Tema numero 1

Una lettrice mi ha chiesto recentemente quali sono, secondo me, le principali questioni delle quali il femminismo dovrebbe interessarsi in questo momento.

Sono fermamente convinta che la prima, in ordine di importanza, dovrebbe essere la questione citata dall’Avvocata Giovanna Fava in una recente intervista:

«Quello dei figli è l’ambito su cui oggi si sta giocando la vera partita della violenza maschile sulle donne. La legge n.54 del 2006, che ha introdotto l’affidamento condiviso dei figli come regola, non ha tenuto conto della violenza agita in famiglia né della ricaduta che ha nella formazione e nel benessere dei figli che la subiscono, spesso come impotenti spettatori. La Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha sottoscritto, impone agli Stati di adottare le misure necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione oltre a garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini. Eppure Federico Mbarak è stato ucciso dal padre nel corso di un incontro protetto, la piccola Gloria uccisa a coltellate dopo che il padre l’aveva prelevata, mentre viveva in protezione con la madre.
La legge 119/2013 ha introdotto nel nostro ordinamento l’obbligo per il Pubblico Ministero, quando si procede  per i reati di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia o atti persecutori, commessi a danno di un minorenne o da un genitore a danno dell’altro di darne comunicazione al Tribunale per i Minorenni, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alle limitazioni della responsabilità genitoriale. Tuttavia nei Tribunali ordinari la violenza intrafamiliare, ove non sia sfociata in una condanna definitiva,  non viene presa in esame ai fini dell’affido in quanto si dà prevalenza alla bigenitorialità e all’interesse del minore a “beneficiare” di entrambi i genitori. Questa “postura” è stata fatta propria da Ctu, psicologi, assistenti sociali e Giudici e sta portando a conseguenze aberranti: donne che per sottrarsi alla violenza fisica ed economica agita dal partner si sono trasferite dai propri genitori in altra città con il figlio piccolissimo si sono viste giudicate male “per avere allontanato il bambino dal padre” e, indipendentemente dalle ragioni che lo hanno motivato, costrette a ritornare con il bambino nella città dove abita il padre o, in caso negativo, subire la modifica della collocazione ovvero il bambino di pochi anni collocato presso il padre. La “cultura” dell’alienazione parentale, che ritiene che quando le donne o gli stessi bambini si oppongono ai rapporti con il genitore violento, sia sempre dovuto ad un lavaggio del cervello fatto dalle madri e che, in quanto tale vada “curata” con il cambio di collocazione sta mietendo numerose vittime innocenti».

La cultura della bigenitorialità e dell’alienazione genitoriale: due temi sui quali il femminismo dovrebbe interrogarsi con ancora maggiore attenzione di quella dedicata al disegno di legge 735 (cosiddetto Pillon), soprattutto alla luce del fatto che sempre più vittime della violenza maschile prima e delle istituzioni in seconda battuta si sta facendo avanti, mettendosi al servizio non soltanto dei benessere dei propri figli, ma di tutte quelle madri che trovano il coraggio di allontarsi coi propri figli da un partner e padre maltrattante e che, invece di trovare negli organi preposti alla tutela dei loro diritti risposte adeguate, si trovano a subire una crudele rivittimizzazione.

La storia del diritto alla bigenitorialità e dell’alienazione genitoriale potremmo farla iniziare circa trenta anni fa, sebbene – naturalmente – essa affondi le radici nella storia del patriarcato e quanto andrò a scrivere non può che risultare come un’estrema semplificazione di una questione molto più complessa e articolata.

Nel 1985 Richard Alan Gardner pubblicava “Isteria collettiva dell’abuso sessuale. Una rivisitazione dei processi alle streghe di Salem”, descrivendo per la prima volta la sindrome di alienazione genitoriale, che poi evolverà (almeno nominalmente) nell’attuale alienazione genitoriale.

Nel 1993 Warren Farrell pubblicava “Il mito del potere maschile”, abbandonando la posizione filo-femminista grazie alla quale era diventato membro della NOW (National Organization for Women) per diventare il principale punto di riferimento del nascente movimento per i diritti degli uomini; nel libro Farrell afferma che le donne sono le vere detentrici del potere nella società, mentre gli uomini sono il “sesso usa e getta” (the disposable sex), i cui privilegi denunciati dal femminismo sarebbero solo un’illusione. Si scaglia contro le leggi contro le molestie sessuali e la violenza domestica (se vediamo solo donne picchiate e non uomini picchiati, concludiamo che le donne sono maltrattate dagli uomini come risultato del privilegio e del potere maschili e non vediamo che la persona che maltratta in realtà sta mettendo in atto un’esperienza di esercizio di potere che è momentanea e funzionale a compensare l’impotenza che vive ogni giorno, dichiarerà in una intervista), ma soprattutto racconta che il suo allontanamento dal movimento femminista è iniziato nel momento in cui si è affrontato l’argomento della presunzione a favore dell’affido condiviso, per lui fondamentale nel garantire un riequilibrio dei ruoli di genere.

