Il criterio dell’accesso e la misoginia

La valutazione delle capacità genitoriali si rivolge anche a determinare le modalità
dell’affidamento dei figli legittimi o naturali nei procedimenti separativi, all’interno di valutazioni
che dovrebbero rispettare sempre e comunque il diritto di contraddittorio nei modi e nelle forme
della CTU. Il legislatore del 2006 colloca in primo piano il diritto dei figli alla bigenitorialità (art.
155 co. 1 novellato). Il nuovo regime della separazione è perciò finalizzato a garantire i diritti
relazionali così riconosciuti, che per loro natura si configurano come biunivoci, tra ciascun genitore
in condizione di parità rispetto all’altro, ed il figlio minore. I criteri di valutazione sono così
riassumibili:

(…)

4) Criterio dell’accesso: gli indizi di cooperazione e di disponibilità o, viceversa, la difficoltà
sostanziale rispetto al diritto/dovere dell’altro a partecipare alla crescita e all’educazione dei figli
e al loro complementare bisogno di “accedere” all’altro genitore.

fonte

Su questo tema dei criteri di affidamento del figlio c’è una vastissima letteratura straniera e italiana, che contiene indicazioni molto specifiche.
Camerini (G.B. Camerini, “Aspetti legislativi e psichiatrico-forensi nei procedimenti riguardanti i minori”, in V. Volterra (a cura di), Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica (Trattato Italiano di Psichiatria, TIP), Masson, Milano, 2006) di recente ha proposto di utilizzare come criteri prioritari:
a) l’“accesso” all’altro genitore, individuando gli elementi di cooperazione e disponibilità, o viceversa, la difficoltà sostanziale rispetto al diritto/dovere dell’altro genitore a partecipare alla crescita e all’educazione dei figli;

fonte

fonte

In un lungo articolo di qualche tempo fa dal titolo “The “Friendly Parent” Concept— Another Gender Biased Legacy From Richard Gardner”,  Joan Zorza (la cui biografia vi consiglio caldamente di leggere, ovviamente insieme all’articolo che vi ho linkato) parla del concetto di “friendly parent“, un criterio del quale abbiamo discusso ampiamente anche in questo blog. 

Secondo Zorza, sebbene Gardner non abbia mai usato l’espressione “friendly parent”, l’idea che un genitore debba essere valutato in base alla sua capacità di “incoraggiare la relazione fra i propri figli e l’altro genitore” non è altro che una versione più mite di alienazione genitoriale. Se il genitore alienante è il genitore che ostacola la relazione fra i figli e l’altro genitore, il concetto di “genitore amichevole” stabilisce che per saggiare le competenze di un genitore è necessario verificare se quel genitore si preoccupa di garantire il legame fra i suoi figli e l’altro genitore.

Che si tratti del medesimo concetto espresso in modo diverso è, a mio avviso, lapalissiano. Tuttavia nessuno dei professionisti che parla di “vasta letteratura” a supporto del concetto di “friendly parent” cita come fonte primaria la screditata bibliografia di Richard Gardner.

Al di là delle considerazioni, seppur doverose, sull’attendibilità del lavoro di Richard Gardner e quindi sull’atendibilità di tutto il lavoro che a lui si ispira (per questo vi rimando a Zorza), c’è un altro aspetto da sottolineare a proposito del concetto di friendly parent: nessuno di coloro che enuncia il principio si preoccupa, quando lo fa, di citare l’eventualità che incoraggiare una relazione fra i propri figli e l’altro genitore possa non essere indice di una sana genitorialità. 

Se ogni comportamento può avere una valenza positiva o negativa a seconda del contesto, delle persone coinvolte, delle circostanze o del grado di intensità con cui lo si mette in atto (abbiamo tutti sentito parlare di “genitori iperaccudenti” ad esempio, un’espressione che descrive il prendersi cura dei propri figli con una valenza negativa), difficilmente sentiremo uno degli esperti che di solito si esprime sull’importanza di garantire l’accesso dell’altro genitore ai propri figli disquisire delle circostanze che rendono questa scelta foriera di esiti nefasti.

