La presunta morte del #metoo

Era il 15 ottobre dello scorso anno, quando l’attrice Alyssa Milano scrisse su Twitter: Se tutte le donne molestate sessualmente o violentate scrivesseroMe too’ come status, potremmo dare alle persone un senso della vastità del problema”.

La stampa annunciava solo due giorni dopo: “More than 12M ‘Me Too’ Facebook posts, comments, reactions in 24 hours”, ovvero più di 12 milioni di post su Facebook, commenti e reazioni nelle prime 24 ore.

A dispetto delle voci scettiche nei confronti dell’iniziativa, che si sono fatte sentire sin dagli albori di quello che poi è diventato un vero e proprio movimento, la marea non si è fermata, le donne hanno continuato a condividere le loro esperienze, l’hashtag si è diffuso oltre i confini nazionali coinvolgendo donne in tutto il mondo, al punto che le “silence breakers”, coloro che hanno rotto il silenzio su molestie e abusi, sono finite sulla copertina del Time come “persona dell’anno; un evento che ha destato parecchia attenzione, considerato che la “persona dell’anno” del Time si è chiamata “uomo dell’anno” fino al 1999 e che, su 81 copertine dedicate dalla nascita dell’iniziativa, solo 4 sono andate a donne:Le azioni galvanizzanti delle donne in copertina (…) insieme a quelle centinaia di altre [donne] come di molti uomini, ha scatenato uno dei più veloci cambiamenti culturali dagli anni ‘60 ad oggi”, ha dichiarato Edward Felsenthal, direttore di Time in merito alla scelta di dedicare la copertina alle “voci che hanno lanciato un movimento”.

Così veloce da spaventare persino chi un cambiamento culturale se lo è sempre augurato.

Già il 17 ottobre, quando cominciavano a circolare gli stratosferici numeri delle condivisioni e delle testimonianze, potevamo leggere su Vice le prime voci autorevoli che cercavano di convincere le donne che #metoo non era la strada giusta da percorrere: “Survivors are coming together yet again to shed light on high rates of sexual assault. They shouldn’t have to(Le sopravvissute si uniscono ancora per fare luce sugli alti tassi di molestie sessuale. Non dovrebbero averne bisogno), si intitolava l’articolo.

Parliamo di abusi sulle donne o violenza sulle donne. Ma così sembra che sia una cosa che succede alle donne, come un nodo fra i capelli. È una nebulosa, un tutt’uno con il fatto di essere donna. Così facendo non parliamo di chi le aggredisce, o di quali sono le circostanze che favoriscono il silenzio. Non parliamo delle ragioni per cui le sopravvissute rimangono in silenzio”, dichiarava Jennai Bundock, sopravvissuta e attivista, rimarcando che ogni movimento che mette al centro solo le vittime incontrerà dei problemi: “Alle vittime si chiede di denunciare o entrare in guerra contro il loro aguzzino. È un fardello immane. L’unica cosa che penso potrebbe aiutare è spostare totalmente il focus lontano dalle donne.

Anche in Italia c’è stato chi ha provato immediatamente a mettere le donne in guardia dalla “guerra agli aguzzini”.

Il 31 ottobre, ad esempio, dalle pagine di Repubblica Lea Melandri, una figura tra le più stimate del femminismo italiano, ha affermato: “Mi dispiace, non sono riuscita ad appassionarmi. E non sono riuscita ad appassionarmi perché ho dei dubbi.

Le confessioni pubbliche possono creare solidarietà, ma viene meno l’elemento fondamentale che è la messa in discussione del tuo racconto, prosegue l’articolo di Melandri, “di fronte a queste campagne che viaggiano su Facebook o sui social network è difficile porre un interrogativo: il solo ipotizzare un’obiezione può essere scambiato per complicità con l’orco, molestatore o violentatore. È un terreno delicatissimo. È la ragione per cui molte donne non si sentono del tutto partecipi a una campagna che mescola cose diverse, ma preferiscono dirlo sotto voce.

Se per Bundock il problema risiede nella possibilità che le vittime finiscano con il subire  ulteriori traumi a causa dell’esposizione mediatica, Melandri è più preoccupata del fatto che invece i racconti diffusi per mezzo del #metoo non vengano sufficientemente “messi in discussione”.

Una preoccupazione del tutto infondata, almeno in Italia, dove sono state parecchie le voci che hanno pubblicamente messo alla berlina le vittime di Weinstein: “Prima la danno via poi piangono e fingono di pentirsi”, ha titolato Libero Quotidiano; Natalia Aspesi ha dichiarato, sempre a proposito delle denunce delle attrici: Sono un lamento tardivo. Un coro che non tiene conto della realtà dei fatti (…) i produttori, almeno da quando ho memoria di vicende simili, hanno sempre agito così. E le ragazze, sul famoso sofà, si accomodavano consapevoli. Avevano fretta di arrivare”. Vittorio Feltri alle Iene ha detto: “Le donne denuncino e subito, non dopo venti anni. (…) Weinstein non era mica l’unico produttore di Hollywood e la sua non è stata violenza sessuale. Non ti fa fare carriera per ripicca? Tu vai da un altro produttore, è molto semplice. Le possibilità di denunciare ci sono, le donne lo facciano. Se non lo fanno per paura di non essere credute o ascoltate e perché sono deboli, si arrangino”; e questi sono solo alcuni degli esempi di pubblica “messa in discussione” che si possono citare.

Ciononostante, la preoccupazione ha continuato a serpeggiare, fino a sfociare nella lettera delle donne francesi che ha destato tanto scalpore, nella quale leggiamo:

Di fatto, il #metoo ha dato avvio sulla stampa e sui social network a una campagna di delazioni e di accuse pubbliche verso individui che, senza che gli venga lasciata la possibilità di rispondere o difendersi, sono stati messi esattamente sullo stesso piano degli aggressori sessuali.
Questa giustizia sbrigativa ha già le sue vittime, uomini puniti nell’esercizio del loro mestiere, costretti alle dimissioni ecc. quando hanno avuto il solo torto di aver toccato un ginocchio, tentato di rubare un bacio, parlato di cose “intime” durante una cena di lavoro o di aver inviato messaggi dalla connotazione sessuale a una donna che non ricambiava la loro attrazione”
.

