Un altro uomo

Una traduzione da Fifteen years after Columbine, are we still asking the wrong questions?

JK

Per celebrare l’anniversario della tragedia di Columbine, il  direttore di produzione Jeremy Earp della Media Education Foundation (MEF) ha intervistato l’esperto ed educatore Jackson Katz in merito all’aumento di uccisioni di massa perpetrati da uomini e ragazzi negli ultimi dieci anni.

Katz, il cui lavoro si è concentrato in modo particolare sul rapporto tra violenza e cultura della virilità, nel paese è un leader del movimento che si propone di prevenire la violenza focalizzando l’attenzione sullo spettatore della stessa, e insieme ai suoi colleghi ha lavorato con il sistema scolastico della Columbine dopo la sparatoria. Katz è anche il creatore dell’acclamato nuovo documentario  Tough Guise: Violence, Manhood & American CultureTough Guise esamina l’epidemia di violenza maschile in America – dalle sparatorie nelle scuole al bullismo e alla violenza sessuale epidemia cui fa da sfondo una cultura che normalizza e rende glamour una mascolinità violenta.

JEREMY EARP : Nel tuo lavoro di prevenzione della violenza si sostiene che dobbiamo smettere di sorvolare sul fatto che sono uomini e ragazzi quelli che commettono la stragrande maggioranza degli omicidi più efferati. Puoi dirci di più?

JACKSON KATZ : La conversazione che si svolge nei media sulle cause delle sparatorie nelle scuole e degli omicidi di massa tende a concentrarsi su due questioni principali: la disponibilità delle armi e la malattia mentale. Ciò che viene lasciato fuori è il fattore più importante: il sesso degli autori. E ‘come se nessuno volesse parlare di un gorilla di 800 chili nella stanza – il fatto sorprendente che il 99 % delle sparatorie nelle scuole, e almeno 67 delle ultime 68 aggressioni di massa a mano armata, sono state commesse da uomini e ragazzi. Invece c’è questo infinito discorso asessuato intorno a psicopatici, tiratori, killer, sospetti, responsabili e ragazzi problematici. Il risultato è che non ci poniamo mai la domanda fondamentale: come è possibile che quasi sempre sono gli uomini e i ragazzi gli autori più comuni di questo tipo di violenza.

JE : Che si tratti della Columbine, del bombardamento alla Maratona di Boston, o, più recentemente, della sparatoria a Fort Hood o della strage in Pennsylvania, perché pensi che i giornalisti mainstream e gli esperti sembrino essere così restii a soffermarsi sul sesso degli autori?

JK : In parte, penso che un fattore determinante sia l’invisibilità del privilegio, il suo ruolo nell’occultamento linguistico. Dal momento che gli uomini sono il sesso dominante, il loro dominio è spesso nascosto dietro gli universali: è tutta una questione di soggetti disturbati o “persone” arrabbiate che commettono atti di indicibile violenza. Un modo utile per capire come funziona questo meccanismo di occultamento è immaginare cosa accadrebbe se fossero ragazze o donne le colpevoli del 99 % di queste sparatorie. Se così fosse, qualcuno pensa seriamente che staremmo a parlare di fucili e malattie mentali nell’interrgarci sulle cause? Qualcuno crede seriamente saremmo ancora a parlare di “frenesia generale”? Non credo proprio.

E ‘ ovvio che ci tutti parlerebbero di cosa sta succedendo alle ragazze, in quanto persone di sesso femminile. Ma quando si tratta di ragazzi, il riferimento al genere rimane nascosto e si parla di tutti questi altri aspetti che sono ugualmente importanti – ma a mio avviso secondari. E il risultato è che non esaminiamo gli stereotipi culturali, la narrazione della virilità e il ruolo che hanno in queste stragi efferate e in altre manifestazioni di violenza.

JE : Cosa potrebbe rivelarci una analisi di questi eventi basata sul genere e sulle idee culturali dominanti, soprattutto sulla mascolinità?

