Questa è la vera storia del viaggio di una donna musulmana alla scoperta del vero significato dell’Hijab

Una traduzione da My Hijab Story

hijarbie

Ho sempre saputo che questo sarebbe stato un percorso che avrei intrapreso. In un primo momento ero un po’ titubante, perché sapevo che le cose sarebbero cambiate, ma poi ho deciso che era la decisione giusta da prendere.

Così il 1 ° gennaio 2004 il mio viaggio è iniziato e finalmente ho deciso di mettere l’Hijab. Ogni ragazza che indossa l’hijab si trova ad affrontare ogni sorta di ostacoli. Per alcune è la famiglia che non vuole che lo indossino, ad altre crea problemi di autostima, altre ancora hanno dubbi in proposito. La sfida che io ho affrontato è la stessa che molte altre hanno dovuto affrontare.

Frequentare una scuola superiore nella quale ci sono pochissimi musulmani e dove siete le prime persone musulmane che la maggior parte degli studenti ha mai incontrato, non è stato facile. Per un adolescente integrarsi è la cosa più importante della scuola superiore. Non avere amici al liceo è un’esperienza che ogni adolescente cerca di evitare. Così, ho cercato di essere come loro. Qualunque fosse l’ultima tendenza, io l’ho seguita. Non solo, avevo bisogno di tenere il passo con i sempre nuovi standard di bellezza.

Guardarmi allo specchio significava cercare di individuare tutte le cose sbagliate in me che dovevo cambiare. La mia autostima dipendeva dal make-up che indossavo. Ma soprattutto, non avevo modo di nascondere il fatto che non ero come gli altri a scuola. Ero imbarazzata e mi capitava spesso di chiedermi perché dovessi essere così diversa. Così, ho trascorso quel periodo a scuola alle prese con la mia identità, cercando di rispondere alla domanda “chi sono veramente?”. La verità è che mi sentivo estremamente sola.

Se ora mi guardo indietro, comprendo che ero così imbarazzata in merito a chi ero solo perché non avevo ancora compreso del tutto l’Hijab. Pensavo che l’Hijab riguardasse unicamente la modestia. Pensavo che l’Hijab servisse solo proteggere le donne dallo sguardo degli uomini. Ma, purtroppo, la mia era una conoscenza molto superficiale e bidimensionale dell’Hijab. Quando ho iniziato l’Università e a studiare seriamente la mia religione, qualcosa è accaduto.

Mi sono innamorata.

Mi sono innamorato dell’Hijab, perché ho capito che non era semplicemente un pezzo di tessuto drappeggiato sul mio corpo per nascondere la mia bellezza e conservare la mia modestia. E’ una manifestazione fisica della mia sottomissione e del legame con il mio Signore. Una rappresentazione esteriore della mia spiritualità interiore.

Quando ho imparato il fondamento dell’Hijab nel Corano, sono rimasta a bocca aperta. Non solo ha frantumato la mia poco profonda comprensione dell’Hijab. Mi ha dimostrato che Dio aveva convalidato la mia bellezza. Quindi, avevo bisogno di sfruttare al meglio le opportunità e le benedizioni che mi venivano donate. Sapere questo mi ha davvero spinto a migliorarmi costantemente e ha fare fare in modo che le mie azioni e il mio carattere fossero in linea con gli insegnamenti dell’Islam.

Ma abbiamo bisogno di capire che, indossando l’hijab, non sto dichiarando: “Io sono l’Islam”. Piuttosto “Sono una musulmana”. Che significa: sono una persona che sta cercando di seguire questa religione, perché la accetta come verità, vede la bellezza in essa e spera di diventare bella grazie a lei.

In definitiva, nessuno è perfetto. In quanto esseri umani, siamo creature fallibili. L’hijab non ti rende un essere umano più perfetto o più giusto. Piuttosto, si tratta di un richiamo costante al continuare nello sforzo di eccellere nel vostro sviluppo personale e spirituale.

Ricordate, non importa quanto oscuro il mondo possa diventare, siate come quella stella che brilla e illumina la strada affinché anche gli altri la vedano.

 

Molte persone non capiscono il significato o lo scopo del Hijab. Questo può essere un grande ostacolo da superare, soprattutto per le donne musulmane.