La delazione, sin dai tempi dell’antica Roma, è considerata una pratica vile, esercitata da spioni prezzolati e propensi alla calunnia: “Delatores, genus hominum publico exitio repertum, et poenis quidem numquam satis coercitum, per praemia eliciebantur”, scriveva Tacito negli Annales.

E le donne, ci ricorda sempre a proposito della valanga di denunce contro uomini illustri, nientepopodimeno che Margaret Atwood, “sono esseri umani, con tutta la gamma di comportamenti santi e demoniaci che questo comporta, inclusi quelli criminali”.

Detto in parole povere, la verità delle donne che denunciano, la “loro verità” (“their truth,” come ha rimarcato anche da Oprah Winfrey ai Golden Globe), potrebbe non essere così vera; per questo andrebbe sussurrata sotto voce, meglio se nelle aule dei tribunali, dove gli uomini possono esercitare il loro diritto alla difesa. E se le aule dei tribunali che abbiamo, viziati da pregiudizi di genere, non permettono alle donne di ottenere giustizia (“Il momento #MeToo è un sintomo di un sistema legale che non funziona. Fin troppo frequentemente, le donne e altri soggetti che denunciano un abuso sessuale non hanno potuto avere accesso a un’udienza equa attraverso le istituzioni”, ha ammesso Atwood), allora che si costruiscano nuovi tribunali, si scrivano nuove leggi, come ha sollecitato la storica Anna Bravo dalle pagine di MicroMega: “Le ragazze del ‘Me too’ dovrebbero porsi il problema della costruzione di nuove norme giuridiche ed economiche invece di piagnucolare sui social.

Oprah Winfrey ha più di sessant’anni, Rose McGowen più di quaranta, come pure Asia Argento, Uma Thurman (l’ultima, in ordine di tempo, che ha affidato alla stampa la sua denuncia) ne ha quasi cinquanta, Giulia Blasi, la giornalista che ha lanciato in Italia l’hashtag #quellavoltache, è nata nel 1972: arduo definirle “ragazze”.

Eppure, questa contrapposizione fra la donna saggia, che grazie alla sua lunga vita, è in grado di cogliere le “cose diverse” che non dovrebbero finire nel #metoo e la giovane sconsiderata tutta emotività e sdegno che si lascia trasportare dall’entusiasmo, emerge potente: ad una donna che su twitter invitava Margaret Atwood ad ascoltare le voci che si esprimono per mezzo del movimento (donne più giovani e meno potenti, così vengono descritte le donne che hanno aderito all’iniziativa da Erika Thorkelson: “If Margaret Atwood would like to stop warring amongst women, she should stop declaring war against younger, less powerful women and start listening #metoo”), Atwood risponde: “I have been listening for approx 60 years”, ovvero: sono circa sessant’anni che ascolto.

Il nuovo che avanza versus vecchi/e privilegiati/e che difendono lo status quo, “giovani” irresponsabili versus la pacata ragionevolezza che deriva dall’esperienza? C’è stato un momento in cui sono sembrate queste le parti in causa nel dibattito acceso dal #metoo, sebbene da una parte (i sostenitori del movimento) come dall’altra (i suoi detrattori) si trovino donne (e uomini) di tutti i ceti e tutte le età.

Non una questione generazionale dunque, e neanche una questione di classe sociale: “Anche se lavoriamo in ambienti molto diversi” – hanno scritto le lavoratrici agricole dell’Alianza Nacional de Campesinas in una lettera di supporto alle accusatrici di Weinstein nel novembre 2017-condividiamo un’esperienza comune di essere predate da individui che hanno il potere di assumere, licenziare, ostracizzare e minacciare la nostra sicurezza economica, fisica ed emotiva. Anche per noi ci sono poche posizioni a disposizione e denunciare qualsiasi tipo di crimine o ingiustizia non appare un’opzione praticabile. Lamentarsi di qualsiasi cosa – persino le molestie sessuali – sembra impensabile perché troppo è a rischio, inclusa la capacità di nutrire le nostre famiglie e preservare la nostra reputazione. Comprendiamo il dolore, la confusione che provate, sappiamo che vi sentite sole e tradite. La stessa vergogna e la stessa paura pesano sulle nostre spalle. Ma noi sappiamo, nel profondo del nostro cuore, che non è colpa nostra. Le uniche persone colpevoli sono quelle che scelgono di abusare del loro potere per molestarci, minacciarci e farci del male, come quelle che lo hanno fatto a voi.

Il movimento, a dispetto delle critiche apocalittiche che lo hanno paragonato alla rivoluzione culturale cinese, alla caccia alle streghe o alle audizioni condotte dal Senatore Joseph McCarthy nell’America degli anni ‘50, ha continuato a vivere di vita propria senza subire alcun contraccolpo: a gennaio è arrivata la notizia del suo sbarco in Cina, mentre è del 9 febbraio 2018 l’annuncio del #MosqueMeToo, l’hashtag con il quale le donne musulmane denunciano le loro esperienze di molestie subite in moschea e durante il pellegrinaggio alla Mecca. Fra il 22 e il 23 marzo, nella Piazza Gwanghwamun di Seul, in Corea del Sud, 193 donne hanno preso il microfono e hanno parlato delle esperienze di molestie e violenze sessuali da loro subite per oltre 33 ore. Nel frattempo siamo venute a  conoscenza del movimento giapponese, nato 5 mesi prima del #metoo statunitense con l’hashtag  #FightTogetherWithShiori grazie alla coraggiosa testimonianza della giornalista Shiori Ito, ed esploso in dicembre a seguito del successo internazionale dell’iniziativa di Alyssa Milano. Quest’estate il #metoo ha coinvolto suore da tutto il mondo.

Sebbene la maggior parte di noi lo abbia conosciuto solo grazie al caso Weinstein, #metoo è uno slogan che viene da lontano, dall’attivista per i diritti civili Tarana Burke, che ha creato il “me too Movement” nel 2007.