JK : Beh, per prima cosa, ci porterebbe a prestare maggiore attenzione al fatto che le sparatorie nelle scuole sono quasi sempre uccisioni per vendetta, messe in atto da ragazzi che sono stati vittime di bullismo, socialmente emarginati, ostracizzati. Sappiamo dai giornali che questo era il caso di Klebold e Harris, i ragazzi della Columbine, che hanno visto l’omicidio di massa come un modo per riconquistare il rispetto dei pari in un contesto sociale che li aveva etichettati come deboli. La violenza era un modo per rivendicare la loro virilità. Lo hanno detto esplicitamente. Dobbiamo cercare di riflettere su cosa significa questo, dato che un tema potente e pervasivo nella nostra cultura, così come in altre culture, è che la violenza non è solo un mezzo legittimo – ma un mezzo glamour – per dimostrare o reclamare la propria virilità e mascolinità. Dobbiamo guardare a come questo fatto modella il comportamento nel mondo reale.

Pensateci. Se sei un uomo e usi la violenza per reagire ad una situazione, magari non risolvi il problema, ma nessuno penserà che sei “meno uomo” per il fatto di esserti servito della violenza – anche se hai fatto un uso della forza palesemente sproporzionato alla situazione. Ma se qualcuno ti minaccia e rispondi ritirandoti e rifiutandoti di usare la violenza, rischi di uscirne umiliato e “demascolinizzato”. Rischi di essere visto come “meno uomo” agli occhi dei tuoi coetanei, e, forse, anche agli occhi delle donne intorno a te, perché tutti siamo invischiati in questo discorso su cosa è “un vero uomo”, che cosa è la forza, ecc. Non c’è nulla di analogo nella narrazione e nelle mitologie sulla femminilità. E questo è uno dei motivi per così poche ragazze che sono vittime di bullismo fanno ricorso alla violenza. Le donne vittime tendono a interiorizzare l’abuso, a colpevolizzarsi per l’abuso subito e a fare del male a se stesse, mettendosi in situazioni di sempre maggiore vulnerabilità. I ragazzi tendono a esternare, a prendersela con gli altri. A meno che non si voglia sostenere che questo processo è strettamente connesso o addirittura geneticamente legato al sesso biologico, è chiaro che gli stereotipi di genere hanno un ruolo in questi processi, che possono essere modificati.

JE : Per quanto riguarda chi sostiene che uomini e ragazzi hanno una maggiore propensione biologica alla violenza?

JK : E ‘vero che la tendenza ad essere violenti è innata, nella nostra specie. In questo senso, è biologica. Ma indovinate un po’? Anche la non-violenza lo è. La questione non è se la biologia ha un ruolo. La questione è: come riorganizzare le nostre società e gli stereotipi di genere che determinano il comportamento in modo tale da ridurre l’enfasi e scoraggiare la violenza invece di renderla affascinante e di incoraggiarla. E ‘ anche importante ricordare che tutti i ragazzi e tutti gli uomini condividono lo stesso DNA, ma solo una percentuale relativamente piccola di ragazzi e uomini commettono atti di violenza. Se nella biologia fosse scritto il nostro destino, non sarebbero molti di più gli uomini violenti?

JE : Come si colloca la malattia mentale in questo discorso?

JK : Il fatto che quelli che compioni stragi soffrano di disturbi della personalità o malattie mentali, non può impedirci di soffermarci sul loro genere. Per capire perché no, basta porre una domanda fondamentale: se la malattia mentale è la causa principale delle sparatorie nelle scuole, perché il 50% di queste stragi non sono perpetrate da ragazze o giovani donne? Le ragazze e le donne non soffrono forse di malattia mentale in proporzioni più o meno simili ai ragazzi? Se sì, perché del 99 % di queste sparatorie sono colpevoli i ragazzi? Il fatto è che anche i ragazzi con disturbi di personalità o affetti da malattie mentali sono influenzati da potenti stereotipi di genere e dalla stessa cultura che influenza tutti. E’ sempre sorprendente per me quando la gente dice : “Oh , lui è malato di mente “, come se non si rendessero necessarie ulteriori spiegazioni sul perché è andato su tutte le furie. Una delle cose più insidiose che si fa è suggerisce che tutte le persone con malattie mentali sono violente, quando la stragrande maggioranza dei malati di mente non è violenta affatto.

JE : Stai parlando di come una certa idea della virilità ha la capacità di plasmare il comportamento violento. Perché è diverso dal dire che la cultura – che si tratti di film violenti o videogiochi violenti – causa la violenza ?