Che cosa hanno in comune Farrell e Gardner? Entrambi si collocano in un momento storico ben preciso, successivo alla seconda ondata femminista degli anni Settanta, ed entrambi elaborano le loro teorie a partire dalla medesima premessa: l’esistenza di uno squilibrio di potere a favore delle donne e a discapito degli uomini all’interno della famiglia (mai riconosciuto nell’analisi femminista delle società patriarcali), un potere che le donne eserciterebbero per mezzo del loro storico ruolo di caregiver principale nella cura dei bambini allo scopo di ottenere risorse economiche senza sforzo (o comunque con un sacrificio infinitamente inferiore di quello del padre-breadwinner) nonché il pieno controllo della vita di uomini e bambini.

Il ritratto del papà discriminato in quanto maschio, però, di fatto nega l’oggettiva distribuzione differenziata del potere politico ed economico che a tutt’oggi pone le donne in posizione subordinata rispetto agli uomini. Ce lo conferma, ad esempio, il recente Rapporto Auditel-Censis su Convivenze, relazioni e stili di vita (2018), quando afferma che “è prevalente il potere decisionale maschile su settori vitali della vita familiare nelle coppie con o senza figli. Le donne prevalgono nelle scelte solo negli acquisti quotidiani e di elettrodomestici, il resto è tutto in mano ai maschi, che nella gran parte dei casi sono i capofamiglia”.

Ma che cosa ci dice Warren Farrell a proposito dell’affidamento dei bambini in caso di divorzio?

Da un’intervista: La situazione migliore per i bambini è, ovviamente, non dopo il divorzio, ma in una famiglia intatta. Se deve esserci un divorzio, la classifica è:
1. custodia fisica congiunta con circa il 50% del tempo con ciascun genitore;
2. affidamento esclusivo al padre
3. affidamento esclusivo alla madre;
interrogato sul perché un affidamento esclusivo al padre sia migliore di un affidamento alla madre, risponde: ci sono molte ragioni per cui i bambini stanno meglio con i papà e non hanno nulla a che fare con le competenze del padre. Per esempio… i papà erano generalmente più anziani, hanno più soldi, più istruzione e, forse la cosa più importante, sono più selezionati. I papà single del XXI secolo sono come le donne degli anni ’50 che sceglievano di diventare dottori. Le persone che superano delle barriere sono solitamente molto motivate.

Se non fosse per le nefaste conseguenze dell’indefesso lavoro di quest’uomo, non suonerebbe quasi divertente?

Quale “barriera” avrebbe superato un uomo che dopo il divorzio si ritrova più ricco della sua ex partner? La sua maggiore ricchezza non è piuttosto la diretta conseguenza della rigida divisione dei ruoli che da secoli relega le donne al lavoro domestico e alla cura della prole?

Sorvoliamo sulla disparità di istruzione fra uomini e donne (le statistiche più recenti a proposito degli USA ci dicono che nel 2017 la percentuale di uomini sposati con donne con un livello di istruzione più alto del loro ha raggiunto la cifra record del 25% ed è destinata ad aumentare, se si pensa che il 56% degli studenti del college è di sesso femminile) e soffermiamoci un attimo sul suo discorso sulla ricchezza: nella coppia sposata chi guadagna di più è sempre l’uomo e il motivo è che, in costanza di matrimonio, chi sacrifica il lavoro retribuito per farsi carico del lavoro domestico e di cura della bambini sono le donne.

In Italia, ad esempio, in occasione della festa della mamma di quest’anno è stata pubblicata un’elaborazione di Uecoop, l’Unione europea delle cooperative, su dati dell’Ispettorato del lavoro: in Italia più di 80 mamme al giorno in media sono costrette a licenziarsi perché non ce la fanno a conciliare lavoro e vita familiare con la cura dei figli.

Quanti padri lasciano il lavoro per lo stesso motivo?

A dispetto del tentativo della stampa mainstream di rappresentare il problema come neutro rispetto al genere

sappiamo che il fenomeno riguarda principalmente le madri e le ragioni hanno poco a che fare con i presunti vantaggi che le donne ricaverebbero dalla situazione, quanto piuttosto con gli ancora radicatissimi stereotipi di genere (ad esempio quello che dice che in condizioni di scarsità di lavoro i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini, oppure che gli uomini sono meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche).

