Se c’è una cosa che i 15 minuti di celebrità del Signor Distruggere e le sue mamme pancine ci hanno insegnato, è che la mamma – oltre ad essere l’archetipo preferito del pubblicitario in vena di strapparvi una lacrimuccia (piango anche io, cosa credete, è inevitabile temo) – funziona benissimo anche come catalizzatore di odio.
Abbiamo discusso altrove del fatto che la retorica della maternità, che seduce tante donne convincendole a fregiarsene, non è altro che una subdola arma a doppio taglio che condanna le mamme in carne ed ossa al fallimento in quanto donne e in quanto madri, oltre a togliere a tutti gli altri la capacità di considerarle individui rendendole il bersaglio ideale di indebite generalizzazioni.
Ad esempio, quanti nel periodo del lockdown hanno sfogato la loro frustrazione sul primo runner a disposizione? Tante, forse troppe.
Tutti ricorderete il vicesindaco di Ferrara, che diffuse un video nel quale si riprendeva mentre inveiva contro un uomo che correva per le vie deserte della città scatenando una gogna sui social, al quale replicò con fermezza il Comitato Ferrarese Area Disabili facendo notare che non si può condannare qualcuno prima di avergli dato la possibilità di difendersi.
Concorderete tutti che basandosi solo su questo episodio non si può giungere alla conclusione che tutti i vicesindaci amino indulgere in simili comportamenti, ma quando si tratta di una mamma è esattamente ciò che accade: è sufficiente che un’aggressione simile provenga da una “chat delle mamme” perché tutte le chat delle mamme vengano descritte come covi di brutte persone, ovvero luoghi virtuali nei quali si riscontra una quantità di brutte persone (tutte mamme, ovviamente) maggiore che in qualunque altro luogo.
Che ci siano o non ci siano delle prove, dei dati concreti a supporto di una tesi del genere, è irrilevante: basta appellarsi alla propria autorevolezza.
Ci sono una infinita varietà di mamme, al mondo, e ciò che le accomuna tutte non è certo una precisa disposizione d’animo. Quello che invece si può dire, dati alla mano, è che tutte le mamme condividono un fardello: il lavoro domestico e di cura.
Tutti i giornali ne hanno parlato: nei mesi di sospensioni e lockdown, le donne con figli hanno lavorato più dei papà, facendosi carico di una mole maggiore di lavoro domestico rispetto al solito e occupando ben 4 ore al giorno nella didattica a distanza coi figli, motivo per il quale molte di loro (ben 1 su 3) mette in conto di trovarsi costretta a lasciare il lavoro retribuito in caso dovessimo affrontare una seconda ondata di coronavirus.
Che ci piaccia o meno, dobbiamo fare i conti con la realtà: in Italia la divisione sessuale del lavoro è ancora la struttura portante su cui poggia la società, motivo per cui se, ad esempio, si discute di scuola, chi se ne interessa in famiglia sono le donne.
I giornali, invece di cercare di coivolgere nella discussione anche i papà, rafforzano la tendenza omettendo religiosamente di nominarli o evitando di optare per termini più inclusivi, come ad esempio “i genitori”.
Parliamo un attimo di scuola, perché il momento è delicato e i nodi al pettine sono tanti: sono state prese le misure necessarie per garantire il distanziamento sociale nelle aule? Cosa accadrà nel caso uno studente, un insegnante o un qualunque altro membro del personale scolastico dovesse risultare positivo? E’ vero che, se uno studente dovesse sentirsi male a scuola, sarebbe tempestivamente prelevato da personale sanitario e posto in isolamento? (No, questa è una bufala che gira in questi giorni…)
Alle preoccupazioni connesse alla paura del virus, si aggiungono le preoccupazioni relative al benessere dei ragazzi: è un fatto che l’assenza prolungata dalle aule compromette l’apprendimento e lo sviluppo degli studenti, soprattutto quelli provenienti dalle famiglie più povere e in difficoltà, contribuendo ad aumentare disparità e ingiustizia sociale.
