Dall’Australia: i papà separati e la violenza contro le donne

Alcuni passi da “Fathers’Rights’ and violence against women”, Michael Flood (2006).

La lettura del fenomeno della violenza contro le donne fornita dal femminismo è un punto chiave dell’attivismo dei gruppi di “papà separati”. La violenza domestica è un fenomeno ricorrente nei procedimenti di separazione e, assumendo una prospettiva più ampia, la violenza contro le donne è un segnale forte della diseguaglianza di genere; per questo motivo è un tema fondamentale nel dibattito contemporaneo sulle relazioni fra i generi.
I “papà separati” promuovono una lettura della violenza “interpersonale” (e delle politiche in merito) funzionale alla loro battaglia affinché i padri mantengano i rapporti con la prole dopo la separazione; i loro sforzi sono tesi ad aumentare il potere dell’uomo all’interno della struttura familiare e a difendere così il dominio maschile nella società.
Sono tre i modi in cui l’attivismo dei “papà separati” ha modificato la percezione del fenomeno della violenza contro le donne:
1) Sono riusciti a modificare le leggi e le politiche che riguardano le vittime e i colpevoli di violenza contro le donne, soprattutto quando questa riguarda divorzi, separazioni e affidamento dei figli.
2) La loro propaganda ha influenzato l’opinione pubblica creando la convinzione che la violenza domestica non abbia connotazioni di genere.
3) Si impegnano ad influenzare i servizi e le istituzioni che si occupano di tutelare le vittime della violenza.

Non c’è dubbio che uomini e padri che hanno subito un divorzio o una separazione abbiano diritto al sostegno delle istituzioni. I padri debbono essere accolti ed incoraggiati a rimanere coinvolti nella vita dei propri figli. Allo stesso modo, però, occorre rispondere criticamente alle teorie fuorvianti, alle pericolose strategie messe in atto da quei gruppi che affermano di difendere i diritti dei “papà separati”.

Il movimento dei “papà separati”
Il movimento dei “papà separati” proclama che “il sistema”, dominato dalle femministe e caratterizzato da un odio di genere verso i maschi, depriva sistematicamente i padri dei loro diritti e che i padri vengono discriminati in quanto maschi. (…)
Due sono le ragioni che spingono uomini e donne a diventare attivisti nei gruppi di “papà separati”: la prima è una dolorosa separazione e la battaglia per l’affidamento dei figli.
Il movimento è infatti caratterizzato da una grande rabbia, da un vero e proprio odio verso l’ex-partner e verso un “sistema” colpevole di privarli dei loro “diritti”, temi ricorrenti fra le persone passate attraverso l’esperienza di una separazione.
La seconda ragione è l’insoddisfazione dei padri non-collocatari (che non convivono stabilmente con i figli– n.d.t.) per gli scarsi contatti  con i figli o per gli oneri di mantenimento.

Il movimento dei “papà separati” concentra tutta l’attenzione sui “diritti”, sullo status di padre, piuttosto che sulla cura della prole, tanto che alcuni studiosi definiscono il loro obiettivo con il termine “uguaglianza con vendetta”: infatti il principio di uguaglianza è prioritario nelle loro battaglie, a discapito delle concrete esigenze e del benessere delle donne e dei bambini coinvolti; creano confusione tra interesse del minore e parità genitoriale e ignorano la possibilità di una realistica suddivisione del lavoro di cura, rifiutando di prendere in considerazione gli ostacoli concreti ad una matematica suddivisione del minore fra le figure genitoriali.

Ciò che i “papà separati” intendono difendere è il diritto ad esercitare la loro autorità sulle vite dei figli e dell’ex-partner.

Insieme ai gruppi di attivisti per i “diritti degli uomini”, i “papà separati” lottano per tornare indietro nel tempo ed eliminare tutti quei cambiamenti sociali e giuridici che hanno diminuito il gap fra i generi.

I gruppi di “papà separati” sono organizzati in modo da produrre concreti cambiamenti nel corpo di leggi che riguarda il diritto di famiglia e per opporsi ad una lettura femminista (e quindi ad una prospettiva di genere) sulla violenza interpersonale.