Il movimento me too ha avuto inizio nel posto più profondo e oscuro della mia anima, racconta Burke, quando era un’operatrice giovanile e si occupava prevalentemente di bambini di colore e incontrò la piccola Heaven, che aveva un doloroso segreto da confidare. A dispetto del fatto che nel corso del suo lavoro Burke avesse già ascoltato ogni sorta di storia straziante a proposito di genitori maltrattanti e negligenti, quando Heaven la sceglie per condividere il suo inferno personale, lei non riesce ad ascoltare: “Mentre tentava di parlarmi quel giorno, lo sguardo nei suoi occhi mi spingeva ad allontanarmi da lei. Aveva una profonda tristezza e un desiderio di confessione che lessi immediatamente e non volevo farne parte. Alla fine, nel corso della giornata, mi ha raggiunto e quasi mi ha pregato di ascoltare… e ho accettato con riluttanza. Per i minuti successivi questo bambina, Heaven, con fatica mi ha raccontato del suo “patrigno” o piuttosto del fidanzato di sua madre che stava facendo ogni sorta di cose mostruose al suo corpo in via di sviluppo… Sono rimasta inorridita dalle sue parole, erano troppe le emozioni che mi scoppiavano dentro e ho ascoltato fino a quando non ce l’ho più fatta… il che si è rivelato essere meno di 5 minuti. Poi, proprio nel mezzo della condivisione del suo dolore con me, l’ho interrotta e l’ho immediatamente indirizzata a un’altra consulente donna che poteva aiutarla meglio. Non dimenticherò mai l’espressione sul suo viso. Non dimenticherò mai lo sguardo perché penso a lei tutto il tempo. Lo shock di essere respinta, il dolore di aver aperto una ferita solo per doverla richiudere bruscamente, era tutto sulla sua faccia. E per quanto io ami i bambini, per quanto mi importasse di quella bambina, non riuscivo a trovare il coraggio che lei aveva trovato. Non riuscivo a raccogliere l’energia per dirle che avevo capito, che potevo sentire il suo dolore. Non potevo aiutarla a liberarsi della sua vergogna, non potevo farle capire che nulla di quello che le era successo era colpa sua. Non riuscivo a trovare la forza di dire ad alta voce le parole che risuonavano nella mia testa più e più volte mentre cercava di dirmi cosa aveva sopportato… La osservai allontanarsi da me mentre cercava di recuperare i suoi segreti per infilarli di nuovo nel loro nascondiglio. La guardai rimettersi la maschera e tornare nel mondo come se fosse tutta sola e non riuscivo nemmeno a sussurrare… anche io.

Me too, anche io, è una frase che ogni sopravvissuta dovrebbe sussurrare ad un’altra sopravvissuta – spiega Burke – per farle sapere che non è sola; l’idea di Burke era che il “Me too” aiutasse le donne a creare un “movement for radical healing”, un movimento per una radicale guarigione che trova il suo fondamento nell’empatia.

Anche Tarana Burke è intervenuta nel dibattito sul #metoo, proprio per ribadire questo concetto: “Nessuno è mai venuto da me dicendo ‘Voglio distruggere questa persona’. Vengono e dicono ‘Ho bisogno di aiuto. Questa cosa mi sta uccidendo, mi sta schiacciando, è una fitta costante alla bocca del mio stomaco’”.

Non si tratta, dunque, di una caccia alle streghe, si tratta di curare ognuna il proprio trauma per mezzo della condivisione con persone che ne hanno vissuto uno analogo e hanno gli strumenti per riconoscere che la verità di chi racconta è anche la verità di molte, moltissime altre donne, tutte ugualmente bisognose di sentirsi dire: non ti devi vergognare, non hai più bisogno di mantenere nessun segreto o di indossare nessuna maschera, ma soprattutto: non è colpa tua.

Se uno degli obiettivi del #metoo è curarsi, un altro è sicuramente il prendersi cura l’una delle altre.

Ronan Farrow, l’autore dello scoop del New Yorker che ha aperto la diga alle denunce di molestie sessuali contro Harvey Weinstein, nonché figlio di Woody Allen e Mia Farrow, intervistato a proposito del rapporto fra la sua storia personale e la decisione di occuparsi della vicenda, ha citato le accuse contro il padre che la sorella ha ribadito, sempre a mezzo stampa, nel 2014.

Racconta Ronan Farrow che, quando Dylan affidò la sua versione dei fatti al New York Times, lui tentò di dissuaderla: Ho cercato di parlarle energicamente, le ho detto ‘Stai calma. Lo sai, hai già vissuto questo trauma, perché costringerti a viverlo ancora? Perché danneggiare la tua carriera? Perché danneggiare le nostre carriere?”

Ma Dylan ha deciso comunque di mandare in stampa la sua lettera aperta. Le sue motivazioni, secondo il fratello, furono le medesime che nel 2017 hanno spinto le accusatrici di Weinstein: “I suoi argomenti avevano molto in comune con quelli portati dalle donne che si opponevano a Harvey Weinstein. Voleva assicurarsi che altre donne fossero protette”.

The complicated feeling I have about Harvey is how bad I feel about all the women that were attacked after I was”, ovvero: “Ciò che provo riguardo a Weinstein è che mi sento male per le donne che hanno subito una aggressione dopo di me”, ha detto Uma Thurman al New York Times, e ha aggiunto: “Io sono una delle ragioni per le quali una ragazza è entrata da sola in una stanza con lui”.

Empatia, desiderio di offrire supporto e protezione: a leggere le testimonianze delle vittime che hanno affidato al #metoo i loro racconti, sembrano questi i sentimenti che hanno trasformato un tweet in un fenomeno tanto massiccio da far pensare a un radicale mutamento della società.

Ma il radicale mutamento non sta nel fatto che le donne abbiano “rotto il silenzio”, innescando la catena di storie che si susseguono senza soluzione di continuità da mesi ormai, perché – come ha ricordato Ophra Winfrey sempre nel suo discorso ai Golden Globe citando la storia di Recy Taylor e della sua estenuante battaglia in difesa della sua verità di donna abusata dai suoi stupratori prima, e dall’impossibilità di ottenere giustizia, poi – le donne non hanno mai taciuto la loro verità, o meglio: ci sono sempre state donne  disposte a rivivere il loro trauma ed esporsi al pubblico ludibrio per rompere il silenzio.