Più che altro sentiamo interventi come questo:

Difficilmente questi interventi educativi rivolti al grande pubblico si soffermano sulla possibilità che il desiderio di recidere il legame fra i propri figli e l’altro genitore assuma, in determinate circostanze, una valenza positiva.

I genitori vengono costantemente esortati a mostrarsi “friendly”, con l’altro genitore, al fine di favorire il legame fra i figli e l’altro genitore, con la minaccia che un comportamento diverso procura danni tremendi.

Questo fino a quando, poco tempo fa, chiamato a rispondere del suo operato in relazione all’orrenda morte del piccolo Daniele Paitoni il Gip del Tribunale di Varese si è difeso descrivendo il comportamento della madre della vittima come il comportamento sbagliato che ha condotto gli operatori di giustizia ad emettere un giudizio evidentemente errato:

È bene partire da un dato che può apparire paradossale rispetto l’esito mortale di padre e figlio insieme nella casa di Morazzone: è la madre che porta il figlio dal padre, alle 13 del 1 gennaio. Un gesto del tutto incompatibile con qualsiasi allarme che un precedente atteggiamento del padre avrebbe potuto destare nella donna.

Fingiamo per un attimo che le cose stiano come le racconta il Gip, ovvero che il comportamento “amichevole” della madre si “il dato da cui partire”, ovvero (immaginate una linea del tempo) un fatto a monte della decisione del Tribunale di garantire all’assassino quel diritto di visita che ha portato all’omicidio del piccolo Daniele. Sappiamo che, su quell’immaginaria linea del tempo, la madre che porta il figlio dal padre si colloca dopo la decisione del Tribunale, e che – come ha sottolineato D.i.Re, Donne in rete contro la violenza – è cinico e crudele sostenere che possa essere una causa di quella decisione, ma in questa discussione ci fa comodo la considerazione del Gip perché solleva una questione importante: non sempre mostrarsi amichevoli con l’altro genitore procura danni enormi ai propri figli, anzi, a volte l’ostilità è la scelta più giusta che un genitore che ha a cuore i propri figli possa fare.

Sento già qualcuno che borbotta: hai scoperto l’acqua calda, amica mia. Sappiamo benissimo che l’ostilità è cosa buona e giusta in talune circostanze. Non è forse “poco amichevole” quel genitore che, appellandosi all’alienazione genitoriale, richiede che i suoi figli vengano allontanati dalla madre alienante?

Per spiegare questo evidente paradosso insito nelle teorie che hanno avuto origine dal lavoro di Richard Gardner (PAS, friendly parent provision, ma anche la tanto decantata bigenitorialità, la cui difesa sfocia in provvedimenti di esclusione di uno dei genitori dalla vita dei figli), Joan Zorza propone una spiegazione: il gender bias, il pregiudizio di genere.

Soltanto l’incapacità di giudicare con il medesimo metro i comportamenti di una donna e i comportamenti di un uomo può spiegare la cecità di un magistrato che giudica “poco amichevole” una madre “apparentemente collaborativa” a fronte di un padre che aveva presentato oltre venti denunce contro di lei, come accadde nel celeberrimo caso di Cittadella, uno dei primi che abbiamo discusso qui.

Scrive Zorza:

Il concetto di “genitore amichevole” è applicato soltanto a ciò che fa il genitore collocatario [abbiamo sentito nel video qui sopra che “genitore collocatario” è un modo politicamente corretto per dire “madre”, e che si parla sempre della madre, in primis, quando l’argomento è l’ostilità] e l’unica sanzione prevista è la perdita della custodia. Per contro, il padre non collocatario non viene mai penalizzato per i suoi comportamenti poco amichevoli. (…) Violenza domestica, abuso di minori, e persino l’incesto non rientrano nel novero dei comportamenti “non amichevoli”, come non lo sono il mancato pagamento o il cronico ritardo nei pagamenti del mantenimento o delle spese mediche, neanche quando le conseguenze sono la povertà, la perdita della casa o altri servizi fondamentali, l’assenza di cure adeguate, il disagio psicologico e deprivazioni. I tribunali non considerano “poco amichevole” il non rispettare il calendario delle visite rendendo impossibile per la madre rispettare impegni importanti (che si tratti di esami da sostenere, prendere parte al matrimonio di un familiare, sottoporsi ad un intervento) o causandole spese impreviste (costringendola ad acquistare biglietti aerei all’ultimo minuto, pagare una babysitter o comprare cibo in più).

