Da quello che sono riuscita a ricostruire, la notizia è uscita a mezzo stampa il 22 gennaio, e i giornali concordavano tutti su un punto: una puerpera si è addormentata e ha soffocato il suo bambino di appena 3 giorni.

Sebbene si tratti solo di un’ipotesi (molti giornali infatti titolano prudentemente “Bambino morto al Pertini, forse schiacciato dalla mamma mentre lo allattava“), il web – incapace di quel minimo sindacale di empatia che a fronte di una tragedia tanto dolorosa imporrebbe un minimo di pietosa prudenza – si scatena in una serie di titoli ad effetto che sottintendono inequivocabilmente un legame di causa ed effetto tra l’addormentarsi della povera donna (notate il grassetto qui sopra) e la morte del neonato.
Negarlo è inutile: se così non fosse, se tutti questi articoli non avessero rigirato crudelmente il coltello nella piaga, il padre non si sarebbe sentito in dovere di difendere la mamma rea di essersi addormentata quando non avrebbe dovuto. Se così non fosse, le mamma d’Italia non si sarebbero sollevate tutte insieme per far arrivare a questi genitori il loro affetto e il loro sostegno.

Se si leggono più attentamente gli articoli, si scoprono due dettagli interessanti:
- la Procura ha aperto sì un’indagine, ma non contro la mamma, che in questa storia è parte lesa, bensì contro l’ospedale, forse colpevole di non aver offerto alla puerpera la dovuta assistenza;
- gli esperti che commentano a caldo la vicenda suggeriscono che la più probabile delle cause di morte è il Sudden Unexpected Postnatal Collapse (SUPC, ovvero collasso neonatale improvviso e inaspettato), un evento molto raro che si manifesta in un caso ogni 10mila nati sani nella prima settimana di vita e che sarebbe favorito dalla pratica del co-sleeping, ovvero dal lasciar dormire il neonato nel lettone.

