The 100

Recentemente il giornale Avvenire ha denunciato l’ennesimo caso di minori sottratti forzosamente alla famiglia: un bambina di sette anni è stata allontanata dalla fattoria dove viveva con la madre e i nonni con un dispiegamento di forze degno di un boss della malavita organizzata; 32 persone fra carabinieri, assistenti sociali e guardie zoofile (caso mai a qualcuno fosse venuto in mente di suggerire agli animali che quattro gambe buono, due gambe cattivo!) per trascinare via una bimba scalza e in pigiama, “colpevole” di non riuscire ad affezionarsi ad un padre che l’aveva abbandonata alla nascita, rendendosi irreperibile per i primi quattro anni della sua vita (un comportamento lesivo del diritto del diritto della figlia al supporto emotivo ed economico di entrambi i genitori che di solito garantisce al genitore presente e coscenzioso l’affido esclusivo della prole allo scopo di garantire quella stabilità e sicurezza di cui ogni bambino abbisogna).

Gli allontanamenti coatti e le decisioni di magistrati apparentemente indifferenti a fenomeni come la violenza domestica e quella assistita (emblematico un caso denunciato da il Vibonese qualche mese fa, che racconta di violenze tanto evidenti nel corpo della madre da rendere la decisione di affidare una bambina di 2 anni all’uomo che le ha perpetrate tanto incomprensibile quanto ingiustificabile) hanno convinto la Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio ad avviare un’indagine sui temi dell’alienazione genitoriale e dell’affido dei minori.

Una decisione che si può commentare soltanto con l’avverbio “finalmente”.

All’indagine hanno deciso di contribuire anche 100 intellettuali, accademici e professionisti esperti in materia Psicoforense, che hanno reso pubblico il testo del memorandum inviato alla Commissione.

La lettera è corredata di firme eccellenti, fatto che rende il testo ancora più imbarazzante, e da sola suggerisce che alla radice di tante infauste decisioni – alcune delle quali hanno prodotto esiti terribili – c’è proprio l’impianto teorico che sottende il lavoro di questi professionisti esperti, i quali nulla sanno né vogliono sapere delle dinamiche della violenza di genere.

Il memorandum esordisce citando le proteste delle madri che si sentono danneggiate dalle consulenze tecniche d’ufficio (CTU) esperite durante il loro processo di separazione per l’affidamento dei figli, anche a causa di una diagnosi chiamata “Sindrome di Alienazione Genitoriale” (PAS) di cui si sarebbero rese responsabili per aver ostacolato l’incontro del figlio con l’altro genitore, madri che affermano che le loro vicissitudini siano dovute ad  un preconcetto anti-femminile da parte degli operatori forensi.

Un’idea che questo blog condivide appieno, e ha argomentato spesso e volentieri fornendo eloquenti esempi e ricerche empiriche che riportano evidenze del pregiudizio di genere che vizia i risultati nelle controversie legali in materia di affido/maltrattamenti. La ricerca condotta dalla professoressa Joan S. Meier, ad esempio, mettendo a confronto le risposte dei Tribunali alle accuse di un genitore verso l’altro, ha dimostrato che dipendono dal sesso dell’accusatore, ovvero che le denunce delle donne vengono prese meno sul serio di quelle mosse dagli uomini.

Per i 100, tuttavia, simili affermazioni sarebbero prive di fondamento, al punto che, se si dichiarano soddisfatti dell’istituzione di una Commissione, è solo perché una lavoro di indagine potrebbe tornare utile ad evidenziare “vere” problematiche: Diciamo subito che vediamo di buon auspicio la creazione di questo genere di Commissioni, come quella che potrebbe, per esempio, indagare sui molti errori giudiziari che vengono compiuti nelle aule di tribunale e che talvolta portano alla condanna e carcerazione di persone innocenti: l’Innocent Project negli Stati Uniti, operante dal 1992, ha portato alla scarcerazione, ad oggi, di 375 persone condannate, di cui alcune si trovavano nel braccio della morte (lo Stato italiano non prevede la pena di morte in nessun caso, ricordiamolo).

Andiamo a vedere quali sarebbero, secondo i 100, le prove dell’insussistenza delle proteste delle madri.

La prima è che nelle cause di separazione e di divorzio e che comunque comportano l’affidamento dei figli le donne sono di gran lunga preferite rispetto all’uomo. A dimostrazione di quanto affermato, il memorandum riporta una tabella dell’Istat, dalla quale deduciamo che si fa riferimento al maggior numero di affidi esclusivi concessi alle madri rispetto al numero di affidi esclusivi concessi ai padri.

