici.
Nella puntata di Presa diretta, una giudice ha ammesso di gestire “decine di separazioni al giorno”.
Decine! Quindi quanto tempo dedica a ogni caso? Temo che lo sappiamo, alcuni di noi lo sanno anche per esperienza diretta. Il giudice ci dedica un minuto, come se emettesse un certificato all’anagrafe. Non si soppesa, non si approfondisce. Non si pondera per equilibrare il reddito dell’uno e dell’altra, non ci si chiede quanto costerà una sistemazione adeguata per chi deve lasciare la casa (adeguata anche a poter continuare a fare bene il genitore), meno che mai si dedica tempo a ripercorrere la storia passata dell’accudimento della prole.
Si va avanti per soluzioni stereotipate, col copia-incolla, e non è un caso che in certi tribunali si siano trovati moduli prestampati con la decisione standard precompilata “due weekend al mese”, la stessa di prima del 2006, basta soltanto compilare i nomi dei due genitori.
Sarebbe giusto che il magistrato valutasse “caso per caso”, come si è detto spesso. Magari! Invece le decisioni fotocopiate, il non-cambiamento registrato dall’Istat prima e dopo il 2006 mostrano che si va avanti con grossolanità. “Di cosa si lamentano gli scontenti?”, hai chiesto. Di questo, si lamentano.
Proprio per staccarsi dalla grossolanità, dalle fotocopie, il ddl Pillon introduce il “piano genitoriale”, dove per ciascun genitore si deve entrare nel merito di quante energie, tempo, disponibilità economiche possono essere dedicate alla prole (piano genitoriale che è adottato in altri paesi esteri). Chi trova giusto ponderare “caso per caso” dovrebbe guardare con favore al piano genitoriale (invece di gridare in piazza NO! “senza se e senza ma”).
Se non si vuole cambiare niente, allora restiamo nell’andazzo attuale, gattopardescamente uguale a quello del “vecchio” affido esclusivo. Lei tiene i figli, lui li vede poco o niente perchè deve lavorare tanto e pagare, da lontano. Non capisco se a te Riccio, e a voi femministe, questo stato di cose piace che si perpetui, o se vi interesserebbero le possibili alternative.
Per esempio, se io fossi un giudice sperimenterei così: affidiamo i figli per un tempo proporzionale al reddito. Se lui guadagna il doppio di lei, lui tiene i figli venti giorni al mese, lei dieci. Così le spese già sono caricate in proporzione: alimentari, bollette, riscaldamento in inverno… Lei spende meno. Inoltre lei avrebbe più tempo, per migliorare possibilmente la situazione lavorativa. Conosco diverse madri dipendenti nel pubblico o nel privato, che per seguire i bambini sono passate al part-time; se il padre si fa carico di più giorni, le mamme possono tornare al full-time e guadagnare meglio. L’alleggerimento del carico di cura per la madre, la aiuterebbe sul mercato del lavoro.
C’è chi solleva l’argomento “ma lui prima si occupava poco dei figli”. E qui spicca un’altra potenziale contraddizione. Se c’è da criticare Pillon, si dice che il ddl non sa distinguere tra l’accudimento di un bimbetto, e la gestione di un teenager (e fin qui, mi trovo d’accordo); se invece c’è da valutare un padre come candidato caregiver, allora – oplà! – le due attività vengono considerate indissolubili: se non ha cambiato pannolini quindici anni prima, gli si dice che non può tenere con sé il ragazzo ormai cresciuto. Non la vedi la contraddizione? Io la vedo.
Non è che i magistrati non abbiano acume per comprendere la norma. L’acume ci sarebbe, ma finora non è interessato granchè applicarla, si è preferito tirare via come nel vecchio regime. A tanti ha fatto comodo così, inclusi alcuni padri, per esempio i clienti della famosa avvocata milanese da 39mila euro a divorzio. Altri sono scontenti, e sono quelli che il rapporto continuativo lo vorrebbero sinceramente, quelli che il sistema non ascolta, schiacciandoli a un ruolo di serie B, che poi diventa di serie Z.
No, io non “gioco”, non gioco affatto.
Non è uno spasso, non siamo qui per divertirci.
Facciamo un passdo indietro: tu sostieni che la legge 54/2006 sia “inapplicata secondo l’Istat”.
Vediamo cosa dice l’Istat, quali dati ha a disposizione.