Questa è la vera storia del viaggio di una donna musulmana alla scoperta del vero significato dell’Hijab.

mirrorIn questi giorni l’appello di molti riguarda il rispetto della volontà delle donne.

La “libera scelta” è l’argomento prediletto di chi non vuole affrontare un argomento assumendo una prospettiva di genere. A sentire questi paladini dell’autodeterminazione, sembrerebbe quasi che il mondo giri grazie alla volontà delle donne.

La prostituzione? Le prostitute “la scelgono”, quindi non c’è altro da dire in proposito. La surrogacy? Le donne “scelgono” di partorire figli per altri ed ogni altra considerazione sull’argomento è un’attacco alla loro libertà di scelta. La violenza domestica? Non è forse vero che quel partner te lo sei “scelto”, che hai “scelto” di tenertelo? Che cosa si può commentare se non che sei corresponsabile del dolore che quella tua sciagurata scelta ha comportato?

“La scelta” non ammette discussioni, vuole il silenzio, perché il silenzio è rispetto, e noi non vogliamo sembrare irrispettosi, giusto?

Dietro ogni scelta c’è una storia, questa è la storia di una donna e non pretende di essere la storia di tutte le donne che indossano l’Hijab.

E’ la storia di una grande sofferenza che si accoccola dentro il suo Hijab come Linus nella sua coperta. La storia di una donna che non riesce ad amare se stessa, ma può amare la stoffa che la avvolge.

Abbiamo il diritto di impedire a questa donna, magari con una bella legge, di vivere nel modo che ha scelto, strappandole quel pezzo di stoffa?

Ovvio che no. Sarebbe crudele.

Ma come lei ha preso la parola e ha raccontato la sua storia per illuminare la strada di altre donne titubanti (sono soprattutto le donne, quelle titubanti… forse perché gli uomini non devono indossare l’Hijab?) e condurle verso il “suo signore”, credo che ognuno di noi, musulmano o non musulmano, possa prendere la parola per illuminare altre strade, altre scelte possibili.

Gli aspetti di questa storia che vorrei sottolineare sono cinque:

  1. la modestia: l’Hijab non riguarda unicamente la modestia, quindi ha anche a che fare con la modestia;
  2. lo sguardo degli uomini: l’Hijab non esiste solo per proteggere le donne dagli sguardi degli uomini, ma è lì anche per proteggere le donne dagli sguardi degli uomini, perché gli uomini, “che lo confessino o no, sono schiavi della lussuria e del desiderio“.
  3. la sottomissione: l’Hijab è un atto di “sottomissione” a dio, un atto che compiono solo le donne;
  4. la bellezza: il filo rosso che sottende il viaggio di questa donna verso l’Hijab è la bellezza, intesa come fine ultimo da raggiungere, in un modo o nell’altro;
  5. la solitudine: causata dal non essere come gli altri in un modo impossibile da nascondere, la solitudine si risolve nel legame con Dio.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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80 risposte a Questa è la vera storia del viaggio di una donna musulmana alla scoperta del vero significato dell’Hijab

  1. Paolo ha detto:

    non sono sicuro che la bellezza che questa ragazza è convinta di ave trovato sia solo esteriore, mi pare però evidente che si sia rifugiata nella religione e nell’hijab per non affrontare le sue insicurezze forse legate non solo al suo aspetto ma al fatto di essere “straniera” o figlia di migranti musulmani in una classe di non mussulmani.
    Insomma ben venga la bellezza e la sua ricerca che non riguarda solo le donne, ma spererei avvenisse in maniera più laica e secolare e sana.
    Ora io detesto le religioni ma come sai credo anche nella libera scelta quindi mi trovo in una posizione difficile: penso che la donna che si trucca e ama il make-up sia libera e non è sottomessa, penso lo stesso della ragazza che ama il suo hijab 8lei in effetti è sottomessa a Dio però le piace quindi è un rapporto bdsm consensuale 😉 ) però la ragazza che ama il make-up lascerà figlia libera di amare anche altro e magari non truccarsi, la figlia della ragazza che ama l’hijab avrà la stessa libertà? E’ questo il problema

    • “Che cos’é la bellezza? Una convenzione, una moneta che ha corso solo in un dato tempo e in un dato luogo”, diceva il drammaturgo Henrik Ibsen (spero). Certo che se la bellezza te la convalida dio, probabilmente non dovrai affrontare il problema che possa andare fuori corso.