Per ciò che riguarda il discorso sulla “famiglia intatta”, fino a poco tempo fa, diciamo fino agli anni ’90, la psicologia non aveva ancora del tutto assimilato le idee di Farrell sul divorzio come peggiore dei mali possibili; la parola bigenitorialità non esisteva ancora ed era diffusa l’idea che è più deleterio per la salute psichica del minore vivere in una famiglia legalmente intatta, ma conflittuale, rispetto ad una famiglia separata ma sufficientemente stabile e serena. In uno studio del 1994 svolto in Italia, (Funzionamento psicologico dei figli di famiglie unite e separate, Anna Paola Ercolani, Donata Francescato in Età Evolutiva, No. 48, pp. 5-13), ad esempio, le autrici giungono alla conclusione che il conflitto con i genitori o tra i genitori è un importante predittore di alcune caratteristiche dei ragazzi, quasi sempre indipendentemente dal fatto che i genitori siano o meno separati. I figli di separati e di famiglie unite non si differenziano in nessuno dei vari aspetti del concetto di sé; la propensione ad avere buoni rapporti interpersonali appare non dissimile fra i due gruppi di soggetti. Anche la valutazione del proprio rendimento scolastico non presenta differenze significative. Le autrici della ricerca sostengono che, sulla base dei risultati ottenuti, non è tanto la separazione in sé, ma piuttosto il conflitto fra genitori e le eventuali difficoltà relazionali dei figli con uno o con entrambi i genitori, ad apparire correlati con problemi emotivi e di comportamento.

Ad attribuirsi la paternità del termine “bigenitorialità”, in Italia, è Vincenzo Spavone, presidente dell’associazione Gesef, (genitori separati dai figli), autore del volume “Quando eravamo genitori fantasma”, nonché uno dei protagonisti della puntata di Presa Diretta “Dio Patria Famiglia” sul disegno di legge 735, cosiddetto Pillon. Spavone è quello che ha pronunciato la frase : “la violenza domestica ha i tacchi a spillo” nel corso della puntata Dio Patria e Famiglia, sposando appieno la teoria di Farrell che vuole le donne le vere arpie del ménage familiare, a dispetto del fatto che siano quelle che ne escono più spesso con le ossa rotte.

Secondo Spavone, la data di nascita del termine bigenitorialità è il 1997, un anno dopo l’uscita del report dell’APA sulla violenza domestica e la necessità di proteggere i bambini dal padre maltrattante.

La bigenitorialità non si configura quindi come il risultato della ricerca accademica sull’effettivo benessere dei bambini coinvolti in separazioni o divorzi, quanto piuttosto un termine coniato all’interno dei sempre più attivi movimenti per i diritti degli uomini-padri, intesi come i soggetti maggiormente lesi da un sistema sociale fondato su una famiglia dominata dalla donna-madre, diventando solo successivamente una tesi che alcuni accademici si sono sforzati in tutti i modi di dimostrare.

Una di queste è Linda Nielsen (della quale abbiamo già parlato), docente Scienze dell’Educazione alla Wake Forest University, North Carolina; il Senatore Pillon si è recentemente riferito a lei come una “guru” della psicologia, mentre in un documento dell’associazione Figli per sempre è definita “leader mondiale nel campo della ricerca empirica e meta analitica in tema di affidamento dei minori” e che il suo pensiero sarebbe “NOTO A TUTTI GLI STUDIOSI INTERNAZIONALI”; non risulta dal suo curriculum che abbia lavorato a contatto coi bambini, tuttavia è autrice di un lavoro disamina dei lavori esistenti sulla residenza alternata; dalla sua disamina, ovviamente, esclude qugli studi che sono in contrasto con la sua teoria.

Fra le conclusioni espresse da Nielsen, ce ne è una particolarmente interessante: E’ un errore ritenere che l’affido condiviso sarebbe più dannoso dell’affido esclusivo per i bambini i cui genitori siano stati “fisicamente abusanti” uno verso l’altro.

In parole povere il lavoro della Nielsen nega gli effetti della violenza assistita sui bambini.

Il 26 marzo 2012 un discreto numero di associazioni italiane, insieme alcuni esponenti di partiti politici e del Movimento per la Vita, ha firmato il manifesto del Movimento Maschile Italiano (MoMas); fra le più conosciute possiamo citare “Uomini3000” e “Maschi Selvatici”, che si occupano di diritti degli uomini, ma anche associazioni più specificamente dedicate alla paternità, come l’”Associazione papà separati”, l’”Associazione papà separati dai figli”, la GESEF (Genitori separati dai figli), il Ge.Fi.S (Comitato Genitori di Figli Sequestrati) o l’Armata dei Padri (Dads’ Army è la scritta che compare ai lati dello striscione “Smantelliamo il divorzificio” postato dal senatore Simone Pillon martedì 25 settembre 2018 su facebook, a testimonianza del 2° Festival della Bigenitorialità a San Damiano di Brugherio, mentre Vincenzo Spavone, figura nel programma dell’evento). La prima iniziativa ufficiale del MoMas è stata la campagna permanente del fiocco blu, con la quale si intendeva dare “spazio e visibilità a tutti coloro che – a livello individuale, associativo e istituzionale – vogliono adoperarsi per contrastare la violenza che permea le relazioni donna/uomo… Una guerra culturale e sociale che ha come bersaglio esclusivo la figura maschile”.

Un Movimento per i diritti degli uomini è oggettivamente imbarazzante in un contesto sociale nel quale – ci dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – la violenza sulle donne è un’emergenza sanitaria mondiale e il 35% delle donne è vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner o di sconosciuti, mentre il 38% dei femminicidi avviene per mano del compagni.