1. Privilegiare il contatto rispetto alla sicurezza
(…) Il movimento dei “papà separati” ha prodotto delle modifiche al corpus di leggi che riguardano la famiglia, con gravi conseguenze nella vita di donne e bambini, ma anche nella vita degli uomini stessi.
Soprattutto, ha stimolato la tendenza a privilegiare sopra ogni cosa il rapporto con il padre, rapporto che viene tutelato a discapito dell’incolumità dei soggetti coinvolti.
Il principio che il bambino necessiti di mantenere i contatti con entrambe le figure genitoriali è ormai acriticamente accettato sia dai Tribunali che dai mass media. Nei Tribunali dei minori il “diritto alla bigenitorialità” è tutelato a dispetto del diritto a non subire violenza.
Oggi i Giudici sono più disponibili a concedere visite non protette anche in caso di violenza domestica o abusi su minore, propongono accordi provvisori invece di sospendere i contatti quando sono ancora in corso le indagini per appurare eventuali reati e dispongono l’affido condiviso anche quando è evidente un alto livello di conflittualità fra i genitori e uno di essi si oppone strenuamente al provvedimento.
Il movimento dei “papà separati” ha fallito nell’obiettivo di ottenere il doppio domicilio come prassi in caso di separazione. Tuttavia, le modifiche apportate al diritto e  l’influenza esercitata sulle politiche del governo hanno dato i loro frutti.
Negli ultimi anni un gran numero di genitori, già vittime di violenza domestica, hanno continuato a subire violenza dall’ex-partner, mentre i bambini sono rimasti in contatto col genitore abusante.
L’attuale politica riflette molti dei principi enunciati dai gruppi di “papà separati”, tra i quali due sono fondamentali e profondamente fraintesi: il primo principio è che mantenere i rapporti con entrambi i genitori sia nel migliore interesse di qualsiasi bambino, il secondo è che avere un padre violento è comunque meglio che non avere un padre.
Inoltre, quando si parla di separazione si usa il termine “conflitto” invece che “violenza”, si sottostimano gli episodi di violenza, i Tribunali e i servizi sociali vengono incoraggiati a proporre la mediazione come soluzione al “conflitto” e si pone l’accento sul problema delle madri che “producono false accuse” o violano gli accordi di separazione.