Il radicale mutamento sta nel fatto che oggi molte più persone sono disponibili ad ascoltare cosa quelle donne hanno da dire, ma soprattutto sono disposte a credere che “la verità delle donne” potrebbe essere semplicemente la verità.

Grazie all’esperienza del #metoo, l’attrice Mira Sorvino – una delle donne che ha confidato a Ronan Farrow le molestie subite da Weinstein – ha trovato il coraggio di scrivere una lettera aperta a Dylan Farrow, nella quale dice: “Confesso che all’epoca in cui ho lavorato per Woody Allen ero una giovane attrice ingenua. Avevo archiviato le accuse di molestie contro tuo padre come parte della guerra per la custodia tra Mia Farrow e lui, mi dispiace di non aver approfondito la situazione. Da adolescente, avevo la mia copia del suo libro Without Feathers. Ho interpretato il ruolo di Diane Keaton in una produzione scolastica di Suonala ancora, Sam e sono cresciuta coi suoi film come molti della mia generazione. Da attrice ho ottenuto il ruolo dei sogni nei panni di Linda Ash in La dea dell’amore e la libertà che mi ha dato per creare il ruolo è stata eccitante. Non siamo mai stati amici intimi, non si è mai comportato in modo inappropriato con me e non ho mai sperimentato quello che tu hai descritto. Ma questo non scusa la mia cecità verso una storia che speravo non fosse vera. È difficile denunciare i propri eroi, i propri benefattori, verso i quali hai un debito di gratitudine per la tua carriera. A dicembre ho chiamato tuo fratello Ronan, raccontandogli la mia esperienza con Harvey Weinstein. Gli ho detto come mi sentivo sollevata nello scoprire che molte persone mi avevano offerto il loro sostegno man mano che emergevano i dettagli delle molestie contro di me. Gli ho detto che volevo saperne di più di te e della tua situazione. Mi ha indicato dettagli della storia che fino ad allora mi ero rifiutata di conoscere e ho scoperto l’esistenza di prove a supporto della tua storia. Ho capito che stavi dicendo la verità. Mi dispiace, Dylan! Non posso immaginare come ti sia sentita tutti questi anni guardando colui che aveva ferito i suoi figli, mentre veniva applaudito da tutta Hollywood, me compresa. Come madre e come donna, questo mi spezza il cuore. Siamo in un’epoca in cui ogni cosa deve essere riesaminata. Questo tipo di abuso non può più essere permesso. Se questo significa tirar giù dal piedistallo gli antichi dei, così sia. Non lavorerò più con lui”.

Il #metoo non è solo il movimento di chi ha trovato il coraggio di parlare; se le vittime hanno innescato la miccia, il vero combustibile che tiene accesa la fiamma del movimento sono tutti/e coloro che non si ritraggono in un luogo oscuro e profondo dell’anima, ma accettano di farsi spezzare il cuore e continuano ad ascoltare.

 

fonte dell’immagine

Oggi in parecchi si chiedono angosciati quali terribili ripercussioni avrà lo scoop del New York Times sul movimento #metoo.

La mia personale opinione è che ne avrà molto poche.

Quelli/e che oggi che annunciano la morte del #metoo, come Natalia Aspesi, sono coloro che il #metoo non l’hanno mai potuto soffrire, che non l’hanno mai veramente compreso.

Ma le donne che lo hanno reso il fenomeno che è stato, tutte “le operaie, le commesse, le segretarie” che Aspesi ha fatto finta di non vedere, ignoreranno le loro certificazioni di decesso proprio come hanno ignorato gli anatemi dei mesi passati.

 

Sullo stesso argomento:

#MeToo founder Tarana Burke says ‘there is no model survivor’ after Asia Argento report

Sorrideremo un po’, perché ci fa bene

I porci e le loro alleate fanno bene ad agitarsi

 

Poscritto: non pubblico commenti che contengono valutazioni sulla colpevolezza e/o innocenza di Asia Argento o commenti che disquisiscono sulla credibilità di Jimmy Bennet.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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22 risposte a La presunta morte del #metoo

  1. Shonagh Mc Aulay ha detto:

    Another excellent commentary. Well said. Shonagh

  2. bob ha detto:

    Avital Ronell
    Cristina Garcia
    Andrea Ramsey
    Timoty Heller

  3. bob ha detto:

    Ok.
    Ah, ah, ah, sei senza vergogna.

  4. andrea c. ha detto:

    Non è morto il MeToo, ma è defunta la presunzione di innocenza(con tanto di epurazioni basate sul gossip, senza bisogno di prove), anche per le donne(Asia Argento è donna, ma è stata affossata con lo stesso metodo usato contro Weinstein e gli altri uomini). Ne è valsa davvero la pena? la perdita di un diritto(il diritto alla presunzione di innocenza, con l’onere della prova spettante a chi accusa) per tutti(donne comprese)è davvero una conquista?

    • Che sciocchezza. Né Weinstein né Argento sono in prigione, da quel che so; la presunzione d’innocenza è un principio giuridico e non dovrebbe essere invocato al di fuori dell’ambito che gli compete.

      • andrea c. ha detto:

        Se fosse solo gossip inoffensivo avresti ragione tu, ma mi sembra che queste gogne mediatiche abbiano un effetto abbastanza pesante sulla vita delle persone colpite. Per fare un esempio, Kevin Spacey ha perso il lavoro, non recita quasi più…per cosa?è stato condannato per violenza sessuale?No
        è imputato in un processo penale? neanche.
        Ha perso il lavoro solo perchè 32 anni fa(quando era anche lui un ragazzo di 26 anni, non ancora famoso) ci ha provato con un 14enne. Non l’ha violentato, ci ha solo provato, senza obbligarlo a far niente!

        E come Kevin Spacey tanti altri hanno perso il lavoro a causa di gossip.Queste sono le grandi conquiste del MeToo!