JK : Il dibattito attuale sugli effetti dei media e il rapporto tra media e violenza è i superficiale e semplicistico in modo imbarazzante. Non si tratta di discutere se i bambini sono in gradi di distinguere tra fantasia e realtà, o se sono in qualche modo tanto impressionabili che una volta usciti di casa imiteranno le violenze viste nei film o nei videogiochi o ascoltate nei testi delle canzoni. Quello che io sostengo nei miei scritti e nei miei video è che il genere, e di conseguenza le nostre idee sulla mascolinità e su che cosa significa essere un uomo, sono concetti socialmente costruiti e vengono appresi, e se i media rinforzano queste idee normative, ed hanno una forza pervasiva maggiore di qualsiasi altro stumento culturale, è necessario interrogarsi sul modo in cui contribuiscono al proliferare di questi stereotipi sulla virilità. Ragazzi e uomini non imitano pedissequamente i media così come non assorbono come spugne lezioni su ciò che gli uomini sono tenuti a fare e come si suppone che un uomo debba reagire alle diverse situazioni. Per questo nel lavoro che io e i miei colleghi facciamo, ci concentriamo sul tentativo di convincere la gente – ragazzi e uomini soprattutto – a porsi criticamente nei confronti dei messaggi diffusi dalla cultura dominante, e a cercare di cambiarli.

JE : Che tipo di domande specifiche pensi che dovremmo porci in merito a questi imperativi culturali?

JK : Per prima cosa, mi piacerebbe vedere la gente parlare di ciò che significa per gli uomini “essere forti”, al di là delle definizioni ovvie e grezze che identificano “la forza” con la forza fisica e la volontà di fare danni per mezzo della violenza. Mi piacerebbe vedere discussioni sulla necessità di migliorare l’alfabetizzazione emotiva degli uomini, perché tanti uomini che soffrono a causa di sentimenti come tristezza, perplessità, insicurezza, dolore e lutto, spesso erroneamente identificano quei sentimenti con la rabbia, e poi rispondono a questa rabbia aggredendo gli altri. Mi piacerebbe vedere una discussione più ampia sulla paura della violenza, che è un fattore importante nella psiche di tanti ragazzi e tanti uomini – in particolare su come questa paura innesca un senso di vulnerabilità, che a sua volta produce un disperato bisogno di difendersi contro questo vulnerabilità, dato che viviamo in una cultura che identifica la vulnerabilità maschile con la debolezza. E’ abbastanza chiaro che la paura, in ogni suo aspetto, è uno dei fattori chiave nel lavoro sulla cultura americana della pistola – soprattutto la paura che gli uomini hanno degli altri uomini, e la loro paura della propria vulnerabilità. Questa paura a volte ha un sottotesto razziale, come abbiamo visto nei movimenti law-and-order che sorsero nel 1960 (in parte dovuti ai timori dei bianchi nei confronti della criminalità dei neri), e come vediamo oggi con le cosiddette “Stand Your Ground law“.

JE : A proposito di armi, cosa ne pensi del modo in cui il dibattito intorno ad un maggiore controllo sulla loro diffusione ha influito sul modo in cui media e politica affrontano la narrazione delle stragi?

JK : Per me, il dibattito in corso sulle armi in questa società è davvero propedeutico alla presa di coscienza necessaria a creare diversa prospettiva sulla mascolinità americana. Le armi sono strumenti di violenza che possono essere utilizzati sia per difendersi che per imporre la propria volontà – e questo li rende strumenti per l’attuazione un certo tipo di virilità. Ora, io capisco perfettamente, e concordo anche, con il desiderio di proteggere se stessi e la propria famiglia in un mondo pericoloso. Ciò che non condivido della visione dei sostenitori del libero possesso di armi è che io non permetto alla paura di guidare le mie azioni, o di compromettere la mia capacità di pensare razionalmente ai rischi connessi.