Per questo motivo il principale cavallo di battaglia delle loro campagne contro le donne è diventato presto la paternità: i bambini e le bambine sono un pretesto per suscitare un sentimento generale di compassione ed imporre l’idea che in realtà siano le donne ad esercitare il potere sugli uomini.

Giocando sulle nozioni di “bisogni dei bambini”, di “consensualità” e di “parità”, la lobby dei papà separati è comunque riuscita a ridefinire il criterio dell’interesse del minore: la nozione giuridica di affidamento dei figli, nella quale svolgevano un ruolo centrale le cure prodigate e la stabilità, è stata progressivamente rimpiazzata da termini come “bigenitorialità” o “condivisione delle responsabilità genitoriali”; prioritario nei discorsi a proposito della tutela dell’infanzia è diventato il principio di uguaglianza fra i genitori, un principio funzionale ad occultare le concrete esigenze e il benessere di bambine e bambini coinvolti. La crescente confusione tra “interesse del minore” e “parità genitoriale” ha reso ogni iniziativa legislativa miope nei confronti degli ostacoli concreti ad una matematica suddivisione del minore fra le figure genitoriali. Il potenziale progressista contenuto nell’idea di ripartizione delle responsabilità genitoriali, dopo essere stato un ideale del movimento femminista, è stato manipolato da un movimento che ha fatto del concetto di bigenitorialità un cavallo di Troia funzionale ad invisibilizzare tutta quella mole di lavoro domestico e di cura che le donne si sobbarcano prima e dopo la separazione e che tanto peso ha su quel divario di genere che colloca l’Italia tra i paesi messi peggio in Europa.

Se si perde un po’ di tempo navigando i siti dedicati alle associazioni citate, è facile scoprire che i discorsi ruotano ossessivamente sempre attorno agli stessi argomenti: l’assegno di mantenimento, il rapporto negato con i figli, ea false accuse di violenza o abuso sui minori, l’alienazione genitoriale, la discriminazione degli uomini nei Tribunali e il fatto che la violenza di genere non esiste, perché le donne sono tanto violente quanto gli uomini.

In questo contesto, in seno al movimento per i diritti degli uomini e dei padri, si colloca il successo di una pseudo-teoria come l’alienazione genitoriale.

La storia che ci raccontano i media, in proposito, è una storia che parla di bambini manipolati da donne perverse (perché sarebbe sciocco negare che il genitore manipolatore ha un sesso preciso nella letteratura sul tema), ma soprattutto di accuse inventate ad arte allo scopo di rovinare uomini innocenti, storie a proposito delle quali si snocciolano percentuali che non trovano alcun fondamento se non nelle affermazioni di chi se ne riempie la bocca.

Tutte le ricerche che sono andate ad indagare l’esistenza di massicce quantità di false accuse depositate ai danni di poveri genitori (ma dovremmo dire padri) alienati hanno sconfermato le teorie di Gardner e dei suoi epigoni sull’esistenza sia della tendenza delle donne a mentire in Tribunale, sia della tendenza dei Tribunali a dare credito alle loro “menzogne”. Gli studi ci dicono invece che proprio il fatto di parlare apertamente della violenza pone le donne in una posizione sfavorevole rispetto al partner e che un uomo maltrattante non solo è più propenso a lottare per la custodia dei suoi figli, ma molto più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere la ottiene.

 

Non a caso, non troverete quasi mai un esplicito riferimento alla violenza domestica o agli abusi sui bambini, negli articoli degli “esperti” di alienazione genitoriale.

Quando si tratta di distinguere un genitore alienato da un genitore effettivamente maltrattante, i criteri di valutazione proposti si dimostrano estremamente poco attendibili. Ad esempio, da un articolo del Dottor Mario Andrea Salluzzo: Solitamente, i genitori alienanti sono poco collaborativi nel sottoporsi a valutazioni, poco attendibili nei loro resoconti, bisognosi di fare continue iniezioni di richiamo per ricordare ai figli i maltrattamenti subiti, premurosi nel proteggere i figli dai pericoli del genitore bersaglio, anche quando si tratti di contesti protetti, e denunciano i presunti abusi solo dopo la separazione. I genitori di figli realmente abusati dal genitore respinto, invece, tendenzialmente, lasciano che i figli ricordino spontaneamente gli abusi subiti, riconoscono il rischio dell’indebolimento del rapporto tra il genitore abusante ed i figli, che fanno di tutto per ripristinare in condizioni protette; infine, la denuncia degli abusi risale ad un periodo di molto precedente alla separazione.

Secondo Salluzzo, sono da considerarsi probabilmente false e tendenziose tutte le denunce presentate dopo la separazione. Inoltre, un genitore davvero vittima di abusi o testimone degli abusi sui figli, dovrebbe mostrarsi preoccupato che il proprio figlio possa subire terribili conseguenze dalla perdita del rapporto con il soggetto maltrattante, anzi, dovrebbero adoperarsi spontaneamente per tutelarlo, quel rapporto. Vi basta mettere a confronto queste affermazioni con il report dell’APA sulla violenza domestica, per rendervi conto di quanto simili criteri possano mettere a rischio l’incolumità e il benessere di donne e bambini. Ricordo che, secondo l’APA, la donna maltrattata può apparire ostile, poco collaborativa o addirittura mentalmente instabile. Per esempio, potrebbe rifiutarsi di comunicare il proprio indirizzo, o opporsi alle visite del padre senza una supervisione, soprattutto se teme per la sicurezza dei propri figli. Esattamente quello che, nell’articolo, farebbe una donna cosiddetta alienante.