(…) I tribunali credono alle accuse mosse dagli uomini, anche quando non sono supportate da prove, mentre le accuse delle donne non sono prese in considerazione o debbono essere supportate da prove schiaccianti, quando non diventano esse stesse “comportamenti poco amichevoli” nei confronti dell’accusato.

Abbiamo letto, a proposito del caso Paitone, che nell’ordinanza del Gip che concedeva al padre di tenere il figlio con sé era scritto:

“Evidenzia il Pubblico Ministero che Davide Paitoni sarebbe sottoposto ad altri procedimenti per reati anche connotati da violenza (maltrattamenti e lesioni); si tratta di carichi pendenti che potrebbero risolversi favorevolmente per l’indagato e che, dunque, non consentono di trarre elementi di qualsivoglia certezza.” 

Non sono forse quste affermazioni che corroborano le teorie di Joan Zorza?

Crediamo alle buone intenzioni degli uomini perché sono uomini, per nessun altro motivo.

Ho pensato molto, ultimamente, a questa madre che voleva fare la cosa più giusta per il proprio figlio, mostrandosi ligia alle disposizioni del tribunale e “amichevole” verso quel partner violento che aveva saggiamente allontanato, e che affronta ora un dolore così immenso che solo ad immaginarlo – io, che sono una madre proprio come lei – mi sento esplodere il cuore nel petto. Penso alla frase “è la madre che porta il figlio dal padre, alle 13 del 1 gennaio”, e giungo alla conclusione che la frase descrive un’azione perfettamente compatibile con tutta la letteratura contemporanea sulla separazione e sul divorzio: straziante da leggere, per noi umili spettatori che, per contrastare l’autorevolezza di quella letteratura che è l’elemento paradossale dal quale il Gip di Varese dovrebbe partire per un’analisi di quanto è accaduto, non abbiamo armi.

Sono sinceramente convinta delle buone intenzioni di quelli che si aggrappano a concetti come il criterio dell’accesso, la cooperazione e la disponibilità, o che usano espressioni neutre come “genitore collocatario” nella convinzione che quanto professano non sia viziato dalla misoginia imperante. Ma la buona fede non basta a tollerare lo stato attuale delle cose, soprattutto di fronte all’ennesima morte di un bambino che poteva e doveva essere protetto.

Nel 2012 uno studio condotto  dal Dr. Daniel Saunders dell’Università del Michigan che si proponeva di indagare la formazione dei consulenti e altri professionisti dei tribunali americani in merito alla violenza domestica rivelò che buona parte degli operatori della giustizia non possedeva le competenze necessarie a garantire che fossero in grado di riconoscere la violenza domestica, compiere una valutazione del rischio, prevenire la violenza post-separazione e ridurre l’impatto della violenza domestica sui bambini. Il dottor Saunders scoprì che i consulenti privi della formazione necessaria tendevano a concentrarsi sul mito che le donne producono spesso false accuse, sulle teorie pseudo-scientifiche che parlano di alienazione e sul pregiudizio che le madri che cercano di proteggere i figli da padri spaventosi stanno danneggiando i bambini. E’ ora che una ricerca del genere riguardi i nostri tribunali, affinché emerga una volta per tutte che il problema che affligge il nostro sistema giudiziario non sono tanto delle leggi inadeguate o le lentezze procedurali, ma la misoginia degli individui che sono chiamati ad interpretare quelle leggi.

Se non ora, quando?