Il concetto di mean world syndromedel leggendario ricercatore George Gerbner  è molto utile a chiarire la questione. Ciò che la ricerca di Gerbner ha scoperto è che in una cultura mediatica piena di violenza – perpetrata in modo schiacciante da uomini violenti – molti uomini si percepiscono come accerchiati da un gonfiato e irrealistico senso di minaccia, tanto che sentono il bisogno di armarsi per difendersi. Naturalmente, questa è la stessa logica che ha guidato la corsa agli armamenti nucleari durante la Guerra Fredda, e a tutt’oggi sostiene le ideologie militariste. Il problema è quando ciò che è progettato per difenderci finisce per diventare la più grande fonte di pericolo – tutto perché abbiamo capitolato di fronte alla paura e per alleviare questa paura abbiamo fatto appello a vuoti miti sulla forza.

JE : All’inizio di questo mese, appena una settimana dopo l’ennesima sparatoria di massa mortale presso la base militare di Fort Hood in Texas, c’è stato un accoltellamento di massa in una scuola della Pennsylvania, che ha attirato di nuovo l’attenzione dei media su questo genere di efferate stragi. La reazione dei sostenitori del libero possessso di armi è stata chiedere perché chi chiede un maggiore controllo non ha chiesto a gran voce di mettere fuori legge anche i coltelli. Per loro, il caso della Pennsylvania supporta la loro teoria che non c’è legame fra la libera circolazione delle armi da fuoco e queste stragi. Qual è la tua risposta?

JK : Quando ho sentito parlare del caso, la mia prima reazione, dopo l’orrore, è stata grazie a Dio questo ragazzo non aveva una pistola. La carneficina sarebbe stata di gran lunga peggiore. L’idea che, pistole o non pistole, gli “individui ” violenti troveranno sempre il modo per commettere violenza è delirante. E’ ovvio che pistole e armi – in particolare quelle semi-automatiche – sono un elemento cruciale dell’equazione quando parliamo di decine di persone morte o ferite nel giro di pochi secondi, in molti di questi casi. Ma quello che dico io è che dobbiamo tenere conto del modo in cui si parla di armi, di come la cultura del possesso di un arma influisce sull’identità dei ragazzi in quanto uomini. Non si tratta solo di armi, è come l’arma diventa parte integrante del processo mediante il quale uomini e ragazzi cercano di stabilire e dimostrare che sono veri uomini, soprattutto quando sono spaventati e la loro virilità è sotto attacco.

JE : La logica che stai descrivendo qui è applicabile all’epidemia di violenza quotidiana, quella della quale si registra a malapena la notizia?

JK : Le uccisioni di massa ottengono più attenzione e hanno caratteristiche specifiche che vale la pena esplorare. Ma gli omicidi, le aggressioni e gli stupri di ogni giorno hanno origine nello stesso sistema sociale e ideologico. Che si tratti di un 14enne afro-americano che uccide un innocente su un autobus a causa di quello che potrebbe essere stato uno scontro tra bande rivali, oppure di un maschio bianco, poliziotto in pensione, che spara ad un uomo dopo una lite al cinema perché questo gli aveva gettato addosso dei popcorn, lo stereotipo della virilità svolge sempre un ruolo importante, in innumerevoli omicidi e altri episodi di violenza che avvengono in questa società. Ci sono sempre uomini e ragazzi che si infuriano quando sentono che si manca loro di rispetto in quanto uomini. Questo tipo di violenza è trasversale rispetto alla razza e alla classe, ed ha in comune con le stragi il fatto che il crimine violento è commesso da uomini in percentuale sproporzionata rispetto alle donne. Eppure il discorso dei media sulla violenza quotidiana è altrettanto asessuato – e quindi altrettanto superficiale – come tutti i discorsi intorno alle stragi.

JE : Questo ci riporta alla Columbine. Come sai, l’anniversario della Columbine è anche l’anniversario dell’attentato di Oklahoma City. E non è casuale: noi sappiamo che avevano deliberatamente pianificato l’attacco perché si verificasse per l’anniversario di Oklahoma City. Qual è il legame, se c’è, tra questi due apparentemente molto diversi casi di omicidio di massa?