Fai clic per accedere a matrimoni-separazioni-divorzi-2015.pdf
Pag.1: “Nel 2015 le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l’89% di tutte le separazioni con affido. Solo l’8,9% dei figli è affidato esclusivamente alla madre. E’ questo l’unico risultato evidente dell’applicazione della Legge 54/2006 sull’affido condiviso. La quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli aumenta dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015 e arriva al 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Si mantiene stabile anche la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre (94% del totale delle separazioni con assegno nel 2015)”
Andiamo a vedere nel dettaglio:
“Poco più della metà delle separazioni (54,0%) e il 39,1% dei divorzi del 2015 riguardano matrimoni con almeno un figlio minore di 18 anni. Le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l’89%.” pag.12
“Per quanto riguarda il tipo di affidamento, negli ultimi dieci anni si è verificata una netta inversione di tendenza sia nelle separazioni che nei divorzi. Infatti, con l’entrata in vigore della Legge 54/2006, è stato introdotto, come modalità ordinaria, l’istituto dell’affido condiviso dei figli minori tra i due coniugi. Secondo la nuova legge entrambi i genitori ex-coniugi conservano la potestà genitoriale (che prima spettava esclusivamente al genitore affidatario) e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. Fino al 2005, è stato l’affidamento esclusivo dei figli minorialla madre la tipologia ampiamente prevalente. Nel 2005, i figli minori sono stati affidati alla madre nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7% dei divorzi, con percentuali più elevate nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. La custodia esclusivamente paterna si è mostrata residuale anche rispetto all’affidamento congiunto o alternato, risultando pari al 3,4% nelle separazioni e al 5,1% nei divorzi. A partire dal 2006, in concomitanza con l’introduzione della nuova legge, la quota di affidamenti concessi alla madre si è fortemente ridotta a vantaggio dell’affido condiviso. Il “sorpasso” vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1% di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre), per poi consolidarsi ulteriormente. Già nel 2010 si assiste a una drastica riduzione della percentuale dei figli affidati esclusivamente alla madre, pari al 9,0%, tendenza che si consolida negli anni successivi. Nel 2015 le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l’89% contro l’8,9% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre.
(…)
A distanza di quasi dieci anni dall’entrata in vigore della Legge 54/2006 è possibile verificare in che misura la sua introduzione abbia modificato alcune caratteristiche delle sentenze di separazione emesse dai tribunali. Il Prospetto 9 riporta alcuni indicatori che misurano i principali aspetti su cui la legge intendeva promuovere un cambiamento. Da esso si evince che,ad eccezione della drastica diminuzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo. In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudicila legge non ha trovato effettiva applicazione. Ci si attendeva,infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento, dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015; questa proporzione, nel 2015, raggiunge il 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Per quanto riguarda le disposizioni economiche, infine, non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano dispostoil mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell’assegno: la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre si mantiene nel decennio stabile (94% del totale delle separazioni con assegno).” pag.13
Come si evince dal prospetto, gli aspetti considerati sono solo 4: modalità di affidamento (esclusivo/condiviso), assegnazione della casa coniugale, se è stato disposto un assegno di mantenimento per i figli, a quanto ammonta l’assegno predisposto.
Del tempo che ciascun genitore trascorre con i figli, l’Istat non può dirci nulla, perché non è un parametro rilevato.
Mi sbaglio? Inganno i miei lettori? Lascio a loro la risposta.
Di fatto parametri come chi – fra il padre o la madre – continui a risiedere nella casa che era della famiglia, o se e quanto il padre debba corrispondere alla madre per equilibrare il tenore di vita del bambino nei periodi che trascorre con un genitore e con l’altro, non ci dice nulla della qualità della relazione che il bambino ha con entrambi i genitori.
Allora la mia domanda è questa: qual era l’obiettivo della 54/2006 che questi numeri ci dicono non sia stato soddisfatto?
di sicuro deve trattarsi di qualcosa che ha a che fare con i il denaro, e non con la qualità della vita dei bambini coinvolti…
Poi: io più volte qui ho contestato le motivazioni dei giudici che hanno emesso delle sentenze in merito agli accordi di affido, quindi non ho né posso aver affermato che reputo per principio “giuste” le decisioni dei magistrati. Ho solo detto che non ci sono dati statistici per lamentare una generalmente “errata” interpretazione della norma a sfavore dei padri. Non ci sono dati statistici, né per affermare che sia “giusto” che la casa venga assegnata il più delle volte alle madri, né per affermare che i padri nella maggior parte dei casi vedano troppo poco i loro figli.
Vedi, Umberto, non sono io che invoco nuove leggi, non sono io che devo portare delle prove di ciò che reclamo. Io dico che non ci sono dati a supporto delle tue lamentele. E questo non toglie nulla ai casi drammatici dei quali tu, o io, possimao essere stati testimoni. Gli aneddoti possono essere fonte di ispirazione della ricerca, ma non certo di ispirazione ad una norma.