Un maggiore coinvolgimento dei padri nel lavoro di cura dei figli è un tema importante per una gran quantità di ragioni; ne gioverebbero i bambini, e si appianerebbero quegli ostacoli che continuano a impedire l’accesso delle donne al mercato del lavoro in condizioni di parità con gli uomini, scardinando il modello sociale per cui la madre è il genitore che principalmente si dedica alla cura,mentre il padre è il genitore che aiuta quando i suoi altri e principali impegni lo permettono, e sovvertendo lo stereotipo che vuole il lavoro di cura in generale un qualcosa di squisitamente, biologicamente femminile.

«Oggi il carico familiare è principalmente sulle spalle delle donne e riduce la loro presenza nel mercato del lavoro. Eppure se cresce il tasso di occupazione femminile, non solo migliora la qualità della vita, ma aumenta il Pil (Prodotto interno lordo)» ha dichiarato una delle autrici del report State of the World’s Fathers (Stato della paternità nel mondo).

Ma a mio avviso ne beneficerebbero anche gli uomini.

Secondo i risultati di una ricerca dell’Università di Barcellona, infatti, le famiglie che hanno aderito al congedo di paternità, in seguito, hanno avuto meno figli. Le ragioni di questo effetto possono: o i genitori hanno giudicato di dover dedicare più tempo ai figli già nati, piuttosto che concepirne altri, oppure – si legge – «i papà hanno imparato quanto sia difficile prendersi cura di un bambino e queste nuove informazioni hanno influenzato le loro scelte in merito a quanti figli mettere al mondo».

Credo che una simile consapevolezza – che prendersi cura di un bambino è un lavoro gravoso e difficile – potrebbe giovare parecchio al rapporto fra uomini e donne, soprattutto per ciò che concerne la disistima che molti di essi oggi manifestano nei confronti di quelle che hanno dedicato buona parte della loro vita al lavoro di cura.

Ma questo maggiore, reale e concreto coinvolgimento dei padri nella vita dei figli non può si può attraverso concetti come quelli che stanno influenzando le infauste decisioni dei tribunali delle quali leggiamo impotenti sui giornali, decisioni che si ostinano a trattare la violenza coniugale come una semplice disputa tra coniugi in cui i torti sono equamente condivisi.

Fino a quando gli uomini si convincono di poter colpire la madre dei loro figli senza essere cattivi padri, è lecito temere che continueranno a farlo. Finché le donne si convincono che i loro coniugi possono colpirli senza essere cattivi padri, è lecito purtroppo temere che rimarranno con loro – ha affermato il primo ministro francese Édouard Charles Philippe in un discorso pronunciato quest’annopreservare a tutti i costi il rapporto tra un bambino e suo padre, che rischia di usarlo come strumento per fare pressioni, non è ragionevole né per il bambino né per la madre che viene messa in pericolo non appena questi esercita il suo diritto di visita. È quindi tempo di allineare la  legge con questa realtà: non possiamo scindere tra il coniuge e il padre, quando è lo stesso uomo. In oltre l’80% dei casi, la violenza domestica e la violenza contro i bambini sono collegate. Il nostro dovere è quello di proteggere i bambini vittime di queste situazioni insopportabili. Oggi, quando un uomo finisce in tribunale per violenza contro sua moglie, l’unica cosa che il giudice può fare è negargli la potestà genitoriale. Vale a dire, i suoi diritti e doveri di padre.

Ecco, questa credo sia la prima delle battaglie che il femminismo debba ingaggiare nel nostro paese, al fine di giungere ad una presa di coscienza collettiva: un uomo violento è un cattivo padre, e in quanto tale merita l’esclusione da qualsiasi discorso sul coinvolgimento degli uomini nella vita dei loro figli.

 

Chicche natalizie sul tema del coinvolgimento paterno:

Chi fa l’uomo

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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15 risposte a Tema numero 1

  1. Shonagh Mc Aulay ha detto:

    Excellent article. Still waiting for the book you recommended to educate myself on the fathers’ rights movement. That and another title. I didn’t know the first thing about our recent history and our family and juridical status. Trying now to make up for lost time. (My ex will of course have been perfectly updated as he built his projects. He has a woman cousin who was the youngest family court judge ever in Hamburg. She always hated me, who knows why. And another cousin who has become extremely wealthy defending all the most violent criminals of that same city.)

    Re priorities for feminism, yes yes yes. #MeToo has opened up another focus on patriarchy. Equal pay and glass ceilings are also important. Violence against women per se is important, crucial. Any abuse is terrible. But what could be more gender specific and less just than cruelty and injustice towards victims of violence, mothers and children in the family tribunals? And what is discussed least in the media and among women? Exactly that.