JK : Se le lamentele sono personali, come nel caso della Columbine, o politiche, come nel bombardamento di Oklahoma City, il modello è il medesimo: uomini e ragazzi che compiono un omicidio di massa per fare qualche tipo di dichiarazione ed imporre la loro volontà al mondo. Una cosa che Harris e Klebold avevano in comune con Timothy McVeigh è che avevano deciso di trovare una soluzione alla loro situazione per mezzo della violenza. Questa è una vecchia storia, ed è una storia fortemente collegata al genere. Che si tratti di regolamenti di conti personali, in un contesto scolastico vissuto come oppressivo a causa del bullismo, o di resistere ad un governo che si ritiene oppressivo, l’idea di base è che la violenza è il modo di sistemare le cose, un mezzo attraverso il quale vivere una sorta di redenzione, un processo per affermare una mascolinità eroica. Harris, Klebold e McVeigh erano ben consapevoli del copione che stavano scrivendo per se stessi, un copione che li ha posti al centro della scena a compiere un atto virile di volontà e determinazione. Quello che dobbiamo ricordare è che non c’è niente di naturale o inevitabile in questo copione. E ‘stato normalizzato, sì, ma non c’è alcuna relazione necessaria tra l’essere uomo e l’uso della violenza.

JE : Nel frattempo, appena un giorno dopo l’anniversario della Columbine, è avvenuto un altro brutale omicidio di massa brutale, quello della maratona di Boston. Ancora una volta , con le bombe alla maratona di Boston, ci troviamo di fronte ad una strage perpetrata da giovani problematici che protestavano – e tuttavia i problemi di cui stai parlando sembrano essere stati completamente ignorati nella discussione pubblica di questo caso.

JK : Più leggevo su questo caso, più chiaro per me è diventava che il genere era assolutamente cruciale nelle motivazioni dei fratelli Tsarnaev. Quando si legge di Tamerlan Tsarnaev, il fratello maggiore che ha architettato l’attentato, si inizia a capire che l’ideologia religiosa non era l’unica e neanche la principale ragione che lo ha spinto a commettere questo attacco disgustoso. Sembra molto più probabile che abbia trovato nella militanza islamica la spiegazione razionale al suo personale bisogno di reclamare la sua virilità, che attraverso la religione abbia razionalizzato i suoi sentimenti di fallimento e di emarginazione. In questo senso, il bombardamento alla maratona ha molto in comune con le sparatorie nelle scuole e altri atti di uccisione di massa di giovani uomini che hanno deliberatamente escogitato contorte missioni per riscattare la loro mascolinità e ottenere rispetto instillando la paura negli altri .

Vorrei aggiungere che, in quanto originario di Boston, sono stato molto orgoglioso della risposta a questo brutale atto di bullismo, a questo omicidio di massa – non solo la risposta di uomini e donne di legge che hanno  catturato i colpevoli – ma anche quella di uomini e donne comuni che hanno reagito con atti di cura, compassione e amore. “Boston Strong” non si riferisce solo alla forza fisica; sottolinea anche la capacità di recupero emotivo, il coraggio e la forza morale che così tante persone hanno dimostrato all’indomani del bombardamento. E penso che sia molto importante perché viviamo in una cultura che tende a identificare la forza – la forza soprattutto maschile – con la violenza.

JE : Per concludere, che cosa ti dice il fatto che 15 anni dopo Columbine il fenomeno di uomini e ragazzi che commettono omicidi di massa non solo non si è interrotto, ma sembra addirittura crescere, nonostante tutte le analisi di esperti competenti nel corso degli anni, a seguito della Newtown e altre sparatorie? E come può il tipo di analisi culturale che stai offrendo qui condurre a strategie di prevenzione concrete nel mondo reale in grado di fare davvero la differenza?

JK : Mi rendo conto che Columbine ha portato ad una maggiore consapevolezza delle problematiche di sicurezza nella scuola, e penso anche che sia molto importante che ci sia stata una riflessione attenta sul bullismo e sulla pressione esercitata dallo stress eccessivo cui la nostra società sottopone molte persone. Ma il problema è che si è parlato poco, o forse non se ne è parlato affatto, di quanto una certa cultura della virilità influisca su questi efferati omicidi e altre forme di violenza. Questo deve cambiare. Io non sono così ottimista, o così ingenuo, da credere che un dialogo onesto sulla virilità risolverà questo problema. Ma sono convinto che almeno offrirà alla gente un linguaggio diverso per capire cosa succede in questi casi ad un livello più profondo, più significativo.