Quello che si evince dalle tabelle dell’Istat, in realtà, è che la stragrande maggioranza dei bambini coinvolti in una separazione o un divorzio è in regime di affido condiviso (40.000 su 44.000 nel 2017, praticamente il 90%) , a dispetto del fatto che tutte le ricerche sulla condivisione del lavoro di cura ci dicano che, nelle famiglie italiane (quindi prima della separazione e del divorzio), il lavoro domestico e di cura sia quasi interamente sulle spalle delle donne, tra l’altro con palesi ripercussioni sui livelli occupazionali femminili; come abbiamo detto tante volte, se la legge 54/2006 si proponeva di garantire il diritto del minore di mantenere (cioè far durare e rimanere inalterato) un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, nella realtà dei fatti quel rapporto equilibrato spesso e volentieri non sussisteva prima della decisione di crearlo ex novo con un affido condiviso, il che a mio avviso dimostra inequivocabilmente la volontà di incoraggiare e favorire il coinvolgimento paterno, più che il perdurare della maternal preference (ne abbiamo discusso qui a proposito di una sentenza che dichiarava esplicitamente l’intento “educativo” nei confronti di quei padri che ignorano la “fatica quotidiana di gestire i figli”).

Incoraggiare un maggiore coinvolgimento paterno, in linea di principio, è cosa buona e giusta, ma lo è soltanto se non va a cozzare con il diritto all’incolumità e al benessere fisico e psicologico degli altri componenti della famiglia, che è proprio ciò le madri che protestano tentano di portare all’attenzione delle istituzioni.

Poco più di 2.600 mamme che ottengono l’affido esclusivo dei figli corrispondono più o meno al 6% del totale; una percentuale irrisoria, anche se indubbiamente maggiore dell’1% di affidi esclusivi ai padri, ma che comunque ci dice poco delle questioni di cui si discute alla Commissione femminicidio, ovvero il sessismo implicito nella teoria dell’alienazione genitoriale (denunciato sin dal suo ingresso nei Tribunali tramite i testi di Richard Gardner), e la scarsa credibilità di cui godono le accuse mosse dalle donne.

Non dimentichiamo, en passant, che l’Italia è il paese dove la metà delle vittime di femminicidio si era rivolta alle istituzioni in cerca di protezione prima di venire uccisa dall’uomo che aveva denunciato, e questo accade, ha sentenziato la Corte di Strasburgo, per via di quelle attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica.

La seconda ragione sarebbe che la maggior parte di chi giudica in questa materia è “donna”, come si può rilevare dalla composizione dei magistrati delle sezioni famiglia di Milano, Roma, Napoli e Palermo, a titolo esemplificativo, in cui le donne giudici rappresentano il 74% del totale, rispetto al 26% dei colleghi uomini.

Questo è un argomento che abbiamo dibattuto qui qualche tempo fa, giungendo a constatare, anche alla luce di alcuni casi che hanno fatto scalpore, che anche le donne sono maschiliste, visto che non sussiste alcuna correlazione fra il sesso di un individuo e gli stereotipi e i pregiudizi che inficiano le sue valutazioni. Pertanto, la presenza più o meno massiccia di giudici o consulenti di un certo sesso non ci racconta nulla su quelle che sono le loro idee e un apparato forense composto per lo più da donne che si suppone instauri, per un preconcetto antifemminile, una “violenza istituzionale” nei confronti di madri è tutt’altro che uno scenario inconcepibile.

Piuttosto è inconcepibile immaginare che qualcuno possa ritenere questa considerazione degna di essere messa nero su bianco.

Il memorandum passa poi a spiegare il criterio dell’accesso, affidandosi nientepopodimeno che a Khalil Gibran, il quale con il suddetto criterio c’entra come i proverbiali cavoli a merenda.

Il criterio dell’accesso, noto anche come friendly parent provision, è un concetto sulla base del quale si pretende di giudicare la competenza genitoriale in sede di separazione: il bravo genitore è un genitore “friendly” (letteralmente “amichevole”), ovvero un genitore che – dopo la separazione – è capace di cooperare con l’altro genitore e di agire in modo da incoraggiare e favorire i contatti del minore con lui. Solo un pericolo grave, concreto ed attuale per il figlio può limitare o escludere questo accesso all’altro genitore – spiegano i 100 – ed esso deve comunque essere vagliato da un terzo, ovvero dal magistrato.

L’applicazione pratica del criterio dell’accesso ha creato non pochi problemi alle vittime di violenza domestica o alle madri che denunciavano maltrattamenti o condotte pregiudizievoli dell’altro genitore, e la ragione è facilmente intuibile andandosi a leggere una sentenza recente che ha affrontato la questione del “pericolo grave, concreto e attuale” che rende giustificabile la decisione di un genitore di non mostrarsi “friendly” nei confronti dell’ex partner: di fronte ad una donna inferma a causa dei maltrattamenti subiti dal padre di suo figlio, siamo costretti a leggere di un giudice che l’ha ritenuta responsabile di condotta pregiudizievole verso il figlio a causa di sentimenti personali di rifiuto nei confronti dell’uomo, i cui maltrattamenti non vengono negati (sarebbe impossibile), bensi “ridimensionati”.