2. La campagna di denigrazione delle vittime
Per influenzare la percezione del fenomeno della violenza contro le donne, il movimento dei “papà separati” ha avviato una campagna denigratoria ai danni delle vittime (le donne – n.d.t.) e ha diffuso l’idea semplicistica che “la violenza non ha genere”.
(…).
I “papà separati” denunciano  che le donne abitualmente producono false accuse di abuso su minore per ottenere vantaggi in caso di separazione e per negare al padre l’accesso ai propri figli. In realtà le ricerche in merito ci dicono che le accuse di abuso su minore sono rare in caso di separazione, che quando  sono prodotte delle accuse molto raramente sono false e fra quelle riconosciute come false non si riscontra alcuna prevalenza femminile: le false accuse vengono prodotte tanto dai padri quanto dalle madri.
Inoltre, è deprimente constatare che è molto raro che un’accusa di abuso su minore produca un allontanamento del genitore abusante.
I “papà separati” denunciano anche che le donne abitualmente producono false accuse di violenza domestica allo scopo ottenere ordini restrittivi ed allontanare i padri dai propri figli. Ricercatori australiani hanno dimostrato che, al contrario, le donne vittime di violenza domestica difficilmente ottengono degli ordini restrittivi, che vengono emessi solo come estrema ratio, e che quando degli ordini restrittivi vengono emessi, questi hanno una influenza positiva sulla riduzione della vulnerabilità delle vittime.
Oltre ad accusare le donne di produrre false accuse ed inventare falsi abusi su minori, il movimento dei “papà separati” porta avanti il discorso della violenza relazionale o simmetrica, che si fonda  sull’assunto “la violenza non ha genere”.
Per dimostrare che uomini e donne usano violenza in egual misura, si basano su studi che utilizzano uno strumento chiamato Conflict Tactic Scale (CTS). La CTS colloca la violenza domestica nel contesto più ampio di “conflitto familiare”. (…)
La CTS chiede ad un soggetto coinvolto in una relazione sentimentale se nel corso dell’ultimo anno ha commesso o ha subito atti di violenza da parte del partner. Gli studi basati sulla CTS generalmente dimostrano che la violenza all’interno di una relazione è sempre simmetrica.  (…)
Ma ci sono problemi metodologici connessi all’utilizzo della CTS. Come strumento è criticato perché non fornisce alcuna informazione sull’intensità degli episodi di violenza registrati, sul contesto in cui avvengono, sulle conseguenze dell’episodio di violenza (ad esempio chi dei due ha subito delle lesioni) e sul suo significato. La CTS non chiede chi ha dato inizio all’episodio di violenza (quando spesso la violenza agita dalle donne è difensiva), dà per scontato che la violenza sia sempre espressione di un sentimento di rabbia, negando così  il fenomeno della violenza strumentale – ovvero quella usata per stabilire un rapporto basato su un dislivello di potere e sul controllo – omette atti violenti come l’abuso sessuale, lo stalking e l’omicidio del partner, ignora la storia di violenza pregressa e non registra gli episodi di violenza che avvengono dopo l’interruzione della relazione, un genere di violenza subito principalmente dalle donne.
C’è una gran quantità di dati che dimostrano l’asimmetria della violenza domestica: le statistiche fornite dalle forze dell’ordine, ad esempio, o i dati raccolti negli ospedali (…)
Non c’è dubbio che anche gli uomini siano vittime di violenza domestica: gli uomini subiscono violenza dai partner femminili e maschili, dagli ex-partner e da altri membri della famiglia. (…) Ma ci sono delle differenze: è più probabile che le donne subiscano abusi più frequenti, per periodi più lunghi, che gli abusi siano di maggiore intensità e producano  più danni fisici; le donne, inoltre, vengono anche stuprate e patiscono maggiormente la paura di essere uccise. Gli uomini soggetti a violenza domestica raramente continuano a subire assalti dopo la separazione, poiché sono economicamente e socialmente più indipendenti. (…) Nessuna ricerca conferma l’idea che gli uomini tendono a non denunciare le violenze subite, anzi, si riscontra una tendenza maschile a sopravvalutare la violenza subita e minimizzare quella agita.
(…)
L’attenzione dei “papà separati” per il fenomeno della violenza domestica subita dagli uomini non è motivato da un genuino interesse nei confronti delle vittime, ma è strumentale ad ottenere gli obiettivi prefissati attraverso la denigrazione della donna che denuncia di essere vittima di violenza domestica in sede di separazione.
Questo è evidente innanzi tutto perché si focalizzano su questo particolare tipo di violenza, ignorando completamente il fatto che se è vero che gli uomini subiscono violenza, la subiscono principalmente da parte di altri uomini. Le statistiche australiane dimostrano che meno dell’1% degli episodi di violenza sugli uomini è da parte di partner o ex partner, rispetto a un terzo degli incidenti subiti dalle donne”.

(…)

3) Proteggere i colpevoli e ridurre i servizi di supporto alle vittime
Il terzo modo in cui il movimento dei “papà separati” ha influito sulla percezione della violenza contro le donne è modificando il tenore delle risposte istituzionali alle richieste di supporto mosse dalle vittime di violenza.
Obiettivo della propaganda dei “papà separati” è erodere i servizi a tutela delle “finte vittime di violenza” ed introdurre leggi che puniscano severamente le “disoneste e maliziose bugiarde”.
La Lone Fathers’ Association, insieme ad altri gruppi, argomenta che le accuse di violenza domestica o abuso non dovrebbero mai essere prese in considerazione se non comprovate da rapporti delle forze dell’ordine o da referti medici e che coloro che muovono accuse senza essere in possesso di prove inconfutabili dovrebbero essere severamente perseguiti, insieme a tutti quelli che li sostengono. Richiedono le medesime restrizioni anche per gli ordini restrittivi.
Contemporaneamente si propongono di ridurre le sanzioni nei confronti di chi agisce la violenza, enfatizzando il bisogno di “tenere unita la famiglia”, chiedendo un uso più massiccio della mediazione familiare per risolvere “i conflitti” e rifiutando categoricamente l’ipotesi di procedere con l’arresto dell’abusante.
Questo genere di provvedimenti, se attuati, comporterebbe una grave erosione della tutela legale garantita alle vittime di violenza che finirebbero col trovare grandi difficoltà ad ottenere giustizia.
Questi propositi tradiscono inoltre il reale disinteresse nei confronti delle vittime maschili di violenza domestica, che si rivela solamente retorico: se da una parte sostengono di voler porre l’accento sul fenomeno degli uomini che subiscono violenza dal partner, dall’altra puntano a ridurre tutti i servizi a supporto delle vittime.
Il punto di vista che i gruppi di “papà separati” assumono nei confronti della violenza domestica è quello dei soggetti violenti e abusanti: minimizzano o negano la violenza, colpevolizzano le vittime e forniscono un immagine della violenza interpersonale come un fenomeno sempre e comunque simmetrico.
La simpatia nei confronti dei colpevoli risulta evidente anche dal fatto che usano la violenza perpetrata dagli uomini per dimostrare che “il sistema” li discrimina in quanto maschi, generando quella frustrazione che sfocia nella violenza contro le donne. Attribuendo al sistema la colpa della violenza agita dagli uomini contro le donne  non solo la giustificano, ma ironicamente ne riconoscono l’esistenza, dopo averla strenuamente negata.
(…)