      • Paolo ha detto:

        se la bellezza te la convalida dio, probabilmente non dovrai affrontare il problema che possa andare fuori corso.” senz’altro. io credo che la bellezza anche solo fisica mashile e femminile sia non solo una convenzione (il fisico di zac efron era bello cento anni fa come oggi e così marylin monroe) ma non vorrei essere off topic

      • Tu lo credi. Quindi è una questione di fede.

      • Paolo ha detto:

        anche noi laicisti senzadio dovemmo pur credere in qualcosa. Comunque il fisico dei bronzi di riace non somiglia a quello di danny de vito

      • Ma ci credi, o pensi davvero che i bronzi possano da soli dimostrare qualcosa? Perché vedi, c’è un mondo oltre il mediterraneo e i divi di Hollywood.

      • Paolo ha detto:

        ” c’è un mondo oltre il mediterraneo e i divi di Hollywood.”

        lo so ma non mi fa cambiare idea sulla questione

  2. Paolo ha detto:

    Lo penso davvero ma c’è anche il David di Michelangelo se è per questo, quello che non c’è è un mondo dove il concetto di bellezza fisica e bruttezza fisica non esiste e sospetto che non ci sarà neanche in futuro

    • Cambiano gli standard paolo, nel tempo e nello spazio. Ma a te non interessa. Ti interessa, però, ribadire che la bellezza esiste, e che è un qualcosa che gli esseri umani non possono stabilire, perché è un’insieme di canoni che arriva da chissà dove.
      Ma questo non è importante, perché che i canoni estetici siano creati dagli uomini per gli uomini o siano stati creati da dio, ciò che emerge da questo testo è che questi canoni sono fonte di sofferenza e lo stato di sofferenza da essi generato rende vulnerabili.
      Comunque così si va troppo O.T. Io ho pubblicato questa testimonianza perché leggo ovunque frasi come questa: “si presume che queste donne indossino un velo perché costrette dai loro uomini” (https://incrocidegeneri.wordpress.com/2016/08/19/le-femministe-ostacolano-le-donne-musulmane-appoggiando-le-leggi-razziste-francesi/), sostenendo che tutte le femministe scettiche sul velo e sulla possibilità di una “emancipazione velata” delle donne si basino su un simile preconcetto.
      Io non la penso così, non ho mai pensato che chiunque indossi il velo sia stata “costretta”, credo fermamente che il velo possa anche essere una “libera scelta”. Ma se il fatto che una scelta sia scevra da ogni coercizione implica che non si debbano costringere queste donne a togliere il velo o il burqini, enunciare la “libera scelta” non basta a chiudere il dibattito, non dovrebbe chiudere il dibattito per le donne. Perché è il confronto in sé, è il dibattito il momento in cui succede qualcosa, in cui le cose cominciano a cambiare.

      • Paolo ha detto:

        il concetto di bellezza fisica sia maschile sia femminile è stabilito da donne e da uomini, quantomeno dalla maggioranza di loro. E causerebbe meno sofferenza se si accettasse serenamente che esistono corpi maschili e femminili (non scheletrici nè obesi) più fisicamente belli di altri e che questo non impedisce a nessuno di avere una vita più o meno felice con sesso, storie d’amore, non impedisce di piacere fisicamente a qualcuno e a se stessi

      • Se “si accettasse” chi? Perché vedi, Paolo, la lontanaza da determinati canoni non è una cosa che provochi in sé e per sé dolore, non è un virus o un batterio o una qualsiasi altra cosa che possa produrre il sintomo delle sofferenza. E’ l’interazione con le altre persone a generare sofferenza.