        Vorrei che mi spiegassi in che modo stroncare carriere professionali tramite gossip avrebbe migliorato la vita delle donne?
        Anche se a perdere il lavoro fossero solo uomini, non vedo che vantaggio ci sarebbe per le donne(Kevin Spacey non è che sia srato rimpiazzato da una donna), ma ora che Asia Argento ha dimostrato che il tritacarne mediatico non risparmia neanche le donne, è ancora più assurdo!

      • Le cose non stanno proprio come le racconti tu: le accuse contro Kevin Spacey sono parecchie: https://www.ilpost.it/2018/04/12/kevin-spacey-indagato-molestie-sessuali/
        https://www.ilpost.it/2018/07/04/kevin-spacey-3-nuove-accuse/
        Il vantaggio, nell’allontanare le persone che toccano in modo inappropriato e fanno battute sgradevoli, caro Andrea, è che questa scelta migliora la qualità della vita di tutti.
        Per ciò che riguarda le interazioni sessuali fra adulti e adolescenti, sebbene siano molti gli italiani che le considerano accettabili (https://www.savethechildren.it/press/interazioni-sessuali-tra-adulti-e-adolescenti-accettabili-il-38-cento-degli-italiani-siano), occorre sottolineare che questa convinzione si fonda sulla base di premesse del tutto errate: questi adulti si raccontano di giovani precoci e spregiudicati e irresponsabilmente ignorano il fatto che le prime sperimentazioni condizioneranno pesante la vita sessuale futura dei giovanissimi.

      • andrea c. ha detto:

        Non è che tante accuse fanno automaticamente una prova!

        “Il vantaggio, nell’allontanare le persone che toccano in modo inappropriato e fanno battute sgradevoli, caro Andrea, è che questa scelta migliora la qualità della vita di tutti”
        Che vuol dire “toccare in modo inappropriato”? e chi decide se una battuta è sgradevole o meno?
        Mi sembra tutto molto vago!
        Poi personalmente non vedo il vantaggio di applicare regole di bon ton indistintamente a tutti i contesti lavorativi.

        Sarei d’accordo se si dicesse che giova a tutti allontanare i molestatori sessuali seriali(e non solo sessuali, anche chi fa mobbing), ma vorrei che fosse fatto sulla base di prove(prove inequivocabili), così rimane sempre il dubbio che persone allontanate con modalità simili a quelle con cui è stato boicottato Kevin Spacey, siano state vittime di calunnia!

      • Forse è vero che tante accuse non sono una prova, ma sono di sicuro la prova che molti colleghi di lavoro non gradiscono lavorare con l’accusato.

    • Antome ha detto:

      Ciao Andrea, mi sembra un’osservazione in buona fede. Da quanto ha detto Ricciocorno e anche da quanto si legge nei notiziari con Weinstein non è la stessa cosa, si trattava di molteplici testimonianze e di denunce dirette. In questo aggiornamento, però https://tg24.sky.it/mondo/2018/08/22/tmz-sms-asia-argento-bourdain.html?intcmp=tg24_exit-popup , sembrerebbe che il legale di Bennett affermi che il sesso ci sia stato, poi un sito di gossip avrebbe pubblicato dei selfie con loro due a letto e dei messaggi in cui confermerebbe di aver fatto sesso.
      Ma anche che lui sognasse di farlo dai 12, se vogliamo attenerci. Certo il punto rimarrebbe che lui è minorenne. Ma poi secondo questa ricostruzione, versando in difficoltà economiche l’abbia ricattata. Se questo è vero, mi domando comunque come questi messaggi siano stati ottenuti, ma vabbè da che gossip è gossip, sono domande da un milione.

      Strano piuttusto che Bennett abbia voluto smentire, in quanto in teoria ha già ottenuto i soldi e confermando quest’idea confermerebbe comunque un’immagine meno lusinghiera che se non l’avesse smentita, come che gli fosse piaciuto ma che ha poi voluto ricattarla per soldi, piuttosto che solamente uno che li ha chiesti per motivi economici.
      Questi soldi inoltre sarebbero stati dati per conto di Bourdain, il suo ex compagno, suicida a Giugno.

      Ma quando si tratta di un minore certamente può, o almeno potrebbe, il sesso con un adulto, provare psicologicamente nel lungo termine, possibile quindi, se fosse vero, che la sua carriera abbia risentito per quello?
      Ora il pensiero sembra essere che siccome lei sarebbe un’ipocrita, allora deve esserla piaciuto con Weinstein e fosse in cerca di soldi come Bennett con lei. Però lei non ha chiesto soldi per il silenzio, ha, seppur tardivamente, denunciato.

      Per ricciocorno, sì e no, penso, nel senso che la vittima va ascoltata e le va espresso solidarietà. Dall’altro, se non rigidamente come a livello giuridico, c’è l’evenienza che qualcuno voglia infangare una persona per precisi interessi e ne va tenuto conto. Il fatto è che se ho ben capito per Weinstein c’erano parecchie testimonianze.
      Ammesso anche fosse, che l’invito alla moderazione sul Me too, il non trasformarsi in una caccia alle streghe, espresso in modo equilibrato (anche se non si è d’accordo) da Severgnini, e molto più sciovinisticamente da altri, fosse una preoccupazione valida, che il messaggio sia stato distorto dai meccanismi mediatici della popolarità, ammesso e non concesso, questo qualcosa, poi si può discutere sulle modalità era ed è una campagna necessaria a portare una sensibilizzazione sul tema delle molestie sul lavoro, da parte dei superiori, del ricatto di carriera da parte dei produttori. Un qualcosa che sarebbe dovuto agitarsi da molto prima, a volte non ci si pensa, vista la serietà del tema, per quanto tempo queste molestie e ricatti fossero un dato accettato, nella cultura popolare, a livello di narrativa (il lettino del produttore, playboy, etc).

      • bob ha detto:

        Riassumendo il tuo bellissimo, ma lunghissimo, post:
        Se un quarantenne va con una di 17 anni è un porco (e pure para-pedofilo)
        Se una quarantenne va con uno di 17 anni bisogna interpretare la situazione.
        Chiaro e semplice, direi.

