Leggevo, in occasione dell’8 marzo, quella che potrebbe sembrare una notizia confortante:
oggi, secondo i dati pubblicati dal Csm, è scattato il sorpasso: su 9401 magistrati ordinari, 5103 sono donne, ossia il 53% del totale. Se si guarda poi ai giovani magistrati in tirocinio, la percentuale di donne sale al 66%, 231 su un totale di 351 giovani toghe.
Sebbene lo stesso articolo pubblicato da Studio Cataldi si premuri di smorzare i troppo facili entusiasmi (aggiunge infatti:
Tuttavia, ciò non significa che un vero equilibrio è stato raggiunto. Spostando l’attenzione sugli incarichi apicali infatti, il dislivello rimane: su 447 posizioni direttive il il 72% è ancora ricoperto da uomini e solo il 28% degli incarichi di vertice da donne, quindi 1 donna su 4 maschi.),
non si può che rimanere impressionati da questi numeri, alla luce del fatto che fino al 1963 era espressamente vietato alle donne di entrare in magistratura, perché, come possiamo leggere in un saggio di un “illustre giurista” datato 1957:
la funzione del giudicare …
richiede intelligenza, serietà, serenità, equilibrio; … va intesa come “missione”, non come “professione”; e vuole fermezza di carattere, alta coscienza, capace di resistere ad ogni influenza e pressione, da qualunque parte essa venga, dall’alto o dal basso; approfondito esame dei fatti, senso del diritto, conoscenza della legge e della ragione di essa, cioè del rapporto – nel campo penale – fra il diritto e la sicurezza sociale; ed, ancora, animo aperto ai sentimenti di umanità e di umana comprensione, ed equa valutazione delle circostanze e delle ragioni che hanno spinto al delitto, e della psiche dell’autore di esso; coscienza della gravità del giudizio, e della gravissima responsabilita del “giudicare”.
Elementi tutti, che mancano – in generale – nella donna, che – in generale – “absit injuria verbis” – è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal “pietismo”, che non è la “pietà”; e quindi inadatta a valutare obbiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti.
Absit injuria verbis: sia detto senza offesa. Perché il maschilismo non vuole offendere nessuna, soltanto ricordarci che “Se i sessi sono diversi, diverse sono le funzioni ad essi demandate; e l’uno non può pretendere di esercitare le funzioni dell’altro.”
Non è colpa di nessuno se le donne sono superficiali ove gli uomini dimostrano grande profondità, emotive quando gli uomini rimangono razionali, impulsive a fronte di una maggiore predisposizione maschile alla ponderazione: è la natura.
Sono passati poco più di sessant’anni dal libello del presidente onorario della Corte di Cassazione Eutimio Ranelletti.
E’ doloroso dover confrontare queste riflessioni con la notizia della sentenza di assoluzione che vede protagoniste proprio tre giudici donne della Corte d’Appello di Ancona:
La ragazza viene indicata come «la scaltra peruviana» e si sostiene che assomigli troppo a un maschio per indurre in tentazione. Nelle conclusioni si legge che «non è possibile escludere che sia stata proprio» lei «a organizzare la nottata goliardica, trovando una scusa con la madre» e si afferma che al giovane «la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero sul telefonino con il nominativo di Nina Vikingo, con allusione a una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina, che la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare». Le giudici prendono per buona la versione dei due giovani che avevano scaricato tutte le colpe sulla ragazza, dicendo che ci stava e che lei stessa aveva costretto Melendez ad avere un rapporto sessuale e a lui non piaceva nemmeno.
Peccato che lo stato della vittima al momento della denuncia – un’alta percentuale di benzodiapine nel sangue (farmaci che a dosi normali spesso vengono usati per l’insonnia o contro l’ansia, che non erano mai stati prescritti alla donna, non sono stati rinvenuti nella sua abitazione e, pur non essendo la più classica delle “droghe da stupro“, sono stati ad esempio utilizzati in un altro caso di stupro a Milano) nonché una lacerazione alle parti intime che ha reso necessario un intervento chirurgico, riporta il Corriere Adriatico – renda poco credibile la versione di un rapporto sessuale consenziente.
La sentenza, come sappiamo, è stata annullata dalla Cassazione.
Nel 2016 le donne spagnole chiesero a gran voce al Consiglio nazionale dei giudici la sospensione e il licenziamento della magistrata Carmen Molina, che avrebbe offeso, degradato e umiliato la presunta vittima mostrando evidente incredulità e interrogandola senza permetterle di rispondere.