    Shonagh

  2. Vale ha detto:

    Oppure si potrebbe anche ricordare che ci sono tante persone, anche donne, che figli non ne vogliono e che vengono discriminate per questo da tantissime persone (di solito madri di famiglia che si sentono superiori solo perché incarnano lo stereotipo che il patriarcato insegna loro) e che sarebbero anche stufe di venire discriminate anche dalle altre donne perché, cavolo, nella vita vogliono altro che non fare figli.
    Ah, ci sentiamo anche fare la ramanzina sul clima e l’l’inquinamento, nonostante la scienza abbia calcolato che non importa quanto green sarete in vita, non potrete mai risparmiare CO2 e inquinamento come uno che non fa figli.

    Ed ecco perché spero che il femminismo si ricordi anche di tutte le donne che di sentirsi dire che solo madri e bambini valgono e necessitano di azioni da parte delle femministe sono beatamente stufe.
    Perché siamo persone. E abbiamo dei diritti anche noi. Fa sempre bene ricordarlo.

    • E dove sta scritto che “SOLO madri e bambini valgono”?

      • Vale ha detto:

        Di temi più importanti me ne vengono molti. In ordine sparso: combattere la tratta, combattere l’oggettivizzazione, il soffitto di cristallo, la disparità nelle paghe… Cose che affliggono TUTTE le donne in TUTTO il mondo. Non solo alcune madri in alcuni stati.
        Ad esempio, più importante di quello proposto da te sarebbe finalmente far capire a tante donne che vivono ancora nel ‘700 che una donna ha bisogno in primis di un lavoro (così non dipenderà da un uomo che magari, se si scoprisse violento, non potrebbero lasciare perché non sanno come mantenersi) e un lavoro serio, non un part-time a 600€ al mese, perché tanto il resto lo mette lui.
        Sarebbe da far capire loro che si devono realizzare come PERSONE e che figliare non può e non deve essere il loro unico obiettivo, perché questo le annichila come persone e se va l’autostima, poi non si accorgono del violento in casa. Si potrebbe far notare loro che BEN PRIMA di fare un figlio (che ti lega per la vita) col primo che capita (e se leggi Rubrica Lilla o Distruggere su fb ne conti a pacchi) sarebbe da spendere qualche anno a conoscere il signore in questione. Ma se credono che valgono solo se partoriscono, non lo faranno mai.
        Ah, se una non vuole/può avere figli o allattare non vale di meno (ho visto di quelle cattiverie da donne ad altre donne per questo). Lo pensano solo perché figliare è tutto ciò che sanno fare e ne va della loro autostima, visto che hanno rinunciato a tutto il resto per quello che il patriarcato dice loro, cioè “non sei donna se non figli”.
        Ma continuiamo a pensare che il tema numero uno del femminismo sia aiutare madri idiote a non accorgersi che possono essere persone complete, per carità.
        Ancora tantissimi mesi fa ti avevo chiesto di leggere alcuni siti childfree che ti avevo linkato per capire la discriminazione che viviamo ogni gg e magari parlarne. Ma evidentemente, anche per te non siamo donne sul serio.

      • Ecco, questo tuo commento nel quale definisci “idiote” le donne vittime di violenza domestica, spiega chiaramente perché ho scelto di parlare di questo fenomeno, lungamente ignorato proprio perché si tende a ridurlo ad un problema di individui poco intelligenti.

      • Vale ha detto:

        Non travisare le mie parole. Idiota non è la vittima. Idiota è quella che non si pone il problema di trovarsi un lavoro perché è convinta che la sua unica funzione nella vita sia trovare uno che la mantiene e fare figli. E sì, se non realizzi che per vivere ti serve un lavoro, sei un idiota. Maschio o femmina che tu sia.
        Una delle priorità del femminismo dovrebbe essere aiutarle a capire che valgono come persone, non solo perché madri.

        Poi ci sono tutte le altre priorità che ho già elencato e che continui a snobbare. Personalmente, credo che inquadrare la donna come essere umano con dei diritti (cioè le priorità indicate da me prima) avrà come risultato anche ampliare il concetto di “donna” di ‘ste madri anni ’50, quindi sì, le considero priorità più alte.

        Fuori dal discorso. Ti sei mai domandata come mai i post legati agli argomenti che ho citato prima hanno decine o centinaia di commenti, mentre quelli sulle mamme praticamente nessuno? Hai mai fatto una statistica? Io sì.