      • Paolo ha detto:

        non so spiegarmi meglio di così. e sai che non avallo nè bullismo nè offese

  3. Morgaine le Fée ha detto:

    In tutte queste discussioni, si sposta l’attenzione sul diritto di scelta della singola persona anziché sul significato generale del simbolo o del comportamento in sé. Tu puoi essere una donna che coscientemente, liberamente, sceglie l’hijab, ma che significato ha l’hijab in generale per le donne e la loro emancipazione? Il punto é questo.
    Mi ricorda una discussione che ebbi a suo tempo con un altro italiano che vive in Svezia. Qui la legge incoraggia (ma non coerce, per la precisione!) entrambi i genitori a dividere il congedo genitoriale. Per motivi economici, per loro sarebbe stato meglio far fare tutto il congedo alla moglie. Naturalmente la loro decisione era libera e al momento vantaggiosa. Tuttavia, sul medio e lungo termine la sistematica decisione di lasciar prendere tutto il congedo al coniuge economicamente piú debole, che di solito é la donna, arriva a danneggiare le pari opportunitá lavorative e sociali per le donne su scala nazionale. È quindi questa una scelta positiva per le donne? No. Lo é per la singola donna/famiglia al momento, ma non in generale.
    Lo stesso vale per il velo (o la prostituzione, o molte altre “scelte”, piú o meno libere).

    Su tutti gli altri aspetti del velo, esiste un’intervista molto interessante ed esauriente fatta da Maryam Namazie (attivista iraniana per i diritti umani) a Marieme Helie Lucas (sociologa algerina):
    http://fitnah.org/fitnah_articles_english/interview_M_H_Lucas.html
    (L’intervista é in inglese. È lunga, ma merita)
    Il background culturale e sociale delle due donne le pone al di sopra di qualunque accusa di “imperialismo e colonialismo occidentale” sull’argomento. La loro esperienza personale le rende, al contrario, molto qualificate per parlarne.

    • Infatti: “ma che significato ha l’hijab in generale per le donne e la loro emancipazione?”
      Se ci soffermiamo su un dettaglio, ovvero quella funzione dell’Hijab che concerne lo sguardo dell’uomo, ci rendiamo conto che per quanto questo aspetto possa essere ininfluente per la singola persona, di fatto la sola presenza dell’Hijab corrobora la teoria che descrive l’uomo come la vittima di un istinto sessuale incontrollabile che lo porta – a prescindere dalla sua volontà – a molestare la donna troppo scoperta. Il che, dovremmo avere il coraggio di ammetterlo, può limitare la libertà di chi non vuole coprirsi.
      Allora se noi donne “occidentali” dobbiamo metterci in ascolto della voce di quelle che vogliono indossarlo per rispetto alla dignità individuale di ciascuna di loro, anche loro dovrebbero fare lo sforzo di comprendere lo sgomento di una donna “occidentale” che ha lottato per anni contro questo genere di giustificazioni alla violenza e ha paura che un abbigliamento del genere possa rappresentare per tutte le donne un pericolo passo indietro nella battaglia ancora tutta da combattere contro la cultura dello stupro.
      Sulla base di questo ascolto reciproco si può aprire un dibattito serio, mentre arroccandosi dietro la libertà di culto si uccide il dialogo.

  4. stefano ha detto:

    Però non capisco in quale ambito si liquidi il dibattito con l’argomento della libera scelta. Soprattutto nelle opinioni delle donne che a vario titolo si sono espresse, fra chi a favore o contro, non vedo questa direzione.