Neanche un mese fa, il pubblico italiano si scagliava contro un’altra giudice, oggi in pensione, per aver aggredito una vittima di stupro nella ricostruzione televisiva di un processo nel corso della trasmissione Forum.
Risulta dal processo che avevate bevuto, e quindi già… – ha detto nel corso della trasmissione a proposito della violenza sessuale – Anche lei aveva partecipato al bere eccessivo e si era recata in quel posto.
Come non citare, sempre a proposito di tribunali, la giudice di cui scrisse Michela Murgia a proposito dell’omicidio di Melania Rea?
Se dovessimo quindi vederla dal punto di vista letterario, la ricostruzione del caso Rea mostra una trama che lascia interdetti, perché l’omicida vi appare come una figura fragile e deviata, preda di incontrollabili istinti, ma sottomessa e vessata dalla personalità forte di una moglie che lo umiliava di continuo. Melania Rea viene descritta invece come un’Erinni che faceva vivere il marito «in una sorta di sudditanza morale e fisica, già peraltro esistente per il divario economico e culturale ravvisabile tra le rispettive famiglie d’origine»
(…)
Melania Rea non è morta perché Parolisi la odiava, la tradiva e non sopportava che i soldi in casa li avesse lei.
È morta invece perché ha rifiutato di soddisfare le «impellenti esigenze sessuali» di un uomo certamente bugiardo e avido, ma che lei umiliava ripetutamente e che aveva nei suoi confronti un rapporto di «sudditanza fisica e morale». È Melania Rea che è morta, ma nelle motivazioni della sentenza la vittima alla fine è Salvatore Parolisi. Che brutta storia ha scritto, signora giudice.
E’ una donna anche la giudice oggetto degli insulti comparsi il 27 marzo 2017 sul muro di un gabbiotto in via Paolo Borsellino, a due passi dal Palazzo di Giustizia di Torino.
“Giudice Minucci protegge chi stupra”, recitava la scritta.
L’assoluzione dell’imputato, accusato di violenza sessuale da una collega, venne all’epoca così motivata:
La donna “non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. Infine, quando le viene chiesto cosa ha provato su quelle barelle, risponde: “Disgusto”. “Ma – scrive la presidente di sezione – non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere”. “Non grida, non urla, non piange – rimarca la corte – pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”.
Non grida, non urla, non piange, ergo non è stata stuprata.
Ma la versione della vittima era un’altra:
Uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, la violenza come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco.
Un comportamento che la neurobiologia del trauma descrive come del tutto compatibile con una violenza sessuale: si chiama freezing, congelamento, ed è una delle possibili risposte del nostro cervello al cospetto di un predatore.
E’ ancora una donna la giudice al centro delle polemiche nelle ultime ore: si tratta di Silvia Carpanini, del tribunale di Genova, che avrebbe motivato la concessione delle attenuanti generiche ad un marito che ucciso la moglie con una pugnalata perché mosso
da un misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento, ha agito sotto la spinta di uno stato d’animo molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile.
Secondo la giudice, l’uomo
non ha agito sotto la spinta di un moto di gelosia fine a se stesso, per l’incapacità di accettare che la moglie potesse preferirgli un altro uomo, ma come reazione al comportamento della donna, del tutto contraddittorio che lo ha illuso e disilluso allo stesso tempo.
Intervistata dal Corriere, la giudice si difende con fermezza:
Guardi, non intendo giustificare quello che ho scritto. Basta leggere per capire che siamo dentro i confini del diritto, e per me è questo che conta.
Questo signore se n’era andato volontariamente in Ecuador proprio per lasciare spazio alle scelte della moglie. Lei lo fa tornare promettendogli un futuro e lui scopre invece che praticamente c’era l’amante in casa. Tutto nel giro di poche ore. Era un caso in cui non erano mai state contestate né la premeditazione né i futili motivi. Niente può giustificare un omicidio, è chiaro. Ma c’è omicidio e omicidio, c’è dolo e dolo.
Avrebbe dichiarato a La Stampa:
Ci sono omicidi e omicidi, anche un killer può in qualche modo fare pena.
Non c’è dubbio che ci siano omicidi ed omicidi.