      • Sei tu che travisi tutto il mio articolo. La mia prima domanda è stata: “dove sta scritto che SOLO madri e bambini valgono”? Una domanda alla quale tu non hai risposto. Dove l’ho scritto?
        La tua prima obiezione – ci sono “ben altri” problemi che potevi citare sotto il numero 1 – si fonda su un argomento fantoccio. Io non ho mai scritto che le madri valgono più delle donne che non hanno figli, né tantomeno che il femminismo si dovrebbe occupare “soltanto” delle donne madri. Soprattutto perché questa guerra che si combatte all’interno dei Tribunali e riguarda un numero limitato di persone – quelle eterosessuali che divorziano e hanno figli – in realtà permette di affrontare un tema che ci riguarda tutti ed è racchiuso nella frase: “non possiamo scindere tra il coniuge e il padre, quando è lo stesso uomo.”
        Pensa a quante volte la nostra società opera questa scissione: ha stuprato quella ragazza, ma è un bravo figlio, un eccellente atleta, uno studente talentuoso (https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2016/06/10/to-girls-everywhere-i-am-with-you/), ha stuprato quella ragazza ma è un genio nel suo lavoro (https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2019/08/31/venezia-too/), abbiamo bisogno di uomini così, e questi sono solo due esempi.
        Un messaggio che passa ancora più forte se applicato agli uomini-padri, ovvero persone alle quali affidiamo la responsabilità di trasmettere il proprio sistema sistema valoriale ai propri figli, maschi e femmine.
        Il motivo per cui ho deciso di proporre questo come primo tema è proprio perché – come giustamente fai notare tu – “i post legati agli argomenti che ho citato prima hanno decine o centinaia di commenti, mentre quelli sulle mamme praticamente nessuno”, ovvero è un tema largamente ignorato da chi ritiene che non un tema che ha poco a che fare con la discriminazione di genere.
        Perché molte troppe persone la pensa come te: non è una questione politica, ma un problema personale di donne stupide che hanno fatto le scelte “sbagliate”.
        Purtroppo, vedi, in una società fondata sull’ingiustizia, in una società in cui una porzione della popolazione è discriminata non esistono scelte giuste e scelte sbagliate, nel senso che non esistono scelte che possano metterti al riparo dall’oppressione, che assume soltando forme diverse a seconda della scelta che fai.
        Se questa fosse una società in cui le madri sono davvero delle privilegiate, l’alienazione genitoriale non sarebbe mai stata teorizzata.
        Il discorso che fai tu, il voler ridurre un fenomeno all’incapacità individuale, si può fare per ciascuno dei fenomeni che hai citato.
        Ad esempio, potremmo dire che il problema delle donne senza figli che si sentono sminuite perché non-madri in una società che assegna alla donna il ruolo di mero contenitore di bambini (ergo quelle che non accettano di svolgere questo compito sono non-donne), è un problema di fragilità personale: se ti senti umiliata, discriminata, è solo perché sei emotivamente vincolata all’approvazione degli altri e non sai reagire con forza a chi si diverte a bullizzarti. Perché non li ignori? Perché non reagisci? Hai forse bisogno che qualcun altro di dica che sei una persona per riconoscerti come tale?
        Ecco, un discorso del genere sarebbe profondamente ingiusto e crudele.
        Come sarebbe ingiusto affermare che se non ci sono donne ai vertici di questo o quell’ambito o se non ci sono più donne che guadagnano tanto quanto gli uomini è perché non se lo meritano e non sgomitano abbastanza per arrivare dove sostengono di voler arrivare, o che le donne che protestano per l’influenza nefasta di irrealistici canoni di bellezza della loro vita sono in realtà solo donne invidiose, incapaci di fare i conti coi propri limiti, incapaci di avere abbastanza cura di sé.
        Nessuna delle questioni di cui il femminismo dovrebbe occuparsi può essere ridotta alla stupidità della singola donna, e questo non significa che non esistano donne stupide, ma solo che grazie al femminismo abbiamo imparato che se allarghiamo lo sguardo per comprendere il quadro di insieme, ci rendiamo conto che la psicologia da sola non basta a spiegare perché certi fenomeni riguardano principalmente la popolazione femminile.

      • Vale ha detto:

        Parole tue, incollo:
        Sono fermamente convinta che la prima, in ordine di importanza,
        La prima, in ordine di importanza. Non la tratta, che miete ogni anno sai bene quante vittime. Non le mutilazioni sessuali. Non il soffitto di cristallo, le differenze di stipendio, l’oggettificazione, lo stalking, le molestie online, la pornografia.
        La prima, in ordine di importanza è la storia degli affidi. Le donne che non sono madri, ma che subiscono tutto ciò che io ho elencato (anche molte madri lo subiscono, il punto è che quello è subito da tutte le donne e non solo da alcune, madri, in situazioni “limite” di separazione col compagno) non sono equamente importanti.
        E non lo dico io. Lo dici tu nella seconda frase del tuo post.
        E sì, è insultante per tutte le altre donne, che hanno problemi di serie B, a tua opinione. E come tu stessa hai già scritto in molti altri post, non puoi decidere TU cosa insulta NOI. Quindi ribadisco che mi sento insultata. E come me, chissà quante altre.
        Fai tutti i giri di parole che vuoi. Stavolta hai toppato.

      • Non ho fatto “giri di parole”. Ho cercato di spiegarti perché questa questione riguarda anche te.