      • Antome ha detto:

        Ti riconosco una certa fantasia caro Bob ;).
        E’ altrettanto grave per entrambi, anche se fosse che la persona minorenne in questione ci sia stato.
        Vero è che la cultura vigente minimizza molto quando accade al minorenna maschio. Vedi pure Natalia Aspesi https://www.vanityfair.it/news/approfondimenti/2018/08/21/asia-argento-natalia-aspesi-molestie
        “Senta: questo Jimmy Bennett aveva 17 anni, era in piena baldanza ormonale, faceva un lavoro che gli aveva offerto chissà quante possibilità amatorie. Un giorno gli capita nel letto una signora famosa e bella.” e la genialata
        “Esclude che sia rimasto «traumatizzato?
        Per essere andato a letto con una bella signora? Lo escludo, a meno che non sia gay.” Praticamente ha fatto il giro di 360° per ritrovarsi d’accordo coi famigerati carabinieri xD.
        Certo si spiega con la cultura passata che qui descrive, ma per l’occasione deve averla anche fatta sua “In Italia, fino a pochi anni fa, i padri prendevano il figlio 14enne sottobraccio e lo portavano nel casino, perché delle esperte signore a pagamento lo svezzassero ben bene. Era una pratica familiare.”
        Quindi che c’entra, era l’educazione patriarcale al sesso come uno svezzamento per gli uomini, una prima volta da ridurre all’esperienza con una prostituta, come una prova di forza, dove per le donne bisognava aspettare il principe azzurro, ne va dell’onore. Davvero lo usa per dimostrare la prima affermazione?
        “Una donna va con un uomo, affascinata anche dal potere che vede in lui. Perché per quanto vogliamo dimenticarlo, noi donne amiamo gli uomini importanti”
        “-Il potere erotizzante-.
        Certo. Pensi a Picasso, uno che faceva schifo ma era circondato da donne bellissime e innamorate perse di lui. O pensi al nostro Fausto Brizzi. Uno che oltre che essere importante non era neanche male fisicamente…”
        Argomenti che non mi sarei aspettato, anche perchè molte lettere di Questioni di cuore, sembrano decisamente smentire quest’idea.
        Nessuna analisi del potere e delle dinamiche. Molto strano.
        Strano a dirsi nonostante questo
        “Il #MeToo è morto per altro. Per esempio perché ha parlato soltanto di donne famose, che se non la davano al produttore di turno al massimo perdevano lo status di diva. Ha ignorato le operaie, le commesse, le segretarie, quelle donne che rischiano di perdere il lavoro e non mangiare più”
        Mi vuol fare la “rossobruna”?, la dinamica era la stessa, agli uomini non toccava.

      • andrea c. ha detto:

        Ripeto quello che ho già scritto, tante accuse non fanno una prova!
        Non è dal numero di accuse che si giudica la colpevolezza di una persone, ma dalla consistenza delle prove.
        E questo è un semplice principio di buonsenso, che non dovrebbe valere solo in tribunale, ma anche fuori, perlomeno laddove certe accuse possono avere conseguenze gravi sulla vita delle persone accusate.

        ” era ed è una campagna necessaria a portare una sensibilizzazione sul tema delle molestie sul lavoro, da parte dei superiori”

        Ti faccio notare che le leggi contro le molestie sessuali(e non solo sessuali) sul lavoro, sia in Italia che in America, esistevano già da molto prima del MeToo.
        Le vittime di molestie sul lavoro avevano già tutti gli strumenti legali con cui difendersi dalle molestie.

        Ma la maggior parte delle sedicenti vittime venute fuori col MeToo hanno rinunciato volontariamente a difendersi con strumenti legali( le donne che hanno fatto causa contro Weinstein sono pochissime in confronto a quelle che lo hanno “denunciato” sui giornali), preferendo la “macchina del fango” mediatica alla giustizia!

      • Antome ha detto:

        Interessante, perchè emerge quello che apparentemente differenzia le rispettive posizioni.
        La tua obiezione sembra avere un senso, soprattutto con un solo testimone contro uno. Dovresti capire che ovviamente se esordisci in questo modo davanti a campagne di sensibilizzazione, potresti apparire antipatico e gatekeeper dello status quo, quello che dalla posizione di chi non è toccato da cose come molestie, va a sminuire tutto ciò che gira intorno a queste tematiche come caccia alle streghe, colpevolizzare la vittima. Voglio però riconoscere che questo non è il tuo intento e poi purtroppo in questo mondo troppo polarizzato, posizioni come anti metoo appaiono rozze e menefreghiste alle femministe, posizioni vagamente su tema femminista appariranno giacobine e vittimiste a mra, però questo è un velo che si deve squarciare.
        E’ vero che le molte accuse non hanno lo stesso valore esatto di molti testimoni, in quanto non sono più persone che hanno assistito allo stesso singolo crimine, ma alla stessa tipologia di crimine verificatasi di cui sono state vittime. Va considerato il possibile movente per dire ciò, ma queste testimonianze contano eccome.
        Le denunce a mezzo stampa possono esserci perchè non tutti hanno i mezzi legali e non si sa quanti testimoni avranno il coraggi di venire fuori. Inoltre proprio perchè non sono a mezzo legale, forse si può sgombrare il campo dall’idea che tutte quante vogliano soldi.
        “Ti faccio notare che le leggi contro le molestie sessuali(e non solo sessuali) sul lavoro, sia in Italia che in America, esistevano già da molto prima del MeToo.
        Le vittime di molestie sul lavoro avevano già tutti gli strumenti legali con cui difendersi dalle molestie. ”
        Non immaginavo che volessi mettere in discussione lo spirito stesso dell’idea e mi duole che le posizioni sembrino più distanti, ora.
        Proprio perchè come hai detto, è difficile denunciare da soli, perchè giustamente una parola non basta, Metoo è l’idea di una class action, sapere che un’altra persona che ha subito lo stesso aggiungerà la sua di testimonianza.
        Saprai che c’era una folta rete di connivenze e coperture, in quel sistema.
        Mi dispiace che di tutti i problemi che ho esposto “Ammesso anche fosse, che l’invito alla moderazione sul Me too, il non trasformarsi in una caccia alle streghe, espresso in modo equilibrato (anche se non si è d’accordo) da Severgnini, e molto più sciovinisticamente da altri, fosse una preoccupazione valida, che il messaggio sia stato distorto dai meccanismi mediatici della popolarità, ammesso e non concesso, questo qualcosa, poi si può discutere sulle modalità era ed è una campagna necessaria a portare una sensibilizzazione sul tema delle molestie sul lavoro, da parte dei superiori, etc.”
        non dai risposta ma ti limiti a dire perchè non andrebbero affrontati in questo modo, sostanzialmente dicendo che avrebbero dovuto denunciare prima.
        E ti premetto che se riguardasse un semplice complimento o delle avance se non ripetute dopo il rifiuto, io non sarei d’accordo, nel definirle molestie anche se da parte del superiore può risultare una implicita concussione, dipende anche da cosa c’è in gioco al momento. E che le molestie sono gravi ma non sono stupro, anche se sono gradini diversi della stessa scala.
        Però mi scuso se ho detto male, può essere il mio coinvolgimento, ma vorrei la discussione al tempo stesso logica e non fredda, garantista per vittime e accusati, se suggerisci i modi in cui si può denunciare un produttore che richiede tali scambi senza risultare in cerca dei suoi soldi. Che alternativa ci sarebbero alle molteplici testimonianze. Lo dico senza provocazione, perchè non me ne intendo.
        Si sa che esistono anche i processi indiziari e sono spesso basati su testimonianze.