Basta pensare al celebre caso della tuta da calcetto, che finì su tutti i giornali qualche anno fa, nonostante il fatto che la vittima fortunatamente si salvò: “Non la sopportavo più e non mi ha lavato la tuta del calcetto”, si era giustificato il marito, dopo aver atteso la consorte in garage, tentato di strangolarla, quindi di bruciarla viva dentro la sua auto inscenando un incidente.
Non aveva lavato la tuta la calcetto: anche questo è un comportamento della vittima che ha cagionato uno stato di rabbia e risentimento nel suo aguzzino, ma forse, direbbe la giudice, si tratta di una rabbia meno “umanamente comprensibile”.
Tuttavia, potremmo osservare – come spesso accade quando si parla di donne vittime di violenza domestica o di stupro – che quel marito che accettò di tornare dall’Ecuador per riunirsi alla moglie fedifraga, un po’ la delusione se l’è andata a cercare: non potrebbe essere stato il suo comportamento eccessivamente tollerante e disponibile a convincere la donna che le era concessa la libertà di continuare a tradirlo? In fondo, non è stato costretto a tornare, poteva benissimo decidere di non darle l’ennesima possibilità…
A proposito di dolo, grandi discussioni ha sollevato la più che mite pena (3 anni soltanto) inflitta lo scorso anno a Edith Scaravetti, che aveva ucciso il marito dopo 10 anni di violenze fisiche, psicologiche e sessuali.
Ad assolverla, in quel caso, contribuirono 5 donne.
Molti, nel commentare la vicenda, hanno messo in rapporto il caso Scaravetti agli 8 anni inflitti, sempre in Francia, a Bertrand Cantat, per il brutale omicidio di Marie Trintignant, massacrata di botte (la colpì più volte al viso e alla testa, diciannove pugni in totale, e poi non la soccorse, la lasciò agonizzare fino al giorno successivo: dall’autopsia risultò la frantumazione delle ossa del naso, un grande ematoma sull’occhio sinistro e sulle labbra, e diverse lesioni cerebrali), dei quali solo 4 il cantante ha trascorso in prigione.
Perché la uccise? Bertrand Cantat, intendo. Leggiamo in un articolo dell’epoca:
I due sono lì perché lei sta girando, con l’immancabile madre alla macchina da presa [le madri hanno sempre un ruolo nella sventura dei loro figli], un film sulla vita di Colette. Sabato sera, hanno festeggiato l’ultimo ciak, salgono in camera. Lei riceve un sms dall’ex marito, padre di due figli. Le annuncia che un loro progetto lavorativo sta andando bene. Termina con una frase affettuosa. Non solo molte relazioni, perfino qualche vita, sarebbe stata risparmiata senza l’invenzione degli sms (ma anche viceversa: il conto è probabilmente in pari). [Sembra quasi colpa dell’invenzione degli sms…] Qui accadono le prime due cose che i “fratelli dei Noir Desir” non si aspettano. La prima: Bertrand strappa dalle mani di Marie il telefono e legge il messaggio. La seconda: fa una scenata di gelosia. Bertrand è Robin Hood, il ribelle che sputa sui soldi e sul manifesto di Le Pen, come riconoscerlo in questa scena borghese e ridicola? Una domanda ingenua, come lo sono quelli che se la pongono. Certo, la scena è patetica. Ma ogni uomo, lontano dal palco, dalla cattedra, dalla rappresentazione di se stesso è, spesso, quasi sempre patetico. Il privato è la soglia della credibilità umana. Oltre, se non l’abisso, qualche pozzanghera. Nel privato, fieri anticapitalisti non parlano che di soldi e scrittori macisti si infilano i collant. Ridicolo, non stupefacente. Ed è, ancora, qualcosa che possiamo comprendere e compatire. Poi accade qualcosa d’altro. Bertrand chiede spiegazioni. Marie rifiuta o dice quel che le viene di dire. Non importa. Litigano, urlano. Va bene. E’ un diritto, per loro, un dovere. Hanno l’aria di due persone che debbono litigare con gli altri per non farlo con se stessi. Lei urla per fuggire dal proprio silenzio. Lui, sul palco, urla così tanto che ha dovuto, più volte, operarsi le corde vocali. Non hanno “l’arte del silenzio”. Sono inquieti, intelligenti. Insoddisfatti, va da sé. Niente li appagherà perché non sono abbastanza autodistruttivi, perché, a differenza di Kurt Cobain la sera in cui se ne andò a dormire con i suoi angeli, si stanno ancora divertendo. Ma Bertrand è geloso. Come può esserlo? La gelosia è quel concetto borghese e destrorso che tutte le generazioni dei suoi fratelli hanno coperto con la sovrastruttura dalle incerte fondamenta. Crolla, infatti. E Bertrand perde il controllo. Colpisce Marie. Attenzione: non una volta sola. Lo dice l’autopsia dei medici lituani: la colpisce più volte, ha il viso coperto di ecchimosi. Una volta è impeto, istinto, poco più di una parola, un vento che abbatte la sovrastruttura e lascia nuda l’anima. E’ una follia, una di quelle che, a essere uomini, capiamo. Più volte è un deliberato intento di violenza, una tempesta di cattivi sentimenti che smaschera Robin Hood e ci mostra un altro principe viziato. Non è “una follia” come Bertrand ora dice. E’ un crimine, che solo la legge penale degli uomini comprende e classifica.