Il movimento dei “papà separati” attacca i mass media e le campagne di sensibilizzazione alla violenza contro le donne, richiedendo che vengano tolti i fondi pubblici e vengano abolite quelle strutture che chiamano “l’industria della violenza domestica” e si impegnano nel molestare tutte quelle organizzazioni che lavorano per supportare le vittime di violenza.
La loro attività ha già messo in serio pericolo donne, bambini e uomini vittime di violenza, esacerbando quella cultura che sistematicamente tende a nascondere la violenza domestica e a biasimare le vittime, ostacolando tutte quelle politiche che produrrebbero  risposte concrete al problema.
Per fortuna, le politiche che riguardano la “paternità” non sono state completamente assorbite dal movimento dei “papà separati”. C’è ancora la possibilità di un positivo, costruttivo e non-violento coinvolgimento dei padri nella genitorialità e nella famiglia. Una risorsa chiave per realizzare delle politiche a sostegno della paternità è sicuramente il diffondere un’immagine di “padre accudente”, intollerante alla violenza contro le donne; fondamentali sono inoltre delle politiche che sostengano un’equa suddivisione dei compiti di cura e del lavoro domestico all’interno delle famiglie, e naturalmente è fondamentale che gli uomini investano in una genitorialità costruttiva.
Comunque, per ostacolare il reazionario movimento dei “papà separati” è necessario confrontarsi direttamente con i loro obiettivi, diffondendo un atteggiamento critico nei confronti della propaganda intorno alle “false accuse” e rispondendo in modo affidabile e costruttivo alle esigenze di quei padri e quelle madri che si trovano ad affrontare una separazione o un divorzio.

fonte e bibliografia

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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17 risposte a Dall’Australia: i papà separati e la violenza contro le donne

  1. noviolenzasulledonne ha detto:

    ” La statistiche australiane in merito dimostrano che solo nell’1% degli episodi di violenza in cui le vittime sono maschi la violenza è agita da donne, mentre un terzo degli atti di violenza compiuti sulle donne è perpetrato da uomini.” credo proprio che la traduzione qui sia inesatta. Dice che un terzo della violenza sulle donne è causata da partners ed ex partners ( poi ci sono altre percentuali causate da corteggiatori respinti, altri familiari, amici, conoscenti ed infine gli estranei). Se la violenza sulle donne fosse causata dagli uomini solo in un terzo dei casi, non sarebbe una questione tra generi ma interna.