L’idea di fondo è che non si può affrontare un problema finché non gli si dà un nome. E se non cominciamo a focalizzarci in modo esplicito su come le nostre idee sulla virilità sono implicate nella violenza commessa dagli uomini, continueremo a barcollare da una tragedia all’altra, con una scarsa conoscenza di ciò che sta realmente accadendo e poche possibilità di modificare  questo modello distruttivo.

 

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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22 risposte a Un altro uomo

  1. IDA ha detto:

    Condivido in pieno questa analisi.

  2. Cinzia ha detto:

    Qui c’è tanta roba, speriamo ci sia anche la voglia di affrontarla.

  3. Paolo ha detto:

    Steven Pinker ha scritto un libro dal titolo “Il declino della violenza” che dimostra come la nostra epoca sia infinitamente meno violenta di quelle che l’hanno preceduta, la violenza ci sembra di più perchè se ne parla di più..comunque violenza e aggressività (che non è di per sè negativa e in determinate situazioni ad esempio per difesa da un’aggressione o da un tentativo di aggressione, neanche la violenza lo è) sono parte di noi (intendo la razza umana) chi più chi meno, si tratta di incanalarle, di dosarle, non di esorcizzarle (e ci andrei piano a dar la colpa ai media e sopratutto ai film, che poi non sono media sono arte, i quali raccontano l’umano e la società: la violenza purtroppo esiste, fa parte dell’umano ed è legittimo raccontarla artisticamente)

    • Paolo ha detto:

      “la violenza ci sembra di più perchè se ne parla di più.”

      ed è bene che se ne parli

    • Paolo ha detto:

      e personalmente non demonizzerei neanche il concetto di “vendetta”: in taluni contesti (che non sono quelli delle stragi nei licei, ovviamente) io tendo a comprenderla umanamente,o almeno tendo a capire come possa sorgere il desiderio di vendetta (ad esempio quando ti uccidono un figlio o una persona cara) trovo che sia un desiderio umano per quanto ammiri anche chi riesce a superarlo.

      • Cinzia ha detto:

        e a quale bisogno umano darebbe risposta la “vendetta”?

      • Paolo ha detto:

        cinzia io ho solo detto che se ti ammazzano un figlio è comprensibile volere vendetta, è una dinamica che avviene, non dico che devi volerla per forza

      • Cinzia ha detto:

        Perché volere vendetta e non giustizia?

      • Paolo Scatolini ha detto:

        a volte (e sottolineo: solo a volte) la vendetta può fare da tramite alla giustizia

      • Oddio, Paolo, ma in che senso? E’ proprio di questo che parla l’articolo sai? Del fatto di presupporre che la violenza possa essere “la soluzione”, nel momento in cui si subisce un sopruso o una ingiustizia. “La violenza genera violenza; l’odio genera odio e l’intransigenza genera altra intransigenza. E’ una spirale discendente, e alla fine non vi è che distruzione, per tutti”, diceva Martin Luther King…

      • Paolo Scatolini ha detto:

        Riccio, non sto dicendo che se uno ti passa avanti in una fila lo devi ammazzare di botte, pensavo che fosse chiaro..parlo di cose gravi: violenze, massacri, stragi ad esempio quando gli americani hanno di fatto giustiziato senza processo Osama Bin Laden hanno compiuto un atto di vendetta (o “giustizia retributiva”) per l’11 settembre e secondo me hanno fatto bene
        Pensavo già di aver chiarito che non credo nella nonviolenza assoluta nè nel pacifismo integrale anche se rispetto chi ci crede

      • Cinzia ha detto:

        Non mi risulta … la giustizia è nata proprio per fermare vendette e faide infinite.

    • Paolo ha detto:

      e la mascolinità (come la femminilità) può essere vissuta in più modi, diversi, più o meno diffusi ma tutti legittimi

  4. Pingback: Radici 2 – E le ragazze? | Nuvolette di pensieri

  5. Zorin ha detto:

    Se la violenza è una qualità associata alla virilità questo è colpa della donna. Visto che non viviamo in un’epoca di matrimoni combinati, è la donna che sceglie i partners e discrimina tra uomini virili, nel senso di uomini che attraggono le donne, e gli sfigati.
    Anche il più sprovveduto dei maschi sa, per amara esperienza di vita vissuta, che gli uomini poco virili sono schifati dalle donne, anche dalle donne femministe. Invece un uomo violento, non importa quanto violento, non si trova mai senza donne, tanto che rifiuti dell’umanità come assassini seriali, stupratori brutali, ecc. ricevono regolarmente lettere di incoraggiamento e finanche offerte di matrimonio da fans femmine.