Commentò la madre di Marie, al momento della scarcerazione del suo assassino:
Temo che la sua liberazione anticipata appaia come tristemente significativa per tutti quelli che lottano affinché le violenze fatte alle donne siano giustamente punite.
Per quanto concordi con la giudice Carpanini sul fatto che ci sono omicidi e omicidi e persino un (o una) killer può arrivare a farci pena, non concordo con lei sul fatto che l’aspetto più rilevante di una vicenda processuale sia che la sentenza si collochi “dentro i confini del diritto”.
Una sentenza può benissimo collocarsi all’interno dei confini del diritto, e comunque risultare a chi la legge mostruosamente ingiusta, soprattutto alla luce del contesto sociale in cui si colloca.
Penso ad esempio ad un’altra giudice donna (coadiuvata da una PM donna), protagonista in un caso di tentato omicidio con acido muriatico: più volte un marito aveva versato uno dei liquidi più corrosivi esistenti nelle bottigliette d’acqua destinate alla moglie, ma il caso venne archiviato.
L’uomo si giustificò così:
Volevo solo provocarle un malore, per convincerla a restare in casa. Lei, infatti, organizza spesso pellegrinaggi, ascolta Radio Maria per tutto il giorno, è molto attiva e c’è sempre gente in casa.
Questa è una pagina de I Quindici; l’edizione che ho in casa e che imparavo a memoria quando ero piccina, dalla quale è tratta l’immagine, è del 1977.
Questa filastrocca è parte di quel contesto culturale in cui tutte queste sentenze si collocano, che siano emesse da uomini o da donne.
Un contesto in cui esiste una filastrocca che “rinserra” le mogli che “gironzolano” troppo, ma non esiste niente di simile per gli uomini che gironzolano.
Un contesto in cui si può pensare di giocare a stuprare le donne, solo le donne (penso al controverso videogioco “Rape Day” che ha scatenato indignate proteste), mentre nessuno si dà da fare per creare un gioco nel quale l’obiettivo sia umiliare, illudere o massacrare gli uomini e gli uomini soltanto.
E’ questo il contesto in cui i proclami di questi, ma soprattutto di queste giudici che si ammantano di neutralità rispetto al genere degli imputati (Come giudice ho sempre avuto un atteggiamento neutrale, non è che posso prendere le parti della ragazza, si difese la giudice Cavallo a proposito dell’episodio di Forum), risuonano false e odiose a chi ritiene che non prendere le parti delle donne sia umanamente incomprensibile, soprattutto se hai sperimentato sulla tua pelle che significa essere una donna in questo paese.
questa volta sono d’accordo con te
Questo a dimostrazione di quanto sia pervasiva la cultura dello stupro, quanto le stesse istituzioni dello Stato contribuiscano a quel processo di intimidazione nei confronti delle donne ancora oggi nel 2018 sia che si parli di stupri o di violenza fisica.
Tanto più se si pensa che i giudici sono persone istruite e colte e dovrebbero sapere certe cose. Tipo l’avvenenza e l’abbigliamento non sono mai causa di uno stupro per dirne una…
In un processo penale, la vittima è la persona offesa dal reato, titolare del bene protetto dalla legge, è il soggetto passivo, ovvero la persona sulla quale ricade materialmente l’attività penalmente rilevante. Questo per ricordare a molti giudici ( uomini e donne) che il loro compito è di stabilire se è stato commesso il reato oppure no, nessuno chiede ai giudici di schierarsi, per quello c’è già la legge che protegge le vittime. Non sono degli educatori e le simpatie o eventuali antipatie se le devono tenere per se.