      • Livia ha detto:

        Ecco l’Antome che mi garba 🙂 , anche se sei troppo comprensivo con i tuoi simili, concedendogli l’ingenuità, la buona fede … ma capisco i buoni propositi..
        “Dovresti capire che ovviamente se esordisci in questo modo davanti a campagne di sensibilizzazione, potresti apparire antipatico e gatekeeper dello status quo, quello che dalla posizione di chi non è toccato da cose come molestie, va a sminuire tutto ciò che gira intorno a queste tematiche come caccia alle streghe, colpevolizzare la vittima. Voglio però riconoscere che questo non è il tuo intento”
        … li accompagni proprio a manina verso uno straccio di consapevolezza 😉 va bene così 🙂

        Non fa meraviglia che siano maschi a farsi venire questi pruriti sulla “presunzione d’innocenza” che fino a un secondo prima che gli venisse toccato il loro privilegio dalla protesta corale e inarrestabile del #metoo gli interessava poco o nulla. Ci son donne che li ripetono, come con altri discorsi maschili, credendo di poter essere valutate e trattate meglio dal padrone, ma per lo più, l’obiezione del “ma la presunzione di innocenza?”, “ma i tribunali” (“E le foibe!?” aggiungerei) viene da chi, da quei tribunali ha tutto da guadagnarci perchè fondati per difendere il loro privilegio.
        Comunque, non c’è tanto da indorare la pillola con giri di parole: chi non sta esplicitamente dalla parte delle donne che trovano il coraggio di dire da chi hanno subito violenza, sta esplicitamente dalla parte degli stupratori, della dominazione maschile.
        Il #metoo ha avuto (e avrà ancora) il merito di sgombrare il campo dai sofismi patriarcali e mettere tutti di fronte a una scelta di campo:
        Stai dalla parte del patriarcato o dalla parte delle donne che stanno cercando di demolirlo per costruire finalmente una società diversa da quella fondata sulla dominazione e la sopraffazione?
        Perchè non bisogna dimenticare, ribadisco (perchè pure tu, un maschio consapevole di quello che è, come, pare, il più delle volte dimostri di essere, su questo fai fatica a prendere una posizione netta e conseguente), che in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/18/abusi-sessuali-in-tribunale-le-vittime-non-trovano-ne-giustizia-ne-solidarieta/2474827/ e la rivolta delle donne prima o poi investirà anche questo bastione del potere maschile: la giustizia patriarcale https://medium.com/@CoseIberiche/la-rivolta-delle-donne-spagnole-contro-la-giustizia-paternalista-60707241034
        O vogliamo credere, sul serio, che la classe sessuale maschile che domina da millenni quella femminile attraverso lo stupro e la violenza abbia prodotto una giustizia “oggettiva e imparziale”, nelle sue istituzioni e procedure?
        Vogliamo credere che questa sia una questione di dettaglio?
        Davvero?
        Qui sta il punto della questione: quanto sono ipocriti quei commenti che attaccano una lotta delle donne, il #metoo, misurandola dal punto di vista “della giustizia e delle pene” che dovrebbe passare solo per tribunali patriarcali?
        Quindi permettimi una osservazione, Antome, perchè le ipocrisie da gatekeeper dello status quo sono così pervasive e sottili che spesso si insinuano e inquinano anche risposte sostanzialmente corrette come la tua.
        “Le denunce a mezzo stampa possono esserci perchè non tutti hanno i mezzi legali e non si sa quanti testimoni avranno il coraggio di venire fuori. Inoltre proprio perchè non sono a mezzo legale, forse si può sgombrare il campo dall’idea che tutte quante vogliano soldi.”