In un’intervista del mese scorso, la sociologa Chiara Saraceno ha puntato il dito contro il disinteresse collettivo versi quelli che chiama i diritti educativi di bambini e ragazzi; dispersione scolastica, contrasto alle disuguaglianze educative, questi sono temi importanti – ci ricorda – tanto quanto lo sono i posti di lavoro a rischio degli adulti, eppure non sembrano destare nella classe politica le medesime preoccupazioni.
Uno dei pochi aspetti positivi della pandemia è stata la scoperta, innanzitutto da parte dei genitori, dell’importanza della scuola come luogo di apprendimento ma anche di socialità, di formazione all’autonomia e di “spazio per sé” dei bambini e ragazzi – ha aggiunto in un’altra intervista – Io spero che questa attenzione rimanga al di là dell’emergenza e che genitori e ragazzi continuino a battersi, possibilmente insieme agli insegnanti, perché la scuola non venga più messa ai margini e si continuino a investire risorse, non solo finanziarie ma intellettuali e di creatività, perché essa realizzi la sua funzione di costruzione di pari opportunità per bambini e ragazzi.
In questo momento storico così difficile, Linkiesta sceglie di pubblicare un articolo dal titolo Le mamme dolenti del ceto medio riflessivo che non si rassegnano alla pandemia, una scelta a mio avviso imperdonabile: per quanto sia vecchia e consolidata l’abitudine di cogliere ogni occasione per mettere alla berlina “le madri”, il ritratto che l’autrice fa della “mamma del ceto medio” (qualunque cosa significhi, visto che c’è chi ritiene la categoria “ceto medio” quasi estinta, come i panda) non colpisce soltanto le donne, ma contribuisce anche a distogliere l’attenzione dall’impellente esigenza di mettere la scuola pubblica fra le priorità dello Stato.
Il genitore responsabile che si batte affinché la scuola non venga più messa ai margini e si continuino a investire risorse descritto da Saraceno, agli occhi di Guia Soncini è una mamma lamentosa e ipocrita, che si fa scudo di presunte necessità dei ragazzi allo scopo di mascherare il fatto che l’unica ad avere dei problemi è lei, perché i figli a casa tutto il giorno sono un inferno che neanche Sartre avrebbe potuto mettere in scena.
Forse vorrebbe risultare spiritosa, Soncini, e invece scrive un pezzo nel quale – con lo stesso spirito del vicesindaco di Ferrara che rincorreva il runner disabile – accusa la mamma italiana di ignorare colpevolmente i rischi connessi alla riapertura degli istituti scolastici (ovunque abbiano aperto, dalla Germania alla Georgia, sono ricominciati i contagi, com’è ovvio – scrive) perché è tanto indolente e pigra da non volere che i figli le stiano tutto il giorno fra le palle, riuscendo in un colpo solo a banalizzare così tante questioni – il tema della povertà educativa, delle diseguaglianze sociali, della discriminazione di genere, del coinvolgimento paterno – che leggendola sei quasi tentato di controllare che si tratti di un vero quotodiano.
Basta, tutto qui: il dibattito sulla riapertura delle scuole si riassume nell’inadeguatezza materna.
Io ho controllato: è proprio un quotidiano.
Ma d’altra parte Vincenzo Maisto (il Signor Distruggere) è pubblicato da Rizzoli.
Che tristezza.
Questi stereotipi sulle “mammine” mi rendono furente. Sto scrivendo un libro su un padre, ma il prossimo sarà su una donna che è anche madre. Sottolineo anche. C’è sempre questo discorso che se una è madre è madre e basta. Che sciocchezza.
“i 15 minuti di celebrità” il suo blog esiste dal 2011, le mamme pancine le pubblica dal 2017, siamo quasi al 2021 e la sua opinione finisce ancora sui giornali https://www.today.it/attualita/tg1-cira-ciro.html questo articolo è di oggi. Mi sa che li vuoi te i 15 minuti di celebrità, visto che hai questo blog da anni e a cacarti sono sempre i soliti 4 disagiati. Non credo che tu scriva per te stessa, ma per farti leggere e visto che questo proposito non si realizza, ma ad altri sì, rosichi.
“è pubblicato da Feltrinelli”, è pubblicato da Rizzoli, ebete. Ne avessi detta una, ma una giusta.
Hai perfettamente ragione. Capitano spessissimo dei disagiati da queste parti. E grazie: è proprio Rizzoli, ricordavo male.