Mi informa una mia lettrice che recentemente il Sunday Mirror ha lanciato una campagna per denunciare il fenomeno dei bambini uccisi dai loro genitori, dopo un’indagine di nove mesi effettuata dal tabloid.
L’indagine ha rilevatro che dal 2004 al 2019 sono stati uccisi 63 bambini, 52 dei quali sono stati uccisi da padri noti alle autorità per abuso domestico, mentre 7 sono stati uccisi da entrambi i genitori, ma i padri avevano storie simili alle spalle che avrebbero potuto allertare chi di dovere.
Il Mirror ha scoperto anche che tutte le vittime avevano genitori noti alla polizia, agli assistenti sociali o ai tribunali della famiglia per essere stati violenti e che spesso i membri della famiglia avevano cercato di mettere in guardia le autorità sui pericoli che correvano i bambini, ma sono stati ignorati.
La campagna “Salvare i bambini dai genitori violenti” (“Save Kids From Violent Parents”) mira a garantire che genitori e tutori condannati per violenza, abusi su minori o reati sessuali non abbiano garantito l’accesso senza supervisione ai propri figli, chiedendo un emendamento alla legge sugli abusi domestici che renda più difficile il contatto con genitori violenti.
Nel frattempo in Italia l’Eures, con l’ultimo rapporto sugli omicidi in famiglia denuncia un’impennata dei figlicidi: si contano infatti 31 figli uccisi dai genitori nel 2018, con una crescita del +47,6% sull’anno precedente (erano 21 le vittime nel 2017), confermando inoltre che la famiglia, a volte, è tutt’altro che un porto sicuro nel quale rifugiarsi dalla brutture del mondo: nel 2018 il 49,5% delle vittime degli omicidi volontari commessi in Italia è stato ucciso all’interno della sfera familiare o affettiva – 163 su 329 vittime di omicidio totali, la percentuale più alta mai registrata in Italia. Di queste, il 67% è costituito da donne -109 vittime- a fronte di 54 vittime di sesso maschile -33%.
Altri dati rilevanti: nei quindici anni compresi tra 2000 e 2014 sono stati 379 i figli uccisi da un genitore, dei quali 39 – uno ogni 10 giorni – solo nel 2014, anno che segna un incremento sia rispetto ai 22 dell’anno precedente (77,3%) sia rispetto alla media (circa 25 ogni dodici mesi) del quindicennio considerato.
Sappiamo che la maggior parte dei figlicidi avviene nel Nord Italia, che se quasi la metà dei casi dei delitti (46,5%) è perpetrata nel contesto di disturbi mentali del colpevole (la percentuale sale a 62,4% fra le madri), il 29,3% dei casi sono definiti delitti del possesso, ovvero omicidi in cui uccididere i figli è un atto volto a generare sofferenza nel coniuge o ex coniuge, mentre nel restante 18,6% dei casi vengono uccisi figli non voluti, ma nulla ci viene detto del coinvolgimento delle istituzioni responsabili della tutela dei minori in questi casi.
Qualcosa si può intuire dalla lettura dei casi descritti dagli articoli di cronaca.
Ad esempio, a proposito del caso dei due bambini uccisi dalla madre detenuta nel carcere di Rebibbia, leggiamo che esistevano relazioni degli agenti che avrebbero parlato di una situazione di disagio della donna forse legata a una crisi post partum e che al colloquio al primo ingresso sarebbe stata richiesta una visita psichiatrica; ciononostante, la donna non risultava in cura al momento del delitto.
Del caso della piccola Gloria, uccisa dal padre a Cremona, leggiamo che la madre aveva denunciato i maltrattamenti dell’uomo e per questo un mese prima era stata accolta assieme alla figlia in una casa protetta; malgrado ciò, a Jacob Danho Kouao era stato concesso di portare con sé la bambina senza supervisione.
La mancanza di dati – ci dice Patrizia Romito nel suo libro “Un silenzio assordante” (pag.25) – rappresenta una precisa scelta politica: finché resterà non detta o poco studiata, un’enorme quantità di sofferenza umana continuerà a non essere riconosciuta e a non essere guarita.
La recente indagine “Angeli e Demoni” ha avuto il pregio di portare alla ribalta il problema dell’incompetenza di chi è preposto alla tutela dei cittadini più vulnerabili.
Credo sia importante che l’indignazione coinvolga non soltanto tutti quei casi in cui le istituzioni hanno perseguitato genitori molto probabilmente innocenti, ma anche quei casi in cui un intervento più tempestivo e/o radicale avrebbe potuto salvare delle vite, che invece non sono state salvate.
A tale proposito, sono da segnalare incauti interventi diffusi a mezzo stampa che, prendendo spunto dallo scandalo in Val d’Enza, si sforzano di sminuire il fenomeno della violenza sui bambini.
Penso ad esempio l‘intervista di Adnkronos a Carlo Giovanardi, che punta il dito contro l’Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, che definisce “sparati” (infondati, quindi) i dati che denunciano che un adulto su quattro nel mondo è stato abusato fisicamente da bambino, e una donna su cinque e un uomo su dieci avrebbe subito abusi sessuali da bambino, mentre in Europa di ben 18 milioni di bambini sarebbero vittime di abusi sessuali.