Ti chiedo: perché “Ci si attendeva, infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli”? Perché, in paese in cui la più povere sono le donne – donne che sono povere perché hanno rinunciato alla carriera per cambiare quei pannolini che i mariti non hanno cambiato in costanza di matrimonio – il giudice doveva valutare di buttarle in mezzo ad una strada per lasciare l’immobile all’adulto con un reddito più alto?
“non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano disposto il mantenimento diretto per capitoli di spesa”: il problema è l’assegno, non la qualità del rapporto fra il genitore e il figlio… perché di questo l’Istat non parla.
Ci sono solo due possibilità teoriche, sulla applicazione della legge 54/2006:
– che la legge sia stata applicata pienamente, sia nella forma sia nella sostanza;
– oppure che sia stata applicata solo formalmente, e che nella sostanza nulla è cambiato rispetto a prima.
Qual’è quella reale? Ci ragioniamo su?
Quello che tu fai qui Riccio, è screditare e minimizzare ogni indizio, ogni testimonianza, ogni prova, ogni deduzione logica che dimostra la disapplicazione sostanziale.
Però d’altra parte nessuno, né tu, né Luisa Betti né la Boldrini né Rai3… potete provare la tesi contraria, che la legge sia stata applicata nella sostanza. Non fate nemmeno il tentativo.
Dopo il 2006, si è applicato realmente il principio di garantire i rapporti “equilibrati, continuativi e significativi” con entrambi i genitori? Tu non hai alcun elemento per affermarlo.
Io e tanti altri constatiamo che no, non si è applicato. Ma:
– se te lo dico io, per conoscenze dirette di storie personali, rispondi che sono “solo aneddoti”
– se ci sono dati più ampi (e ci sono), raccolti da alcuni esperti che studiano la problematica da anni, qui mettete in moto la macchina del fango, manovrata da qualche hooligan di “scienze” politiche (qualcuno che del mondo della separazione non dimostra di sapere niente)
– se ci rivolgiamo all’Istat, i dati raccolti li bocci come non abbastanza mirati per essere probanti.
Tu non hai prove della applicazione sostanziale, e non puoi averle perché l’applicazione non c’è. Fai solo un costante respingimento di ogni prova della tesi contraria. Respingimento: è la parola giusta. Rispondi come chi respinge i barconi di richiedenti asilo: le loro storie non ti interessano, l’importante è che siano mandati via. Fai l’avvocata che, non avendo alcuna prova propria da mostrare alla giuria, arringa soltanto per screditare le prove portate dalla controparte.
Torniamo un attimo ai dati Istat. L’applicazione formale è stata verificata (i due separati escono dal tribunale con in mano un pezzo di carta con scritto “affido condiviso”). Ma per tutti gli aspetti sostanziali che l’Istat ha studiato, non è cambiato niente rispetto al pre-2006.
E per gli aspetti che l’Istat non ha approfondito? Gli aspetti relazionali, primo tra tutti (facilmente misurabile) il tempo di convivenza? Secondo te è possibile che su questo aspetto ci sia stato un cambiamento radicale rispetto al regime precedente? Quale fenomeno illogico farebbe sì che, dove l’Istat controlla, gli effetti della legge sono zero; ma dove l’Istat non controlla, gli effetti della legge sono pienamente attuati?
Mi tornano in mente le vecchie investigazioni di Piero Angela sui fenomeni paranormali, ricordo la sua conclusione : “Il controllo distrugge il fenomeno. Controlli zero, fenomeni cento; controlli cento, fenomeni zero”. Dire che i magistrati hanno applicato pienamente la legge, ma solo negli aspetti dove l’Istat non ha controllato, sarebbe come scegliere un ristorante dove le ispezioni dei Nas trovano regolarmente disapplicate le norme igieniche, dicendo… “Bè, basta andarci nei giorni in cui i Nas non controllano… In quei giorni è tutto pulito!”.
L’unica constatazione per non finire nel ridicolo, è ammettere che la legge nella sostanza non è stata applicata.
E per questo che c’è chi è scontento, e non sono pochissimi.
E’ poi interessante che tu usi la frase “buttare in mezzo a una strada” per le donne. Come stiamo vedendo, chi perde il diritto ad abitare la casa coniugale è spesso l’uomo: useresti per lui la frase “buttato in mezzo a una strada”? No, vero? E perchè no?