    Queste tendenze, che sono presenti durante tutta la vita della femmina, sono però più accentuate e esasperate soprattutto negli anni delle scuole superiori e dell’università. Lì davvero vale la regola: più sei un pezzo di m—a violento e prevaricatore, più le femmine ti corrono dietro. E di converso, più sei un uomo mite e mansueto, più le femmine ti eviteranno come se avessi la lebbra.

    In un contesto sociale che le femmine rendono così discriminante e malato, si inserisce poi la pazzia tutta americana di fornire un facile accesso alle armi, da cui inevitabilmente scaturiscono tragedie su tragedie. Ma su questo punto c’è poco da dire: gli americani sono semplicemente bacati nel cervello per ritenere una cosa razionale dare un accesso così facile alle armi da fuoco.

    • Se un uomo commette violenza è colpa della donna. Se la donna commette violenza è colpa della donna. Se un figlio commette violenza è colpa della donna. E’ veramente patetico questo modo di ragionare, e non ve ne rendete neanche conto.
      Le donne sarebbero biologicamente tanto masochiste dall’aver creato un sistema sociale che le costringe a subire la violenza maschile, secondo voi.
      Quale sarebbe il vantaggio che ne traggono, è un mistero.

      • Cinzia ha detto:

        Seee gli piace raccontarsela.
        Sai quanti ne vedo seduti al bancone del pub con la quinta birra davanti, sera dopo sera: A me che abbiano tutte ste donne non risulta, anzi si sono talmente sputtanati che a volte manco le mamme se li tengono più 😉
        D’altronde raccontarsi che le donne sono tutte sceme masochiste può essere molto consolatorio, che sia vero è un’altra storia.
        Altrimenti perché sarebbero così arrabbiati e pieni d’odio. Eheheheheheheh

    • IDA ha detto:

      @Zorin. Interessante la tua tesi, peccato che sia priva di ogni fondamento scientifico e culturale. In pratica c’è molta fantasia e odio verso le donne..In una società strutturata in maniera gerarchica e competitiva, come la nostra, ma soprattutto, come quella americana, anche perché è più giovane. Per avere successo devi essere più competitivo, agonistico, combattivo, non avere peli sullo stomaco, autoritario e violento…. E queste sono caratteristiche della virilità e non della femminilità, che sono ben altre. Se sei vincente sei maschio, se sei perdente sei femmina. Positivo/Negativo. Esempio classico stereotipo della donna in carriera e che ha successo; è “una donna con le palle”. I testicoli non sono femminili.
      Se noti bene, l’uomo autoritario e competitivo, non è circondato solo da donne, ma anche da molti maschi, ha molti estimatori e conoscenze, maschili.
      Pensa un po’ quanto è vecchia questa antica abitudine di scaricare tutte le responsabilità sulle donne, basta pensare ad Eva e all’antico testamento.. quindi niente di nuovo..

      • Paolo ha detto:

        è possibile essere combattive, vincenti e femminili, in realtà come dico sempre, femminile e maschile si possono vivere in più modi. diffusi o meno ma tutti legittimi, sopratutto oggi

      • IDA ha detto:

        Paolo! si stà parlando di stereotipi e archetipi, come forme primarie preesistenti.. non rappresenta le persone, ma l’idea; il maschio in un modo la femmina in un altro ecc.. Poi lo so, ogni individuo è unico e irripetibile, e può fare quello che vuole, ma con quei stereotipi, ci farà sempre i conti.. ora, per sempre spero di no!

      • Paolo ha detto:

        c’è da dire che un uomo combattivo, competitivo eccetera non è per forza uno che maltratta la moglie e una donna attratta da lui non è per forza una masochista. Uomini e donne s’innamorano di chi vogliono e per i motivi che vogliono

  6. Paolo ha detto:

    comunque un uomo che picchia le donnee in particolare la compagna è tutto tranne che virile

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