Questi dati non sono “sparati”, ma provengono direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Nel Global status report on violence prevention del 2014, facilmente consultabile online, a pag.10 possiamo leggere:
A quarter of all adults report having been physically abused as children.
One in five women reports having been sexually abused as a child.
Anche il dato che stima in 18 milioni le piccole vittime di abusi sessuali in Europa proviene dall’OMS, come possiamo leggere qui.
Se l’indignazione per i fatti di Bibbiano si trasforma in un’occasione per accantonare il problema delle violenze sull’infanzia, possiamo definirla un’occasione persa.
FORSE LA LOGICA DI QUESTO ARTICOLO SAREBBE QUELLA DI EVIDENZIARE l’ enorme squilibrio tra il rischio rappresentato per il figlio dalla presenza di figure maschili violente e invece la totale assenza di rischio rappresentata dalla figura materna che mai da sola agirebbe contro il figlio…
mi limito a ricordare che gli atti violenti di donne contro i figli sfuggono a tale ricognizione per vari motivi… intanto quasi sempre avvengono al di fuori del rapporto di coppia o si verificano in contesti extra-famigliari… bambini partoriti in bagni pubblici e lasciati li a morire, partoriti in casa ma successivamente buttati ancora vivi in cassonetti, bambini abbandonati in appositi “luoghi” fatti apposta per farli vivere, ma senza radici…… su questi casi, ovviamente, la ricognizione e solo parziale… un bambino che muore dentro un cassonetto viene recuperato solo se si cerca altro, senno finisce in discarica come la spazzatura, e non se ne sa piu niente…
ma ci si VUOLE dimenticare SEMPRE E COMUNQUE la natura intergenerazionale della violenza familiare… il padre violento cresciuto in un contesto violento che madre ha avuto? una madre grintosa, combattiva, pronta a reagire alle violenze per dimostrare che nessuna violenza e mai legittima? o piuttosto una madre paziente oltre misura, fragile, “parafulmine” a tal punto da trasformare la violenza in ovvieta? “QUEI” padri violenti di cui parla l’ articolo, quindi, sono a loro volta di CONTESTI FAMILIARI SBAGLIATI E CON ENTRAMBI I GENITORI INADEGUATI A SVOLGERE IL COMPITO EDUCATIVO E FORMATIVO… la pazienza della nonna paterna diventa condanna per i nipoti, che non avrebbero mai dovuto avere quella donna come nonna se il legame fosse stato forzosamente interrotto da un intervento dell’ autorita giudiziaria… SOLO UNA COSA FA CRESCERE DIALOGANDO, ovvero capire l’ importanza del dialogo… chi da botte non dialoga, ma neanche chi le prende, quindi anche in questo post ribadisco che non si puo far crescere i bambini in contesti che, da carnefici o da vittime, facciano considerare la violenza in se come normalita…
Ho postato questo articolo solo per farti notare quanti professionisti del settore non concordano con te.
SPE…
visto che da come ti esprimi sei totalmente fuori dal sistema professionale, o il tuo coinvolgimento affettivo ti porta comunque a privilegiare soluzioni affettivamente “consolatorie” nei confronti della madre, TI FORNISCO ALCUNI NECESSARI CHIARIMENTI…
1. le varie figure professionali coinvolte in questa tipologia di problemi DEVONO avere visioni difformi, stante che ognuna ne evidenzia solo alcune caratteristiche… ordinariamente chi racconta questi fatti, ovvero i giornalisti, evidenziano le correlazioni in vista di scatenare interesse ed allarmismo… il fenomeno, anzi, “fenomeno”, viene descritto con logiche sociologiche… la figura professionale del sociologo si deve interessare dei cosidetti “grandi numeri”, QUINDI SI LIMITA SOLO A CONTARE I CASI ED A DESCRIVERNE LE CARATTERISTICHE SIMILARI, ai fini di una possibile correlazione statistica… QUINDI, NON PER IL GIORNALISTA E NEANCHE PER IL SOCIOLOGO CI TROVIAMO DI FRONTE A PROFESSIONISTI CHE PENSANO DI DOVERSI OCCUPARE DI “PERSONE”… ai fini del tuo blog puoi citarli quanto vuoi, ma sono proprio loro i primi a fregarsene delle madri sofferenti… altro discorso, discorso “altro”, per i settori professionali correlati con la mente… come correttamente rileva SILVIA VEGETTI FINZI, nella sua “STORIA DELLA PSICOANALISI”, l’ approccio psicoanalitico e l’ approccio psicologico sono epistemologicamente differenti… la psichiatria nasce come diramazione della psicodinamica in ambito germanico… nei primi anni ci si accorge che occorreva occuparsi dei pazienti anche attraverso forme di terapia chimiche ed elettriche… questo avviene liberamente in ambito germanico