L’8 marzo e le manifestazioni femministe volte a celebrare la Giornata internazionale della donna hanno contribuito a gettare benzina sull’accesissimo dibattito che coinvolge le attiviste attorno al tema della prostituzione.
In Francia, ad esempio, il collettivo Osez le féminisme! ha denunciato aggressioni ai danni di chi ha scelto di marciare esponendo cartelli abolizionisti – alcune militanti per l’abolizione del sistema prostituente e pornocriminale sono state insultate, strattonate, attaccate, minacciate di morte, leggiamo sul loro sito – mentre in Italia un episodio di scontro diretto si è verificato a Firenze, dove – racconta un comunicato di La Comune – attiviste contro la piaga della prostituzione sono state attaccate e minacciate di violenza fisica da un uomo con il volto mascherato e da alcune donne autoproclamatesi padroni/e della piazza, e i loro cartelli (prostituzione = stupro a pagamento, No alla misoginia) strappati perché secondo il dogma transfemminista la prostituzione va rispettata e difesa in quanto “libera scelta”.
L’episodio italiano è stato fieramente rivendicato da La magnifica occupata, casa occupata delle donne* transfemminista, via lorenzo il magnifico nr 100, Firenze, con un post su facebook nel quale si sostiene che un cartello come quello esposto (“prostituzione= stupro a pagamento”) in una piazza femminista non ci dovesse stare:
Seppur due compagne sex workers hanno provato a tentare di arrivare col dialogo alla rimozione del cartello, non è stato possibile per via di queste figure – raccontano – Abbiamo quindi scelto di strappare il cartello ribadendo che il dialogo lo teniamo fino a un certo punto. Queste soggette oggi millantano un’aggressione, un attacco alla libertà di opinione, accusano di fascismo persino le compagne di nonunadimeno firenze. Ebbene chiariamo da subito che la libertà di opinione non è la libertà di spargere schifezze stigmatizzanti e fasciste.
Alla luce di quanto esposto, la frattura fra i due schieramenti appare insanabile: da un parte abbiamo il femminismo abolizionista, che descrive la prostituzione come la massima espressione di un sistema patriarcale che non si reggerebbe senza continuare a ridurre la sessualità femminile a merce, dall’altra c’è un femminismo che ritiene che non vi sia nulla di intrinsecamente dannoso del pagare/essere pagati per fare sesso, se acquirente e venditore sono entrambi consenzienti, poiché ogni individuo ha il diritto di decidere autonomamente dell’uso che fa del suo corpo.
Se per la prima fazione chiunque rifiuti di affrontare il fenomeno della prostituzione a partire dalla evidente connotazione di genere (la prostituta, statistiche alla mano, è per lo più donna) non può reclamare la patente di femminista, le altre, quelle che si dichiarano dalla parte delle sex worker autodeterminate, guardano con crescente orrore chiunque non lotti per la libertà di essere puttane, associando l’analisi abolizionista ad una violenta intrusione nella sfera intima e privata delle decisioni che dovrebbero rimanere patrimonio del singolo individuo, nonché una delle fonti che alimenta lo stigma che grava pesantemente su chi pratica orgogliosamente il mestiere più antico del mondo.
Combattere la stigmatizzazione della libera sex worker: questo, ci viene detto, dovrebbe essere l’unico obiettivo di chi voglia definirsi femminista. Su questa linea di pensiero si colloca anche l’Università di Leicester, protagonista di un articolo pubblicato dal network DonnexDiritti che ha recentemente dato fuoco alle polveri.
L’articolo, scritto da una studentessa universitaria, con un tono molto indignato contesta la decisione di alcuni atenei britannici di fornire ai dipendenti delle linee guida in materia di prostituzione; per la precisione, ciò che si contesta è il taglio delle linee guida, il cui obiettivo dichiarato è sensibilizzare l’opinione pubblica affinché no student should have to face the societal stigma that students in sex work do.