Alzi la mano chi ha ricevuto questa informazione.
Io ho frequentato non uno ma ben due corsi preparto – ormai venti anni fa, ma comunque in regime di rooming in – e di questa SUPC o dell’importanza di rimettere subito il neonato nel lettino non ho mai sentito parlare. Anche fossi una tipa distratta – e lo sono – mossa da quel profondo e angosciante senso di inadeguatezza che accompagna ogni primipara, di corsi ne ho seguiti due, quindi ci metto la proverbiale mano sul fuoco: nessuno me lo ha mai detto. Tanto che ricordo perfettamente di averlo chiesto alla mia pediatra, una volta tornata a casa: “Ma tenere il bambino nel letto non è pericoloso? Non c’è il rischio che cada o che lo schiacci?” La risposta fu piuttosto lapidaria: “Perché, lei assume sostanze psicotrope?”
E poi: scheda di osservazioni? Controlli ogni 15 minuti? Assistenza giorno e notte? Ma di che parla questo signore?
Il panorama che emerge dalla valanga di reazioni che sono seguite al j’accuse della stampa contro la mamma dormigliona è molto, molto diverso.
Dalla mia pagina facebook, che è un granello di sabbia nel mare di solidarietà che ha inondato la rete:
Era il 2009 ,parto indotto, sono entrata in ospedale il 18 febbraio alle 7:30, ho partorito il giorno dopo alle 12:30.. ero esausta ,tanto da addormentarmi durante il parto.. l ostetrica scocciata dal fatto che non riuscissi a stare con gli occhi aperti..non so dove ho preso la forza per spingere.. sono stata lasciata col bambino da subito, fortunatamente ho avuto subito la montata lattea in quanto avevo finito da pochi mesi di allattare la sorella di 2 anni e mezzo, era tranquillo e ha dormito tutto il pomeriggio dandomi il tempo di riposare.. ho avuto anche io paura di addormentarmi mentre lo allattavo tanto che l ho fatto mentre c era il padre e poi l ho messo nella culla.. sono stata anche io fortunata ,sarei potuta essere anche io la mamma di Roma.. vorrei poter abbracciare quella mamma e dirle che non ha colpa.
Nel 2005, non al Pertini e non a Roma, fui lasciata sola col mio bimbo già la notte successiva al cesareo, effettuato nel primo pomeriggio. La prima notte Enrico dormì sereno accanto al mio letto, la seconda notte pianse invece continuamente e mi ritrovai sola solissima a camminare su e giù per il corridoio della maternità con lui in braccio. Ero arrivata al cesareo con occhiaie mai avute in vita mia né prima né dopo, dopo tre giorni di travaglio in cui non avevo mai dormito. Quindi ero stata operata e, ripeto, subito lasciata sola di notte con il bambino. Al terzo giorno mi dimisero, camminavo come Robocop e avevo ragadi sanguinanti ai capezzoli, ma non vedevo l’ora di andare via da lì e tornare a casa da mio marito. No, non sono una “comodona”, la prima cosa che feci appena tornata a casa fu darmi da fare. Con la sicurezza di avere altre persone accanto a me e al bambino. Sono favorevole al rooming in ma penso che sia qualcosa di molto diverso dalla situazione paradossale di lasciare sola una puerpera in un affollato reparto maternità. Le nostre madri erano già vittime di violenza ostetrica ma almeno non erano lasciate sole in questo modo dopo il parto. Ovvero mentre le tecniche chirurgiche sono migliorate, l’assistenza è peggiorata.
Io ho partorito febbraio 2021 con le restrizioni in pieno vigore per la Pandemia. Sono stata in ospedale 9 giorni. 4 giorni in osservazione e 5 giorni con mio figlio. Ero sfinita in un modo allucinante. Mio marito è stato chiamato a travaglio attivo. È rimasto fino al parto e le due ore successive. Fine. Per 5 giorni sono stata sola con il bambino. Nulla da dire sul personale medico. Però venivano, controllavano e andavano via. Già permettere a mio marito di stare un’ora al giorno sarebbe stato darmi la possibilità di fare una doccia, andare al gabinetto ( con i punti sapete che strazio). Sono stata sporca, con i capelli lerci praticamente dal pomeriggio del 22 febbraio fino al 27 sera. Ero sola in camera.
“Potevo essere io” è immediatamente diventato un trending topic: i racconti di solitudine, sconforto, dolore fisico e senso di abbandono non si contano e tutti dipingono l’ospedale come un luogo dal quale le mamme non vedono l’ora di fuggire, per trovare conforto nel caldo abbraccio delle famiglie. Il personale preposto all’assistenza è per lo più assente in questi racconti e quando è descritto troppo spesso è dipinto così:
Mi sono sentita sola dalla prima notte che ho partorito, ho chiesto aiuto per cambiarlo e mi hanno fatto sentire un’incapace, ho chiesto aiuto per l’attacco e mi hanno fatto sentire un’incapace.
Ci sono anche donne che ringraziano un’ostetrica o un’infermiera affettuosa – sarebbe sciocco ignorarle – ma ce ne sono tante, troppe, che, ricordando con orrore quei primi giorni dopo il parto, hanno messo nero su bianco la loro verità: una mamma sola e stanca all’inverosimile, la cui richiesta di aiuto e conforto rimane inascoltata, lo sono stata anche io.
E, come è avvenuto per il #metoo, è giusto che anche questo grido collettivo non rimanga inascoltato.
Come spesso avviene quando le donne si sollevano per denunciare un ingiusto trattamento loro riservato in quanto donne, qualcuno si ingegna a costruire un argomento fantoccio per smorzare i toni e rimettere le indignate al loro posto.
In questi giorni leggiamo tanti accorati appelli in difesa del rooming in, delle buone pratiche consigliate dall’Unicef e dall’OMS, appelli che raccomandano alle mamme troppo emotive di non buttare il bambino con l’acqua sporca, perché a tornare indietro ci rimetterebbero soprattutto degli infanti innocenti, condannati a tornare ammassati nei nidi, soli e abbandonati se si insiste a protestare.
Lo so che è facile cascarci, ma non fatevi ingannare.
Nessuna ha chiesto che puerpere e neonati trascorrano separati i primi giorni dopo il parto, non siamo così stupide come vi piace dipingerci: stiamo solo dicendo che le madri sono esseri umani e in quanto tali hanno bisogno di dormire, di tanto in tanto, e che imporre la privazione del sonno è una forma di tortura, anche quando a subirla è una femmina che ha appena partorito.
Stiamo solo ribadendo che le donne sono esseri umani.