    • Sono dati del 1996: “less than 1% (meno dell’un per cento) of violent incidents among men is by partner or ex-partner, compared to one-third of incident about women.” Non parla di “uomini”, ma solo partner ed ex-partner: sono quindi esclusi altri familiari, amici, colleghi, estranei…

  2. Paolo1984 ha detto:

    false accuse e violenza domestica sugli uomini esistono ma sono casi minoritari e spesso diversi dai casi di violenza domestica sulle donne, fa bene tenerlo presente.. Fermo restando il fato che uomini e donne sono moralmente pari nel bene e nel male

  3. sandro ha detto:

    Ho letto l’articolo, o meglio sono riuscito a leggerne metà, un altro quarto a spizzichi e bocconi, poi non ce l’ho più fatta…La generalizzazione dei concetti mi ha dato la nausea. Ognuno ha una propria storia tale per cui possa ritenersi vittima piuttosto che carnefice. La mia esperienza mi permette di dire che la violenza non ha una sua connotazione specifica poichè può essere tanto fisica quanto psicologica e, se è vero che risulta difficile sfatare il luogo comune secondo cui la violenza fisica non può che essere appannaggio dell’individuo “più forte”, posso altrettanto assicurare che la violenza psicologica (che a differenza della prima si può produrre colpendo diversi obiettivi) è la fine arma con cui si può colpire colui che già, in caso di separazione, deve subire il peso e il disagio di perdere tutto: affetto (dei propri figli), casa, oggetti, riferimenti, abitudini…Non ho la presunzione di raccogliere consensi ne è questo il mio scopo, ma credo che sostenere che le associazioni dei padri separati siano quasi associazioni “a delinquere” mi pare, francamente, eccessivo. P.S. Complimenti davvero all’autore dell’articolo…

    • Perché dovrei leggere il suo commento, visto che non si dà pena neanche di leggere con attenzione ciò che scrivo? Perché ritiene di poter commentare senza neanche aver letto con attenzione? Non le sembra di assumere un atteggiamento vagamente arrogante?
      Quando farà lo sforzo di leggerlo tutto possiamo forse entrare nel merito dell’argomento trattato…

    • lilli ha detto:

      Signor Sandro, lei sostiene: “La mia esperienza mi permette di dire che la violenza non ha una sua connotazione specifica …”; e appunto l’articolo australiano dice:” Sono tre i modi in cui l’attivismo dei “papà separati” ha modificato la percezione del fenomeno della violenza contro le donne:
      1) ….
      2) La loro propaganda ha influenzato l’opinione pubblica creando la convinzione che la violenza domestica non abbia connotazioni di genere…”.
      Ecco, signor Sandro, da quanto si legge nello studio australiano, lei sarebbe la dimostrazione che la propaganda degli attivisti dei padri separati sta funzionando a meraviglia sulla gente.

  4. Walter ha detto:

    Gli uomini che aiutano le femministe ad impadronirsi dei bambini spesso sono dei pedofili, come Jorge Corsi

  5. Non vi fermate davanti a niente, vero? Così pieni d’odio che neanche la morte di due bambini scuote la vostra coscienza. Credo che la totale mancanza di empatia manifestata da questo genere di commenti parli da sola…

  6. Lilli ha detto:

    Samuele, dia una lettura a questo articolo per rendersi conto di quanto gli infanticidi compiuti dalle madri siano rarissimi rispetto ai figlicidi compiuti dai padri:
    http://noviolenzasulledonne.blogspot.it/2012/02/gli-uomini-che-uccidono-mogli-e-figli.html

  7. maria serena ha detto:

    dov’è la differenza nell’uccidere un figlio piccolo rispetto a uno già cresciuto? da grandicello ha già avuto modo di rompere a sufficienza i coglioni mentre da piccolo gli si può concedere il beneficio del dubbio,che forse crescerà senza chiedere sempre l’ultimo modello di play-station? scusate,io non ci trovo tanta differenza…anzi,non ce ne trovo affatto….
    mi piacerebbe poi sapere perchè si pensa che la violenza fisica non si manifesti anche come violenza psicologica,perchè io se sapessi che sono a rischio botte ogni volta che a lui (o a lei, guardando il quadro generale) gli è andata male al fantacalcio mi sentirei anche psicologicamente “un tantino” sotto pressione…..

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  9. Laura Di Mascolo ha detto:

    Grazie per la traduzione di questo interessatne articolo che riassume magnificamente lo stato dell’arte tutt’altro che roseo sulla questione della violenza del maschile. I Tribunali sono diventati i luoghi in cui il patriarcato maschilista si riprende il potere con violenza, disposta a sacrificare anche i propri figli. Questa è la dimensione del rifiuto ad accettare una reciprocità e la libertà delle donne.

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