L’Italia è quel paese assurdo nel quale da una parte abbiamo una Leosini che pubblicamente stigmatizza il comportamento delle donne che non mollano il marito al primo schiaffone, dall’altra dei magistrati che condannano quelle donne che, dopo aver allontanato un uomo che è andato ben oltre il primo schiaffone, se lo vedono ripiombare nella loro vita in veste di affabile genitore perfettamente in grado di collaborare facendo in modo che non si ripetano i comportamenti violenti e prevaricanti, e questo perché quei magistrati si ostinano ad ignorare che una modalità di affido condiviso, quando il divorzio è stato causato da violenza domestica, non serve ad altro che a prolungare gli abusi.

Il criterio dell’accesso, così come viene enunciato, è che la perfetta espressione di una cultura che condona la violenza domestica a meno che non sia “abbastanza grave”, e se non è abbastanza grave che una donna sia costretta a vita a deambulare con una stampella, viene da sé che forse l’unica donna autorizzata a provare sentimenti personali di rifiuto verso il suo aguzzino sia la donna morta.

Il problema della percezione della violenza verso donne e bambini da parte di questi operatori della giustizia è serio, e si evince anche dalla discussione attorno al concetto stesso di violenza, quella diretta e quella assistita.

A proposito della violenza assistita, a dispetto del fatto che ormai sia accertato (come riporta, ad esempio, Save The Children) che un bambino che assiste a una violenza su una persona per lui fondamentale come la madre vive un trauma e avrà delle conseguenze uguali a quelle di un bambino che abbia subito direttamente maltrattamento e violenza, i 100 ci informano che invece, a loro avviso, affermare che la violenza indiretta sia equivalente a quella diretta non è solo un errore concettuale, ma è pericoloso.

E perché sarebbe pericoloso? Perché se diventasse di dominio pubblico che un padre che picchia la moglie davanti al figlio è passibile di essere condannato anche per il danno causato al figlio (un danno che è certo, riscontrato da una vasta letteratura), questo potrebbe convincere i mariti violenti a picchiare anche i figli. Come dire – ditemi se l’analogia vi sembra appropriata – che se condanno un uomo per violenza sessuale anche quando non c’è penetrazione (cosa che di fatto avviene), corro il pericolo di istigare i molestatori a perpetrare violenze più efferate.

Sarei interessata a conoscere gli studi sulla deterrenza che hanno generato questo tipo di considerazione.

Ma andiamo avanti, perché la parte più greve è questa: Quando si parla di violenza occorre denotarla correttamente per non usarla in modo connotativo, così altrimenti vi rientrano fenomeni che sono violenza solo nella percezione di uno dei soggetti. (…) Ricordiamo che le Brigate Rosse hanno ucciso o gambizzato dei dirigenti aziendali quale – a detta loro – “risposta” alla “violenza delle multinazionali”.

Insomma, per i 100 parlare di violenza indiretta equivale ad usare un linguaggio poetico: non è “vera” violenza, quanto piuttosto una metafora funzionale a comunicare uno stato d’animo soggettivo (e sono connotazioni tipiche dei terroristi, attenti!).

E questo nonostante sia acclarato il fatto che essere costretti a vivere in un clima di terrore danneggi concretamente la salute delle persone, a prescindere dal fatto che quelle persone subiscano in prima persona aggressioni fisiche o meno.

Arriviamo alla parte più esilarante del memorandum, quella in cui si cerca di dimostrare la fondatezza scientifica del costrutto dell’alienazione genitoriale mettendo a confronto il numero di citazioni dell’espressione “alienazione parentale” con il numero di citazioni della parola “chiromanzia” in una serie di database.

Vi dico solo che se scrivo “unicorn” nel database Pubmed ottengo 245 articoli, ovvero 16 volte quelli che hanno ottenuto i 100 scrivendo “chiromanzia”. Cosa dovrei dedurre da questi numeri?

Nella speranza che nessuno di voi decida a causa di questo articolo di imbarcarsi nella ricerca di unicorni, un’ultima precisazione: il memorandum parla dell’alienazione genitoriale in termini di “fenomeno”.

L’alienazione genitoriale non è un fenomeno, bensì una teoria, e fra le due cose c’è una differenza sostanziale.

Non è un fenomeno, non compare nel DSM 5 né tantomeno compariva nell’edizione precedente del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, e il fatto che io o chiunque altro abbia pubblicato una moltitudine di articoli che la citano non influisce in alcun modo sul sostegno empirico da dati di ricerca che una teoria necessita per essere presa in seria considerazione.

Il memorandum si conclude rimarcando che fra  i firmatari di codesto memorandum ci sono tante donne e persino delle madri, una precisazione che se non fornisce informazioni sulla rivittimizzazione subita nei tribunali civili che in tante stanno denunciando a mezzo stampa in questo periodo, ce ne fornisce di ulteriori sul grado di conoscenza che i 100 hanno degli studi di genere: nessuna conoscenza.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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