      • Prendiamo l’incipit dell’articolo di Lia Celi. Lei inizia così: «Uff, ancora ‘corpo delle donne’!», ha brontolato mia figlia, 18 anni e femminista, davanti all’ennesimo servizio del telegiornale sul burkini.
        L’incipit dà ad intendere che la questione non dovrebbe neanche porsi, che non dovrebbe esserci un dibattito. L’avverbio “ancora” ci dà l’idea che l’argomento è stato già ampiamente sviscerato e risolto, che non c’è nulla di interessante da dire sulla questione, e che la reazione di una femminista di fronte al tentativo di riaprire la questione può essere solo la noia totale.
        Poi dice: “si parla di «corpo delle donne» quando si dovrebbe discutere piuttosto della testa degli uomini, sia che si tratti di soubrette scosciate in tivù sia di turiste che vanno in spiaggia troppo coperte.”
        Il che è vero, verissimo: uno dei problemi è lo sguardo degli uomini, il quale però condiziona pesantemente il modo in cui il corpo delle donne deve abbigliarsi. “La testa degli uomini” non è un argomento che si possa trattare senza metterlo in relazione con “la testa delle donne”, e questo il femminismo lo ha spiegato benissimo (in questi casi mi piace citare Margaret Atwood, lo so che mi ripeto, chiedo scusa ai miei lettori, ma devo riproporvi “La donna che rubava i mariti”:
        “Fantasie maschili, fantasie maschili, è tutto gestito da fantasie maschili? Su un piedistallo o in ginocchio, è sempre una fantasia maschile: che sei abbastanza forte da accettare quello che ti viene servito, oppure troppo debole per fare qualcosa al riguardo. Anche fare finta che non stai soddisfacendo fantasie maschili è una fantasia maschile: far finta di essere invisibile, far finta di avere una vita solo tua, di poterti lavare i piedi e pettinare i capelli inconsapevole di quell’osservatore che sempre ti sbircia dal buco della serratura, che ti sbircia dal buco della serratura che è nella tua testa, se non altrove. Sei una donna con un uomo dentro che guarda una donna. Tu sei il tuo voyeur.”)
        Poi Lia Celi aggiunge:
        “suona bizzarra tutta questa bagarre italo-francese sulle bagnanti islamiche abbigliate più o meno come le nostre cristianissime trisavole, che ai primi del 1900 prendevano i bagni di mare non solo con camicette e calzoni alla zuava, ma pure con calze e scarpe.
        La nuotatrice australiana Annette Kellerman nel 1906 si presentò a una gara negli Stati Uniti con un costume che scopriva le cosce: fu immediatamente arrestata ed espulsa.”
        Ciò che è veramente bizzarro è l’esempio scelto da Lia Celi per supportare la sua tesi, ovvero Annette Kellerman.
        Perché, se l’atteggiamento da tenere è quello descritto poi:
        “Perché la vera religione delle donne normali, ovunque, è il pragmatismo: riuscire a fare le cose presto e bene è più importante che discutere dei massimi sistemi.
        Siamo devote musulmane e vogliamo giocare a pallacanestro, andare in spiaggia e farci una nuotata: il problema è l’abbigliamento? Bene, studiamone uno che ci permetta rapidamente di raggiungere i nostri scopi senza turbare la nostra coscienza, e soprattutto senza perdere tempo prezioso a discutere con gli imam o a litigare con mariti e fratelli.”
        Il comportamento della Kellerman è stato esattamente l’opposto, ovvero “perdere tempo” a sfidare quegli uomini che avevano stabilito che dovesse nuotare a cosce coperte e rinunciare a “farsi una nuotata” pur di testimoniare una questione di principio.
        Un comportamento che sembra aver prodotto dei risultati, perché oggi possiamo tutte girare a cosce scoperte, in Francia.
        Poi ci dice: “Nell’Australia del 2016 nessuno si scandalizza se una ragazza nuota in calzoncini da ciclista e cuffia”…
        Calzoncini e cuffia? E quale religione parla di calzoncini e cuffia? Non è un paragone che si possa fare, perché non è una tenuta studiata per rispondere a precise esigenze religiose. Ci sono tanti discorsi che si possono fare sugli abiti delle donne, ma la questione dell’Hijab non riguarda solo quanta carne è visibile, ma il fatto che c’è un preciso impianto teorico dietro, non è – come vorrebbero darci ad intendere – solo un nuovo tipo di costume da bagno, come il tankini, ma un simbolo oggetto di dissertazioni e corredato di citazioni che provengono da diversi testi religiosi.
        E prosegue: “La questione di fondo, ovviamente, è la libertà di scelta: noi diamo per scontato che, se potessero, tutte le musulmane girerebbero in push up e perizoma e che dietro il burkini ci sia sempre un marito, un padre o un fratello barbuto col ditone alzato e il ceffone in canna.”
        Questo, come ho già spiegato, non è affatto vero.

      • Paolo ha detto:

        ho adorato il racconto dell’ancella di atwood ma non è tutto dominato da fantasie maschili, e le donne qualunque cosa facciano non la fanno perchè hanno un maschio che le guarda dentro di sè. sul resto concordo

      • Questo è un altro romanzo 😊

      • Paolo ha detto:

        lo so, volevo solo premettere che conosco l’autrice e non mi dispiace

      • stefano ha detto:

        Non è proprio così. L’incipit coglie molto bene quello che è stato l’effetto di una formula apparentemente efficace, ma in verità vuota e retorica: il corpo delle donne. Che ha stufato, perché non serve a niente se non a cercare l’indignazione a buon mercato. E prosegue nel senso contrario di liquidare il dibattito, ma di focalizzarlo su altre questioni, che non il costume, perché a parlare solo del costume si finisce a parlare del nulla, facendo confusione tra il burka e un costume, e generalizzando. Non riguarderà te, ma certo l’opinione pubblica non è molto ferrata sulle varie differenze e neanche pensa che possano esserci modi diversi di vivere. Ma d’altronde la storia che hai pubblicato va in questa direzione.