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
Questa voce è stata pubblicata in attualità, dicono della bigenitorialità, dicono della Pas, notizie, politica, riflessioni, scienza, società, tutti i volti della Pas e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

7 risposte a Il criterio dell’accesso e la misoginia

  1. Alearda Trentini ha detto:

    Caro Ricciocorno materia complessa e anche oer addetti ai lavori questa.
    Per fortuna mia figlia è ultra cinquantenne e mia nipote si avvia a grandi passi verso il 18 anno.
    Detto questo ho sempre pensato che questa legge sulla bigenitorialità sull’affitto condiviso fosse un grave errore.Dietro ci leggevo la mano pesante delle lobby e “manifesta” la misoginia di coloro che l’avrebbero applicata. Dispiace dirlo ma le madri non dovrebbero accettare di ricorrere alla nostra giustizia evitarla fare in modo di raggiungere accordi con il padre salvo reati penali.Sapendo che questa legge va cancellata e riscritta secondo le regole di buonsenso ricordando Istanbul e tutte le altre discriminazioni e disparità di cui il rapporto madre- padre è portatore.
    Gli uomini devono fare un passo indietro e se ” violenti” debbono sapere che cosa perdono.

  2. Giulia ha detto:

    “E’ ora che una ricerca del genere riguardi i nostri tribunali, affinché emerga una volta per tutte che il problema che affligge il nostro sistema giudiziario non sono tanto delle leggi inadeguate o le lentezze procedurali, ma la misoginia degli individui che sono chiamati ad interpretare quelle leggi.”
    Questo è il vero problema.
    Ritengo che il quadro legislativo italiano sia più che sufficiente, sono le interpretazioni che troppo spesso sono dettate da pregiudizi e stereotipi. Lo stesso costrutto dell’alienazione si basa su pregiudizi e stereotipi, una fiera di paradossi a cui, forse, cercare una logica non ha senso. Si dice da più parti che in Italia ci siano troppe leggi? Bene! Iniziamo a cancellare la 54/2006.

  3. Sandra ha detto:

    Intervento ineccepibile, come sempre.
    Permettimi un “ma”…
    “E’ ora che una ricerca del genere riguardi i nostri tribunali, affinché emerga una volta per tutte che il problema che affligge il nostro sistema giudiziario non sono tanto delle leggi inadeguate o le lentezze procedurali, ma la misoginia degli individui che sono chiamati ad interpretare quelle leggi.”
    Di getto sarei spinta a dire: “Certo, perchè solo questo risultato potrebbe dare una ricerca seria e genuina.”
    Ma qua sta il vero problema. Si tratterebbe di dimostrare l’ovvio e quando si sente il bisogno di dimostrare ciò che è evidente è segno che il vero problema è più a monte. La vera questione è: Siamo sicure che “la misoginia degli individui che sono chiamati ad interpretare quelle leggi” sia limitata ai soli tribunali? Siamo sicure che solo nei tribunali si disconosca il primato materno e femminile ribaltandolo nel suo esatto contrario?
    Ovviamente la domanda è retorica: sono millenni che il patriarcato ha sovvertito con la violenza l’ordine simbolico della Madre, per cui la risposta è chiaramente “no”: l’odio maschile contro noi donne e in particolare contro le madri non è limitato ai tribunali, per cui un occhio qualsiasi dall’esterno ne vedrebbe l’orrore al volo lo roconoscerebbe e lo svelerebbe condannandolo. No, la misoginia, l’odio contro il Materno è pervasivo e cancrenoso, specie in questo paese maschilista e femminicida. Ce lo dicono i numeri, del resto, che ci ricordano che in Italia una di noi viene uccisa per mano maschile ogni due giorni. Quindi di nuovo: no, non solo i tribunali, ma anche la politica, le istituzioni, i media, i luoghi della cultura sono intrisi di misoginia.
    E allora, potremmo forse fidarci che tale ricerca venga effettuata in modo scientifico e non ideologico, ovvero “affinché emerga una volta per tutte che il problema che affligge il nostro sistema giudiziario non sono tanto delle leggi inadeguate o le lentezze procedurali, ma la misoginia degli individui che sono chiamati ad interpretare quelle leggi”? Di più: anche qualora tale ricerca venga fatta come si deve, siamo sicure che la società, questa società, le darebbe il giusto peso e ne trarrebbe le dovute conseguenze?
    Di nuovo, una domanda retorica.
    Non vorrei essere fraintesa, si, è necessario produrre documenti e studi che svelino e facciano emergere l’odio contro il Materno, ma non aspettiamoci che basti questo. Il “se non ora quando” deve avere una portata più ampia.
    Come associazioni. attiviste ma soprattutto come donne, dobbiamo certamente pretendere una ricerca che denunci la misoginia nei tribunali, ma anche premere in modo costante affinchè nella società si faccia strada la convinzione chiara e definitiva dell’esigenza di una riforma radicale di tutto il sistema giudiziario in senso femminista. Ma per fare questo passo necessario per uscire dalla barbarie patriarcale, dobbiamo impegnarci una bonifica di ogni spazio pubblico, e uso le parole di un comunicato di qualche anno fa: “(…) darci nuove prospettive, intervenire sulla scena politica e culturale, nella consapevolezza che siamo noi donne il “soggetto imprevisto” della storia. Con la nostra competenza e esperienza, noi possiamo rigenerare e cambiare radicalmente l’intera struttura delle sfere di potere democratico.”