    • SERENANDO ha detto:

      La Vale ha ragione, e il suo è un punto di vista che andrebbe approfondito.
      L’Italia è un paese mammista, come del resto tutta l’area mediterranea. E le donne che non hanno figli sono inevitabilmente trattate come se avessero qualcosa di meno delle altre.
      E’ dunque assolutamente emblematico che secondo questo articolo il punto più importante delle lotte femministe sia la tutela del ruolo di mamma (perché comunque lo si giri, questo è il senso dell’articolo, che peraltro ignora studi che dimostrano cose abbastanza diverse).
      Ci sarebbe da approfondire un punto: quanto questo inneggiare alla matriarcalità distrugga la specificità dell’esser donna, dal momento che -come questo articolo dimostra- conta più tutelare la mamma che non le donne in quanto tali

      • Dipende che cosa si intende con “mammista”. E a tale proposito consiglierei a tutti di leggere “La mamma (L’identità italiana)” di Marina D’Amelia per scoprire quanto recente e poco fondato nella storia del quotidiano della maggioranza delle donne italiane sia questo mito del “mammismo” italiano, costruito ad arte in un preciso momento storico più che altro dagli uomini e per scopi che poco hanno a che fare con la glorificazione delle madri.
        Questo articolo non parla della tutela del “ruolo di mamma”, affermarlo significa non averne compreso il senso. Si parla di tutela di un preciso gruppo di donne e bambini vittime di violenza intrafamiliare che oggi, invece di vedere tutelati i loro diritti, si trovano a venir rivittimizzati dalle istituzioni. E’ piuttosto chiaro. Quando si attribuisce una tesi fantoccio a qualcuno di solito è perché non si hanno argomenti per rispondere.

      • ... ha detto:

        Serenando, ma cosa hai letto?
        A parte il fatto che il paese mammista è anche uno dei paesi con il tasso di natalità più basso (e nel mondo il tasso si è dimezzato dagli anni ’60 a oggi), da nessuna parte c’è scritto, e in nessun modo è possibile interpretarlo, che il tema principale sia la tutela del ruolo della madre. Si parla di tutela delle madri, ovvero di persone in carne e ossa, in specifici contesti di violenza domestica. Si parla poi della condivisione delle cure ai figli, cosa che è chiaramente l’opposto del culto del matriarcato, così come il passaggio sulle madri che si licenziano, che è il principale motivo per cui le donne possono avere meno scelta in termini di partecipazione al mondo del lavoro e di carriera. Ora, a parte il fatto che tutto ciò non significa in alcun modo sminuire le donne che non vogliono avere figli, quando si parla di discriminazione bisogna essere più precisi. Essere trattati male da qualcuno perché non si vogliono avere figli, o perché si è vegetariani o in sovrappeso è diverso dal subire una discriminazione. Le donne che non vogliono avere figli sono discriminate per questa loro precisa scelta in quale senso? In altre parole, come categoria sociale non esistono, ed è ovvio che sia così, fino a che qualcuno non porti un fattore concreto di discriminazione a livello sociale o istituzionale. La battaglia per poter scegliere di non fare figli è già stata fatta. L’unica zona d’ombra rimane la situazione negli ospedali per la garanzia dell’aborto, che non c’entra nulla con quanto detto. Poi certamente ognuno può avere in mente altre priorità, ma non per questo si può far passare un testo per ciò che non è. E neanche me ne frega nulla degli affidi.

      • Il motivo per cui Vale sostiene che questo post sia “offensivo”, è perché non meriterebbe di essere considerato una priorità, visto che non tutte le donne sono madri; inoltre, se ho bene inteso, sempre Vale ritiene che io gli abbia assegnato la priorità perché le madri sarebbero più importanti delle donne che madri non sono.
        Io credo che questo tema sia prioritario perché mi sembra evidente – alla luce dei sempre più agguerriti tentativi di ottenere in Italia come altrove una legislazione che permettesse a padri violenti di ottenere l’affido dei figli e che conferisse, tramite la menzione negli ordinamenti, una certa “dignità nosologica” all’alienazione genitoriale – che il tema è prioritario per il movimento per i diritti degli uomini, un movimento che postula un’erosione dei diritti maschili a vantaggio delle donne e si propone di ristabilire l’ “equilibrio” rispedendo le donne tutte indietro di decenni. Certo, il movimento per i diritti degli uomini opera anche su altri fronti, ma in questo campo gode di molto più credito, così tanto che è riuscito ad influenzare il concetto stesso di benessere dei bambini, subordinandolo alla biologia. Insomma, questa battaglia è una sorta di cavallo di Troia, io credo, e non dovremmo lasciarlo entrare.

  3. SERENANDO ha detto:

    Sarà. Ma il discorso per come lo vedo io è troppo lungo e si presterebbe a troppe polemiche da parte tua:
    Però dovresti confrontarti di più con questo aspetto del problema.
    Anche perché è un po’ di tempo che ti arrivano critiche da altre aree del femminismo.
    Sei tu che vuoi ignorarle: questo è un intervento di oltre sei anni fa. Condivisibilissimo

    https://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2013/10/12/il-sessismo-e-il-moralismo-del-movimento-promadri/

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