      • L’argomento “il corpo delle donne” ti ha stufato, come ha stufato chi ha scritto l’articolo e anche sua figlia. Ok, niente da ridire: anche a me stufano le cose, e non dipende da ciò che mi stufa, sono io. Mi capita col cibo: ordino sempre la stessa piazza per anni, ogni volta che vado in pizzeria, poi mi stufo, e non la ordino più. Ma questo non significa che la pizza marinara non dovrebbe più trovare spazio nei menù delle pizzerie… Forse la mia analogia è sciocca, ma spero che renda l’idea.
        Fastidiosissima “l’indignazione a buon mercato”, concordo. L’opinione pubblica non è ferrata sull’argomento, ecco un’altra cosa vera. La maggior parte della gente non si interessa a chi percepisce come “diverso”, è ancora vero.
        Non vedo però come la conseguenza logica di tutte queste premesse possa essere che l’espressione “il corpo delle donne” è in sé e per sé “vuota e retorica”. Non lo capisco davvero.
        E non capisco che intendi quando scrivi “Ma d’altronde la storia che hai pubblicato va in questa direzione”.

      • stefano ha detto:

        Va nella direzione di far capire che ci sono vari punti di vista

      • Ah ok. Grazie 🙂 Era l’intento del post.

      • Meglio: uno degli intenti del post. 🙂 (perché che esistano diversi punti di vista sulla medesime questione mi sembra, francamente, una cosa piuttosto ovvia… che molti ignorano, certo, ma ciononostante, ovvia; ciò che è interessante è quando diversi punti di vista producono le medesime riflessioni, non il contrario!)

  5. IDA ha detto:

    Il velo o l’hijab o qualsiasi altro nome, è un’imposizione, e come tale non può essere una “libera scelta”. Nell’obbedire non c’è libertà, e non c’è scelta. Come mi sembra assurdo, biasimare, punire o vietare il velo, perché si colpisce solo chi subisce l’imposizione. Quello del velo è un falso problema, perché il problema è il dominio, i rapporti tra uomo e donna. Vietare o no il velo, non cambia nulla nei rapporti gerarchici e nella subalternità della donna, rimane tutto invariato, sia in oriente che in occidente. Va detto anche che il velo, è un segno sessista patriarcale dell’oppressione della donna da parte di una religione, ma è anche il segno di un razzismo in occidente nei confronti di certe comunità di immigrati.
    Di conseguenza, distinguerei tre sistemi di oppressione per analizzare la questione del “velo”: il sistema patriarcale, il sistema razzista e il sistema teologico-statale, che interagiscono tra di loro.
    Interessante da notare che le motivazioni del velo sono le stesse identiche giustificazioni che adottano gli uomini occidentali. -“Gli uomini, che lo confessino o no, sono schiavi della lussuria e del desiderio.” (La biologia) Si dice che alcuni uomini sono sbagliati, ma è la donna che si deve adeguare. (cultura dello stupro) L’hijab protegge le donne e simboleggia che appartiene ad un uomo ed è interdetta a tutti gli altri. ( proprietà privata, la donna deve appartenere ad un uomo, padre, marito, fratello) ecc,,ecc a dimostrazione che le religioni dal momento che tendono ad inglobare tutti gli aspetti dell’esistenza di un individuo, (economico, politico, morale, sessuale, filosofico….) hanno un’unica funzione, quella di fornire giustificazione al dominio patriarcale.

  6. andrea ha detto:

    le femministe si incacchiano come delle bertucce quando Roosh V scrive un articolo satirico sul legalizzare lo stupro (mentre la femminista Julie Bindel scrive un articolo altrettanto satirico sul mettere gli uomini in campi di concentramento, ma la satira va bene solo quando la fanno loro, non gli altri) ma dicono quasi niente a proposito del giro di prostituzione a Rotherham in UK perché i responsabili sono musulmani pakistani. misteri della logica femminista (ossimoro).