    • Non è un “ma”: soltanto stai spostando il discorso in un contesto più ampio.

      • Sandra ha detto:

        Vero, non mi sono espressa bene e me ne scuso. Non si tratta di un “ma”.
        Giustamente nell’immediato ci si deve muovere con spirito di realtà, cercando di ottenere i risultati che si possono concretamente realizzare avendo il polso sul presente, e la necessità di produrre letteratura scientifica che certifichi la necessità di bonificare i tribunali italiani dalla misoginia è qualcosa di fattibile e immediatamete spendibile a livello politico e istituzionale. Concordo inoltre con Giulia che i tempi siano maturi per piallare finalmente la 54/2006 una volta per tutte.
        Converrai però, e questo era il senso del mio spostare il discorso in un contesto più ampio (aspetto sul quale mi piacerebbe sentire anche cosa ne pensa Giulia), che portare la rivoluzione femminista a quel contesto più ampio, ossia, in definitiva, ogni spazio pubblico e “privato” ad oggi ancora controllato dal potere maschile, è una condizione imprescindibile per assicurare la stabilità futura dei risultati progressivi delle nostre lotte.

  4. Giulia ha detto:

    Sandra. Spostare in un contesto più ampio è una necessità. Come abbiamo visto, non basta delle buone leggi se chi le deve applicare utilizzano linguaggio e gli argomenti che trasmettano pregiudizi sul ruolo della donna, pregiudizi che esistono nella società italiana. Le autorità giudiziarie ripropongono stereotipi che sono dominanti nella società. Utilizzano le stesse parole colpevoli e moralizzanti che sono nella società e che fanno parte della cultura dello stupro. Gli operatori della giustizia, non hanno le competenze per valutare i rischi o prevenire la violenza, perché non sono formati a riconoscerla e perché la società non la riconosce. Io rimango convinta, che costrutti illogici come l’alienazione parentale o pas come la vogliamo chiamare, ha avuto presa nei tribunali, tra tecnici, servizi sociali, perché certi pregiudizi sulle donne sono ancora molto forti, nella società. Se era al contrario non avrebbe avuto nessuna possibilità, scartata subito come un’assurdità.
    Una donna che subisce violenza, sono tutti disposti a non crederle, anche se si presenta con il volto tumefatto e due costole fratturate. Ma tutti sono disposti a credere se si punta il dito su una madre dicendo che è alienante, adesiva, protettiva, non collaborativa, collaborativa, conflittuale e non conflittuale. Come abbiamo visto nelle meschine giustificazioni del Gip di Varese. Che tra l’altro sta incitando le madri a non rispettare le ordinanze dei tribunale.
    L’idea che la violenza di un uomo su moglie e figli non fosse un modo di agire legittimo, né scusabile, ha cominciato a farsi strada solo di recente e la sua inclusione come reato nei codici è stata una conquista recente. Il matrimonio e la convivenza con un uomo è per donne e bambini un posto assai pericoloso.

    Sulla legge 54/2006 io non la vorrei “piallare”, ma abolire completamente.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...