Piccola annotazione: se “fermezza di carattere, alta coscienza, capace di resistere ad ogni influenza e pressione, da qualunque parte essa venga, dall’alto o dal basso.” Sono caratteristiche maschili, che si contrappongono a quelle femminili che sono: “fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica” Ho notato che in caso di stupro, gli uomini autori di violenza sessuale, acquistano caratteristiche femminili. Non sono più razionali e inflessibili, ma diventano emotivi, istintivi, impulsivi e passionali. diventano femmine. Al contrario alle vittime di stupro viene negata ogni possibilità di essere emotiva, superficiale, impulsiva, le vengono richieste quelle caratteristiche maschili: fermezza di carattere, alta coscienza, capace di resistere ad ogni influenza e pressione, da qualunque parte essa venga, dall’alto o dal basso.” Si invertono le caratteristiche attribuite al genere..
Mamma Oca.
Mentre camminavo sull’Hampsteas Fair
Incontrai Mamma Oca
Così la lasciai passare
Lei stava urlando
“Non possono andare dal pediatra.
Non hanno tempo, devono lavorare.
Non possono andare a parlare con gli insegnanti.
Non hanno tempo, devono lavorare.
Ma la partita a calcetto non si può saltare.
Il tempo si deve trovare e il lavoro può aspettare.
E la moglie la tuta, la deve lavare e stirare.”
Senza l’introduzione di una prospettiva di genere negli studi giuridici, tutte le cose che a noi sembrano ovvie, per esempio la necessità di guardare al contesto culturale e non considerare le motivazioni di un reato solo sul piano individuale/relazionale, resteranno ignorate, e sappiamo molto bene che la neutralità di fronte all’esistenza di un sistema sociale e culturale intrinsecamente androcentrico e patriarcale è solo un’apparenza, perché le impostazioni di default della società non sono neutrali.
Sono solo cristallizzazioni di pratiche adottate in altri tempi, e mantenute perché la consuetudine e la ripetizione le rendono accettabili, quelle che fanno sì che i rapporti fra vittima e perpetratore vengano letti in un certo modo, che ci si basi su modelli di senso comune e sulle aspettative che ne derivano per cercare di ricostruire i fatti e le motivazioni delle azioni di vittima e perpetratore. Il diritto non ha una prospettiva critica sul senso comune, su ciò che è “normale”, e vediamo quantità assurde di decisioni prese in spregio all’evidenza scientifica, su questioni che vanno dalla violenza di genere alle malattie degli ulivi, dai vaccini al “traffico di virus”.
E’ seriamente tempo che la cultura giuridica si apra ai saperi delle discipline scientifiche e alle decisioni basate sull’evidenza. E’ vergognoso che si creda che la neutralità consista nel basare i propri processi decisionali sul senso comune e non su prospettive validate da decenni di ricerche.
Scherzi, non vedi come suona scentifiko “pareva un maschio”?
Lo stupro è basato totalmente sul sesso e i modelli di attrazione sono universali, come no.
Vorrei avere la forza di ridere, ma sono ancora troppo arrabbiata. Non conosco la storia della cultura giuridica in Italia, ma davvero le persone che studiano diritto credono che basti il giudizio di una “persona media” rivestito della conoscenza della legge per inquadrare fenomeni che vanno ben al di là del piano giuridico?
La mia amarezza deriva anche dal fatto che questa è l’ennesima svalutazione della competenza nel contesto italiano.
Son d’accordo, era una battuta amara la mia.
Infatti, totale incompetenza, ma soprattutto che possa essere valido come giudizio causale il “non la trovo attraente, quindi non credo nessuno la toccherebbe”, che basti questo ad assolvere. Sì è tutto in discorso che si espande al movente che può esserci dietro uno stupro e lo rende del tutto distorto e semplificato all’attrazione fisica.
Mettiamoci anche Trump sul cambiamento climatico. Ma lì ci sono delle convenienze.
citazione:
<Non conosco la storia della cultura giuridica in Italia<
si vede che lei è del tutto ignara di cosa sia il diritto, il processo di parti, lo Stato di Diritto, il diritto alla prova e la motivazione della sentenza. Ad esempio, lei non ha letto assolutamente la sentenza di Ancona (io sì) ma ne parla come se la conoscesse.