ed anglosassone… quando la psichiatria arriva in italia, con il monopolio medico delle terapie chimiche, viene boicottata e bloccata… la nascente “societa italiana di psicoanalisi”, in teoria costola italiana della omologa “societa internazionale di psicoanalisi”, non ha nulla a che fare con il ceppo originario, non deriva da un approccio psicologico, ma semplicemente da un approccio neurologico medico… qui in italia, dunque, ed i tutti i paesi di cultura neolatina, agli psicologi viene consentita solo la iniziale diagnosi ed il monitoraggio, MAI L’ AZIONE CLINICA E TERAPEUTICA! se lo fanno compiono esercizio abusivo della professione medica… PERTANTO LO PSICOLOGO NON PUO E NON DEVE AVERE UN APPROCCIO FINALIZZATO ALLA SOLUZIONE DEI PROBLEMI, ma solo alla loro dettagliata descrizione da fare pervenire allo psichiatra… SOLO LO PSICHIATRA DI FATTO HA LA POTESTAS GIURIDICA DI AVVIARE PERCORSI TERAPEUTICI, che pero finiscono con il privilegiare l’ uso di farmaci e con il trascurare la parte relazionale… SE UNO STESSO PSICHIATRA SI OCCUPASSE CONTEMPORANEAMENTE DI MADRE E FIGLIO, stante che il figlio comunque e un paziente “altro” rispetto alla madre e stante che sul figlio potrebbe dover rendere conto anche ad altri, NON POTREBBE COMUNQUE MAI PENSARE AD UN UNICO PERCORSO DI TERAPIA CHE LI COINVOLGA ENTRAMBI… ma, al massimo a due percorsi paralleli in cui il segreto professionale su un caso impedisce di utilizzare le informazioni a vantaggio dell’ altro… come adesso forse puoi capire, me ne frego di “professionisti” con vedute tanto settarie e ristrette… chi si occupa di didattica DEVE andare oltre schemi preconcetti e barriere di settore… il cammino formativo e personale, ma avviene in un tessuto relazionale; la percezione della violenza lacera l’ anima, ma porta il bimbo a non amarsi come corpo; le tutele giuridiche dei diritti dei genitori potrebbero andare contro gli interessi del minore… SOLO CHI SI OCCUPA DI DIDATTICA, QUINDI, SI CHIEDE VERAMENTE ANCHE “COME RISOLVERE IL PROBLEMA?”… perche proprio solo la didattica suppone non solo il monitoraggio o la evoluzione naturale, ma proprio la progettazione di un percorso di vita liberatorio e liberante!
2. in tale logica, l’ unica vera “liberazione” di un individuo sta nel creare le condizioni per un percorso di vita che porti la persona ad autogestirsi nel piu veloce tempo possibile…. tutte le relazioni diadiche costituiscono un nucleo chiuso, e diventano esattamente l’ opposto di un cammino liberalizzante… in una coppia madre-figlio predisposta come la vorresti tu, il fare 18 anni avrebbe solo un valore simbolico, ma il bimbo arriverebbe a quella eta senza sapersi gestire, o costretto a gestire la madre a tempo indefinito… vorresti creare un sistema sociale in cui solo il diventare orfani fa vera “liberta”? vorresti creare un sistema sociale in cui all’ adulto diventato orfano viene impedito di essere se stesso perche solo in quel momento inizia ad imparare cosa sia la vita? DA DIDATTA DEVO DIRE CHE NESSUNO PUO NEGARE AL BIMBO IL DIRITTO DI ESSERE SE STESSO IN FORMA AUTONOMA, come NESSUNO HA IL DIRITTO DI IMPEDIRE AL BIMBO UN CAMMINO PERSONALE CHE ESCLUDA A MONTE FORME DI DIPENDENZA AFFETTIVA… pertanto, da didatta IO NON POSSO SCEGLIERE… IO NON DEBBO SCEGLIERE… NON POSSO E NON DEBBO SCEGLIERE TRA MADRE E BAMBINO: quando so che ci sono interessi contrapposti, PER ME ESISTE SOLO IL BAMBINO!
3. penso che piu chiaro di cosi non potevo essere: mai pieghero la mia affettivita per coprire e giustificare forme vampiresche di egoismo affettivo, anche se si tratta di istanze provenienti dalla madre!
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[come sempre, i maiuscoli sono a scopo evidenziativo]
Almeno io sono “fuori” soltanto dal sitema professionale.
e come sempre, quando finisce il dialogo o il confronto argomentato diventa arduo, iniziano le allusioni o le offese sul personale… “dialogare” con te mi affascina… piu andiamo avanti e piu si smascherano le logiche… tu difendi le madri, ma pensi come i padri!
Oh ecco, siamo passati al consulto. Arriva sempre il momento della diagnosi a me. Sappi che non ti pagherò.
E sappi anche che non andremo avanti in questa direzione: il livello di assurdità ha raggiunto livelli da teatro dell’assurdo quando hai tirato fuori dal cilindro il “sociologo”. Davvero, l’unica cosa che ti si può replicare ormai è “e la cantatrice calva?”
Quindi, grazie del contributo, ma ora andiamo ognuno per la sua strada.