    • I maschilisti stanno sempre a puntualizzare, ogni volta che si parla di violenza di genere, che “non tutti gli uomini”, ma sono i primi a venire qui per attribuire a me le presunte mancanze delle “femministe” del mondo intero. E “voi femministe” di qua, e “voi femministe” di là…
      Senza considerare il fatto che non credo tu sia in grado di comprendere la differenza fra l’appartenere, volenti o nolenti, ad una categoria privilegiata o ad una categoria discriminata, e la responsabilità individuale di chi compie un crimine.

    • Per chi non sapesse di cosa parla Andrea: http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/crime/11057622/Rotherham-child-sexual-exploitation-Victims-raped-beaten-and-doused-in-petrol-if-they-threatened-to-tell.html Come si può leggere “The police had “excellent” procedures for dealing with child sexual exploitation, but “in practice these appear to have been widely disregarded”, the report says. There was also evidence of collusion between the police and perpetrators.” Cosa c’entrino “le femministe” non è chiaro… e neanche cosa c’entri tutto questo con il tema del post. Andrea, sei O.T.

      • IDA ha detto:

        Grazie, io non sapevo di cosa parlasse e ho sorvolato. Le femministe cosa centrano? è la nuova corrente di pensiero, sostengono che le femministe parlano sempre male solo degli uomini autoctoni e rispettiamo quelli stranieri. In pratica piangono. Dicono loro sono più cattivi di noi e voi criticate solo noi. Pretendono per il maschio occidentale lo stato di diritto, per lo straniero no. Pretendono per loro il diritto alla molestia e all’abuso sessuale, per lo straniero no. Se una donna subisce violenza da un uomo autoctono, è lei che è bugiarda che ha provocato, che cerca la notorietà è una puttana e lui è innocente fino al terzo grado. Se è uno straniero è colpevole, non importa nemmeno il processo. Quindi per una donna, per essere creduta deve dire che era uno straniero.

      • E’ detto chiaramente nell’articolo del Telegraph: “In Rotherham the “majority” of known perpetrators were of Pakistani heritage, the report says, which led to police and council workers “tiptoeing” around the problem.
        In the council and the police there was a perception among staff that they should “downplay the ethnic dimensions of child sexual exploitation”.
        Frontline staff became confused as to what they were supposed to say and do and what would be interpreted as “racist”.
        Ad essere eplicitamente accusati di aver “girato intorno” al problema a causa dell’etnia dei perpetratori sono la polizia e gli operatori sociali. Di “femministe” non si parla, e io non ho trovato niente.
        (Andrea se linki qualche sito delirante, tipo A Voice For Men, sappi che non lo pubblico)

      • IDA ha detto:

        Appunto, le femministe non ci sono, perchè le femministe non ne parlano, non ne parlano, perchè ci sono implicati gli stranieri. è da dopo i fatti di Colonia, che accusano le femministe di essere troppo rispettose degli stranieri.

    • IDA ha detto:

      Julie Bindel, è una ricercatrice e giornalista, che da trent’anni si occupa della violenza sulle donne, sulla disuguaglianza di genere, diritti lesbiche, opposizione all’industria del sesso, la prostituzione e la tratta degli esseri umani. In trent’anni di attività viene estrapolata una frase, in un’intervista e non un articolo o uno studio, messa fuori dal contesto e strumentalizzata. Nella stessa intervista parla di abolizione, del’eterosessualità, del genere e del matrimonio, perché ritiene che siano i pilastri fondamentali dell’oppressione sulla donna. Cosa che io condivido. Io i suoi lavori in Italiano non ne conosco, conosco solo i lavori in inglese e il mio inglese è pessimo, quindi mi posso anche sbagliare. Qui l’intervista incriminata: http://www.radfemcollective.org/news/2015/9/7/an-interview-with-julie-bindel