        Non è questo il punto. Anche questo, certo, dato che le donne subiscono tra le mille discriminazioni anche quella economica (gender gap) e quella di essere prese meno sul serio di un maschio. Ma non è questo il punto centrale per rispondere a chi attacca il #metoo strumentalmente partendo da ipocriti pruriti garantisti.
        Se fosse per i mezzi economici per un processo, un movimento organizzato delle donne come è quello femminista oggi, saprebbe come procurarli per permettere a un tribunale che fosse emanazione di una società giusta di fare giustizia.
        Il punto è che non è passando per i tribunali che si otterrebbe un giudizio che tenga conto del reale rapporto di forza tra classi sessuali e quindi attraverso le sentenze, un contributo valido alla consapevolezza sociale della portata, di ciò che è solo la dell’iceberg ciò che il movimento #metoo ha portato all’attenzione dei media del nervo della dominazione maschile sulle donne: la violenza sistematica diretta al corpo della donna per demolire la percezione della donna di sè verso sè stessa (mi sento libero di molestarti perchè tu sei oggetto, tu non vali, tu non sei cittadino di questa società), ma soprattutto come attore sociale. E come ci ricorda IDA https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2017/10/03/a-nome-di-tutti-gli-uomini/comment-page-1/#comment-30011 solo col femminismo le donne cominciano ad avere la possibilità di imprimere dei mutamenti nella millenaria società patriarcale.
        Inoltre un discorso “Le denunce a mezzo stampa possono esserci perchè non tutti hanno i mezzi legali e non si sa quanti testimoni avranno il coraggio di venire fuori.” presta il fianco anche a un discorso (fallace ma insidioso) standard tra gli MRA secondo cui l’essere creduti o meno nell’accusare o nel difendersi dipenderebbe non dal sesso ma dalla differenza gerarchica (nella nostra società corrisponde a quella economica), per cui la donna che denuncia una violenza da parte di un maschio di ceto inferiore sarebbe creduta, mentre quella che denuncia un maschio più potente no. Insomma, soliti sofismi per negare l’originarietà del dominio tra sessi prima di qualunque altra forma di sopraffazione, e se noti la (ridicola) argomentazione “Argento potente verso il 17enne come Weinstein con lei perciò pari e patta palla al centro” punta proprio a negare quella originarietà e quindi lo squilibrio nei rapporti di potere tra sessi, e in definitiva, il dominio maschile sulle donne attraverso lo stupro e la violenza sistematica.
        Il punto, pertanto, è che i tribunali non dispongono dell’impianto giuridico per giudicare la portata, i danni, gli scopi della violenza maschile, ovvero valutarla (se va bene) come una violenza che ha come base d’appoggio qualcosa di più del potere personale di quello o quell’altro stupratore.
        Ci sono abbozzi, come la Convenzione di Istanbul, guarda caso osteggiatissima, che parte dal FATTO incontestabile per chiunque abbia occhi non velati dall’ideologia patriarcale, che la società come la conosciamo è frutto della dominazione violenta dei maschi sulle donne, ma questi abbozzi devono ancora permeare bene il mondo giuridico.
        Alla fine se ci pensi bene, caro Antome, logicamente, la validità della tua risposta al gatekeeper dello status quo, si basa sul riconoscimento di questo FATTO, ovvero che nulla, nelle istituzioni della società attuale si sottrae allo scopo di dominazione per cui è stato creato, e che il negazionismo su questo FATTO nella nostra società patriarcale, incancrenito nella stragrande maggioranza dei tuoi simili, è la vera ragione per cui la denuncia della singola donna presso un tribunale finirebbe con una ulteriore violenza per la donna senza alcuna risonanza mediatica se non quella che come femministe potremmo dare all’ennesima sentenza patriarcale.
        E’ importante quindi, quando smasch(i)eri i maschi che strumentalmente si appellano a ridicoli principi giuridici nati a uso maschile e fatti passare per “buoni per tutti” per delegittimare il #metoo come in generale il femminismo, che tu mantenga bene il centro dell’argomentazione sui FATTI, la dominazione maschile sulle donne attraverso l’esercizio sistematico della violenza, lasciando che la conseguente risposta negazionista si auto-riveli in tutta la sua ridicola ipocrisia.

  5. IDA ha detto:

    Se Asia Argento non testimoniava il caso Weinstein ci sarebbe stato lo stesso. Perché ci sono diverse testimonianze e denunce. Non solo, Weinstein, in tre casi ha patteggiato, evitando il processo. Non è stata asia Argento, non è stato Il #metoo, a creare il caso Weinstein.
    Si parla di un sistema che lui aveva creato, non di una molestia. Tarantino il regista, ci dice che Weinstein con lui si era più volte vantato di fare “terra bruciata” intorno ad assistenti, segretarie e attrici che si rifiutavano.
    il sistema Weinstein, è un’eccezione o una regola, nel mondo del lavoro per una donna?
    Il #metoo ha dimostrato che è una regola, che non esiste solo il sistema il Weinstein ed è un problema molto vasto che riguarda tutti i settori, dalla raccolta dei pomodori al mondo del cinema.

    Fai clic per accedere a statistica-report-MOLESTIE-SESSUALI-13-02-2018.pdf

    Quasi nessuna di queste donne che subiscono molestie e ricatti sessuali sul lavoro fa denuncia, i motivi sono vari e sono elencati a pag. 14.
    La solitudine della vittima e l’omertà garantisce l’immunità al molestatore, il quale può contare anche sulla complicità e solidarietà del mondo esterno.
    https://27esimaora.corriere.it/18_febbraio_14/molestie-lavoro-complicita-chi-uomini-donne-finge-che-non-esistano-58a1c352-11c7-11e8-9c04-ff19f6223df1.shtml

    Ricordo anche che le molestie e i ricatti sul posto di lavoro, spesso sono degli abusi di potere, persone che usano in maniera distorta del proprio ruolo della propria carica. Le vittime sono intimorite o minacciate in maniera più o meno esplicita.
    Il molestatore ha la complicità del mondo esterno, le vittime no, non sono credute, la loro vita intima viene calpestata e umiliata, la loro professione subisce un arresto irrecuperabile e allora diventa comprensibile del perché la maggioranza preferisce star zitta e non muovere nessuna azione legale. Il #metoo, ha dato voce a queste donne, le ha fatte uscire dalla loro solitudine e dalla vergogna.

    Caso Weinstein: perché proprio non ce la facciamo a credere alle donne

  6. Alessiox1 ha detto:

    Comunque solo i tribunali possono mettere le persone in galera e decidere chi sia colpevole o innocente , certo le donne fanno bene a denunciare ma quando parliamo di più donne che denunciano un singolo uomo okay ma quando una singola donna accusa un singolo uomo per un evento avvenuto dopo 30 anni…….senza prove sono solo due persone una che accusa e un altra che si difende e non sappiamo chi dice la verità e chi no.

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