Forse pensi a una coppia-tipo con un lui Paperone/Briatore/Rockfeller e lei Cenerentola. Chiaramente, se togliamo le chiavi di una casa al miliardario, lui si sposterà semplicemente in una delle sue tante altre proprietà; non se ne accorgerà nemmeno. E’ lei la poverella che non avrebbe altra alternativa. E’ questo che pensi per la maggioranza dei casi? O mi sbaglio?
Bé ti do una notizia: nella maggioranza dei casi non è affatto così. Dimentichiamo Silvio e Veronica, la coppia italiana media non vive così’.
E’ possibile che lui guadagni più di lei, ma il divario spesso non è così clamoroso, e le spese per un nuovo alloggio bastano di per sè a ribaltare la classifica di chi ha più/meno a fine mese.
Ma veramente secondo te lo standard è la madre che per i pannolini non lavora mai più? Ci ripensavo tra i miei conoscenti. Mi vengono in mente alcune signore oltre i sessant’anni che sì, lasciarono il lavoro per la maternità; adesso sono in pensione. Ma tutte le più giovani, cinquantenni, quarantenni e meno, hanno storie diverse, magari part-time per qualche anno o stabilmente, un part-time reversibile al bisogno. Lo schemino standard “lui ricco / lei nullatenente” non esiste.
Una critica ripetuta al ddl Pillon è “vuole riportare indietro la famiglia di 50 anni”: ma sembra che sono proprio le obiezioni fatte dai contestatori, le generalizzazioni, le descrizioni della realtà tagliate con l’accetta (senza guardare il caso per caso) a fotografare una realtà che era quella di 50 anni fa.
https://www.ft.com/content/62a2ce08-2ec9-11e9-ba00-0251022932c8?fbclid=IwAR0BXDsejAKsaPex2Fg1AW6sK8HSh693-s64L3AkWAiK2kO9Y9ecJNJ1frE
“In Italy, the women are frustrated not only by the government’s lack of commitment to support for mothers and young children but also fathers who prefer to be mama’s boys than step up. One woman shows the author a picture of the family drawn by her child in which the father is omitted.”
Ti dò un’altra notizia: in Italia è occupata meno di una donna su due. http://www.affaritaliani.it/costume/lavoro-donne-italia-penultima-in-ue-occupata-meno-di-una-donna-su-2-528905.html
“L’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, in occasione della Festa delle donne dell’8 marzo, ha analizzato i riflessi della bassa partecipazione delle donne, ED IN PARTICOLARE DELLE MADRI, al mercato del lavoro ed ha messo a fuoco le gravi conseguenze anche sul piano pensionistico. Le poche donne che lavorano, infatti, hanno per lo più carriere discontinue e con redditi inferiori agli uomini per via del largo uso del part time: il 40,1% delle mamme 25-49 anni è impiegata a tempo parziale (contro il 26,3% delle donne senza ruolo genitoriale) mentre per gli uomini è una condizione residuale non arrivando al 10%. Carriere discontinue e orario di lavoro ridotto rappresentano condizioni che non consentono di alimentare in modo continuo le posizioni previdenziali utili all’accesso alla pensione di vecchiaia. In base ai dati Inps, nonostante le donne beneficiarie di prestazioni pensionistiche siano 8,4 milioni (862 mila in più degli uomini), solo il 36,5% beneficia della sola pensione di vecchiaia frutto della propria storia contributiva, contro il 64,2% degli uomini. Mentre l’assegno medio mensile delle donne con la sola pensione di vecchiaia è di 14.690 euro annui, con un gap di oltre un terzo rispetto a quello degli uomini (23.409 euro annui).
La gestione dei tempi di lavoro e di cura dei figli rappresenta una dimensione rilevante per il tema dell’occupazione femminile. Le donne con almeno un figlio registrano un tasso di occupazione inferiore di oltre 15 punti percentuali rispetto a quello delle donne senza figli. Al crescere del numero di figli diminuisce proporzionalmente il tasso di occupazione femminile. Prendendo a riferimento il tasso di occupazione delle donne senza figli (70,8%), questo scende di oltre 8 punti per le mamme con un solo figlio (62,2%), di oltre 18 punti in caso di due figli (52,6%) e di oltre 22 punti percentuali (39,7%) nel caso di almeno tre figli. Il livello di inattività delle donne fra i 25 e 49 anni è infatti speculare alle dinamiche occupazionali appena osservate: la presenza di figli porta una gran parte delle mamme (né occupate, né disoccupate) ad uscire dalle forze di lavoro entrando nella popolazione degli inattivi.”
Forse l’Italia non è quella di 50 anni fa, ma non è neanche il paese che dipingi tu.