Quindi doppiamente "ignorante"; da un lato non ha alcuna (seppur minima) cultura giuridica, e dall'altro non conosce l'oggetto del post che riguarda una sentenza assolutoria (poche illusioni, il processo non è finito ed è stato rimesso per nuova decisione ad altra corte d'appello).
Torni ai suoi studi sociologici e veda di lasciar perdere Forum e Quarto Grado : non sono
dei processi veri. Se dovete denigrare, almeno studiate e informatevi.
Nei miei studi sociologici non è che non abbia mai incontrato il diritto, e che sia un oggetto totalmente alieno per me (e non credo che sia particolarmente onesto da parte sua inferirlo da una sola affermazione). Quello su cui ammetto di non avere a disposizione i dati e le conoscenze per argomentare in modo solido è la storia della cultura giuridica, in relazione ad esempio al rapporto fra cultura giuridica e scienza e ai processi decisionali con cui i giudici decidono A CHE COSA riconoscere lo statuto della legittimità scientifica. Posso solo dire che l’osservazione di svariati processi che hanno avuto alta risonanza mediatica in Italia, su campi molto diversi che vanno da quello a Ilaria Capua, passando per la PAS, la Xylella degli ulivi pugliesi, l’inesistente legame vaccini-autismo e la violenza di genere (una cosa che posso dire di aver letto, studiando l’argomento, è la relazione della “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” al Senato, dove effettivamente sono menzionate falle nei processi nel prendere in debita considerazione aspetti come le violenze precedenti nell’inquadrare la questione) è che i criteri con cui i giudici in Italia scelgono a cosa riconoscere lo statuto di scientificità sono DIVERSI da quelli della comunità scientifica.
E questa discrepanza non ha motivo di essere. Chiaramente spetta alla comunità scientifica stabilire che cosa, alla luce dei metodi e delle teorie, è consolidato come supportato dall’evidenza disponibile, e che cosa invece deve essere respinto al di fuori della scientificità.
la mia speranza è che l’enorme mole di donne ormai presenti nel settore giustizia, tra avvocati, magistrati, giudici onorari, viceprocuratori onorari, giudici di pace, componenti esterni (spesso donne) presenti nei tribunali dei minori, leggano davvero la tua invettiva. Basta entrare in un tribunale e si capirà che l’enorme presenza femminile è un dato di fatto, e con la presenza femminile è entrata la cultura “femminile”, nettamente distinta dal “femminismo”.
Hai fatto un bel minestrone mescolando varie notizie, pezzi di sentenze, la Spagna: la tecnica è sempre quella, ma ripeto, vorrei tanto che le tantissime donne (molte cape di uffici giudiziari) leggessero cosa REALMENTE dicono di loro le femministe.
Dovresti, intanto, sapere, che tra “giudicare” e pregiudicare, cioè emettere giudizi “faziosi” come i tuoi, c’è una distanza siderale. Per il concetto di faziosità rimando al Devoto-Oli.
Capisco che l’intenzione è di fare pressione sulle vostre colleghe di genere, ma guardate che non funziona così: anzi, il risultato della tua/vostra faziosità è stato proprio la sentenza di appello di Ancona. Continuate così, state convincendo anche le donne con simpatie nel femminismo a mollarvi, e sarebbe davvero ora.
Grazie per l’incoraggiamento. Continuerò, certo.
sarà mia cura far leggere i tuoi “pastoni” a qualche magistrato donna, casomai si dovessero “convertire” al tuo credo fazioso.
Tu i magistrati civili dovresti ringraziarli, e far loro un monumento: sai molto bene perchè.
Un sacco di gente che viene a commentare è convinta di sapere tutto di me. No, io non ho amici magistrati da ringraziare, e non mi spaventa o mi preoccupa la tua idea di promuovere il mio lavoro qui. Non so proprio perché tu ritenga di suonare minaccioso.
Ciao, volevo sapere che differenza ritenga esserci nel tuo discorso tra cultura femminile e femminismo? Ritieni quella del blog cultura femminile contrapposta a femminismo vero?
In cosa è diversa dalla cultura maschile, chi l’ha differenziata, nel caso perchè è negativa? Ad esempio la cultura femminile tradizionale?
Puoi dirci della tua visione del caso di Ancona? E della validità di “pare un maschio” sulla credibilità di uno stupro?