We are committed to ensuring that any students who are sex workers feel supported and valued as part of the Leicester community – commenta in proposito il Professor Nishan Canagarajah, Vice-Chancellor dell’ateneo di Leicester, ovvero: ci impegneremo ad assicurare che ogni studente che lavora come sex worker si senta supportato e considerato parte integrante della comunità.
Il “lavoratore del sesso” – che non ha un sesso ben definito, nell’analisi di chi lotta contro lo stigma sociale nei confronti dei sex workers – è un/una cittadino/a che sceglie un particolare modo di guadagnarsi da vivere nell’ambito della legalità e viene ingiustamente discriminato da una società incapace di comprendere che la prestazione sessuale è da considerarsi oggetto di un contratto di lavoro come qualsiasi altra prestazione: se posso assumere un/una massaggiatore/trice, un/una baby sitter, un/a badante, allora posso assumere un/a sex worker, e il modo in cui la gente sbarca il lunario non dovrebbe in alcun modo andare ad intaccare la sua dignità di essere umano e men che meno il suo diritto ad accedere ad un’istruzione superiore.
Se andiamo a leggere nel dettaglio il toolkit fornito allo staff dell’ateneo, sebbene in una sezione dedicata si accenni al fatto che A large proportion of student sex workers are from marginalised backgrounds from groups such as LGBTQ, people with disabilities or migrants/international students, si parla esplicitamente del genere come elemento caratterizzante del fenomeno soltanto in termini di povertà: the gendered nature of austerity means that women are disproportionately impoverished. Se la stragrande maggioranza degli studenti-sex worker è donna, è soltanto perché la povertà è determinata dal genere, e la povertà è la principale ragione che muove le categorie più emarginate nel mercato del sesso.
Le linee guida, inoltre, non accennano mai alla tratta di esseri umani, che vede come vittime principali donne e ragazze (il 68%, ci dice Save the Children), le quali sono destinate principalmente alla prostituzione (86%).
Perché parlarne? – replicherebbe, immagino, una delle puttane autodeterminate che ha diffuso il comunicato de La Magnifica occupata casa delle donne – non c’è alcun rapporto fra la minorenne di un paese straniero trafficata dalla criminalità organizzata e il/la sex worker.
Non è del tutto vero, a mio avviso. Se spostiamo il focus dall’offerta alla domanda, emerge prepotentemente la richiesta di servizi sessuali forniti da donne. Se la criminalità organizzata traffica giovani donne, è perché è questo che il mercato del sesso richiede, non perché non vi siano al mondo altrettanti uomini resi vulnerabili dalle medesime circostanze (infatti anche gli uomini e i ragazzi vengono trafficati, ma per essere destinati ad altre forme di schiavitù che non hanno a che fare con il sesso); allora mi sento di ipotizzare che forse la stragrande maggioranza degli studenti/sex worker è donna non perché ci sono più studentesse povere che studenti poveri, ma perché è la domanda a determinare l’offerta e il fruitore del serivizio sessuale è prevalentemente un uomo che paga una donna.
Non vi nascondo che una delle ragioni per cui personalmente faccio fatica a prendere in seria considerazione gli argomenti di chi difende la necessità di regolamentare il sex work e/o combatte per la normalizzazione della vendita di “servizi sessuali” è proprio il fatto che una delle strategie per perseguire i loro obiettivi sia l’occultamento del divario di genere nella domanda e nell’offerta di tali “servizi” attraverso l’utilizzo di un linguaggio fastidiosamente neutro.
La neutralità, in questo caso, non è una scelta rispettosa delle diverse individualità coinvolte, piuttosto somiglia pericolosamente alla strategia adottata da quelli che, per mettere a tacere ogni dibattito sul femminicidio, si fingono “umanisti” declamando lo slogan “la violenza non ha sesso”.
Invece di adoperarsi per mettere a tacere questa o quella voce, è urgente che si riapra un dibattito serio e argomentato sulla prostituzione all’interno del movimento femminista, che ricomprenda a pieno diritto tutte le posizioni, perché, da quel che emerge dal toolkit dell’Università di Leicester, le donne sono già quasi scomparse del tutto dalla discussione.