Seriamente, mi piacerebbe, nonostante la tua apparente rabbia incendiaria ed indignata possa farlo sembrare difficile, una discussione costruttiva. Per capire nei tribunali c’è un problema di cultura femminile intesa come faziosità corporativa femminile invece che di femminismo, del tutto speculare alla cultura che informa sentenza basate sulla mascolinità della donna o sui jeans troppo attillati?
Mi sembra ti fossilizzi troppo sull’attaccare Ricciocorno senza mai metterti in discussione, rischiando di lasciarti leggermente trasportare da gruppi tossici che invece di illustrare al femminismo cosa non li convince ospitano senza isolarli gli elementi più retrivi e maschilisti che cercano di radicalizzare questa frustrazione.
Tralasciando la seconda parte dell’articolo (che ammetto di non aver letto), vi chiedo semplicemente perché quei 53% di donne magistrato e 63% di ragazze in tirocinio sono dati
positivi mentre il 72% di uomini al vertice no? Se il femminismo vuole la parità tra uomo e donna perché quando le donne superano gli uomini si esulta mentre invece quando gli uomini stanno avanti le cose devono cambiare? Forse perché ritenete che per le donne emergere sul lavoro sia più difficile a causa delle discriminazioni?
Non è questione di dati positivi o negativi, sono le domande che questi dati sollevano. In un ambiente di lavoro in cui ci sono più donne che uomini, come mai ai vertici ci sono più uomini che donne? Gli uomini sono più capaci? Più intelligenti? Più interessati a ruoli di comando? Oppure le donne sono discriminate?
Tu cosa ne pensi? (Grazie per l’eventuale risposta)
Penso che sulla base della forte opposizione all’ingresso delle donne in magistratura e alle sue ragioni, che risalgono a poco più di cinquant’anni fa, il fattore discriminazione non può essere considerato trascurabile e dovrebbe essere oggetto di ricerca, come lo è in altri paesi in cui gli studi di genere non evocano soltanto spettri spaventosi. Soprattutto perché esso è stato ampiamento dimostrato in altri ambiti.
Scusa in quali lavori è dimostrato che le discriminazioni impediscono alle donne di avanzare?
Comunque, pensandoci, potrebbero essere dei dati positivi sulla base di questa logica
Angelina Jolie: «Più donne al potere per avere un mondo pacifico»
https://www.corriere.it/buone-notizie/19_marzo_30/angelina-jolie-piu-donne-potere-avere-mondo-pacifico-bd1609a2-530b-11e9-9968-8e956cb2939f.shtml?refresh_ce-cp
Ovvero, più donne al potere… chessò… per un mondo migliore, più avanzato, ecc.
Ci sono esperimenti di ogni genere che hanno reso visibile la discriminazione. Questo è solo un esempio: https://www.sciencemag.org/careers/2016/10/recommendation-letters-reflect-gender-bias
Se non è questione di dati positivi o negativi perché hai usato l’espressione “notizia confortante”?
Come perché? Non hai letto le obiezioni in merito al permettere alle donne di accedere alla carica di magistrato???
Capisco. Però i periodi per mettervi alla prova lo avete avuto. Intanto in magistratura avete fatto fiasco. Nelle aziende le donne operaie odiano i capi donna, ma mai gli uomini. I dati OCSE hanno dimostrato che i voti più alti delle ragazze a scuola sono in parte dovuti al maggiore apporto empatico dei docenti donna. Nelle manifestazioni scrivete: “più si sale di prestigio più mancano donne”. Avete scritto prestigio, come una borsetta da sfoggiare, non avete usato il termine grado come un operato da seguire. In altre parole non riesco a vedere questo miglioramento della società. Non vedo neanche coerenza nel movimento stesso…eppure a chi avanza pretese dovrebbe spettare l’onere di dimostrare il meglio di sé e dare l’esempio. Altrimenti la credibilità è pari a zero. Nel 68 vi hanno affiancato tutti, moltissimi uonini…che ora scappano. Vabbe… Sarà perché si sentono perdere terreno sotto i piedi. Non pretendo ragioni, e posso sbagliarmi. Ma per ora anche le donne trovano più coerenza nelle formule maschili e si allontanano dal femminismo. E francamente dato che io ritengo le donne essere più intelligenti ed intuitivi, forse non sbagliano a seguire l’istinto.
“per ora anche le donne trovano più coerenza nelle formule maschili e si allontanano dal femminismo”: no, direi di no. A me sembra che sempre più donne stiano prendendo coscienza, invece, di quanto il femminismo sia stato e sia importante. Ma forse frequentiamo persone diverse…