      Ma, spiegami, perché se una donna, in un intervista dice: Mi piacerebbe fare per un giorno agli uomini, quello che gli uomini hanno sempre fatto e fanno alle donne. Diventa un’odiatrice di uomini, si fanno petizioni per sospenderla dal lavoro, dall’università, la si minaccia, le si augura di fare la fine di Jo Cox? Julie Bindel, ha una storia che spiega e chiarisce quello che voleva dire e non è satira.
      Anche il rimorchiatore ha una sua storia, ha scritto quel pezzo “satirico”, sul suo blog. “Return of Kings”, e ci spiega cos’è: “una piccola ma forte comunità di uomini che credono ancora che gli uomini debbano essere uomini e le donne debbano essere donne.”
      Quindi non è un blog umoristico ne di satira. Comunque contro di lui non si sono “incazzate come bertucce” solo le femministe, ma anche la comunità afro-americana, quella gay e quella ebraica. Perché non si fa mancare nulla, non è solo un misogino, ma anche razzista, antisemita e omofobo. Tanto che Israele gli ha negato il visto, come l’Australia e la Nuova Zelanda per le sue posizioni razziste. È anche uno scrittore, e per leggere la sua “satira”, è importante capire il suo pensiero la sua storia: “Devono essere messi in atto sistemi in cui il comportamento di una donna è monitorato e le sue decisioni soggette all’approvazione di un maschio guardiano parente o che capisce ciò che è nel suo migliore interesse, meglio di quanto lei stessa può fare.”
      Oppure: “Mentre tornavo a casa, ho capito quanto lei fosse ubriaca. In America, fare sesso con lei sarebbe stato uno stupro, dal momento che lei, legalmente, non era in grado di dare il suo consenso. Non aiuterebbe il fatto che io ero sobrio, ma non posso dire che mi interessasse o che abbia addirittura esitato. Non razionalizzo le mie azioni, fare sesso è ciò che faccio”. – “Bang Iceland”.
      In base a questi concetti espressi viene giudicato “l’articolo satirico” sullo stupro, la sua storia è totalmente differente da quella di Julie Bindel. Lui parla di segregazione lei di diritti umani.

  7. Sandra ha detto:

    Esprimo anche io la mia opinione. I francesi hanno subito degli attentati che per frequenza e atrocità non hanno precedenti in Europa, eventi che hanno lasciato importanti mutazioni e paure,sappiamo che gli attentatori non seguivano i dettami religiosi ma godevano soprattutto del “consumismo” occidentale, è giusto dire che 260 persone(numero forse impreciso)sono morte per futili motivi ?anche il burkini sembra la polemica sotto l’ombrellone forse anche per questo la parola divieto stride particolarmente,il divieto del burkini è controproducente ma ci sono tanti modi per sensibilizzare gli individui al dono luminoso della laicità e se gli Stati laici europei non prenderanno delle decisioni senza paura a integrarsi saranno solo i maschilismi.
    delusione per le fanatiche della sassaiola 2.0 che si sono distinte nella discussione ,argomenti non offese cerchiamo punti di incontro.

    • Qui nessuno ha parlato di “dono luminoso della laicità”. Si sta parlando di quei significati del velo che creano turbamento in chi si occupa di discriminazione di genere.

      • Sandra ha detto:

        Dei cinque aspetti che indichi tre li troviamo anche nella religione cattolica ,perciò parlavo dell’importanza di un processo di laicizzazione. Concordo con Ida quando dice che non è giusto biasimare o vietare il velo, ho ricordato gli attacchi terroristici perché comunque penso sia utile inquadrare il divieto nel contesto francese.

      • Sono contenta che sottolinei le similitudini, perché secondo me si riesce a costruire un dialogo costruttivo cercando prima ciò che ci accomuna, mentre tendenzialmente ci si concentra sulle differenze, che da sole sembrano più insormontabili.

    • Paolo ha detto:

      che centra il consumismo occidentale? L’occidente è sempre colpevole per voi

      • Sandra ha detto:

        Intendevo mettete l’accento sull’ipocrisia del terrorista che vuole punire gli infedeli.

  8. Vale ha detto:

    Signori, ma solo io sono rimasta turbata dalla frase “la sottomissione: l’Hijab è un atto di “sottomissione” a dio, un atto che compiono solo le donne;”?
    Secondo me il problema è proprio questo, altro che punti di vista. L’autrice ammette candidamente l’estremo sessismo nel portare il velo e, non so neanche come, pare proporlo come un fatto positivo…

    • Paolo ha detto:

      è un fatto positivo perchè dicono loro, la donna è preziosa, è come un gioiello e quindi “va protetto” (chissà come vengono considerate le donne che “non si proteggono”), gli uomini non sono preziosi evidentemente
      http://video.corriere.it/io-18enne-italiana-quest-anno-vado-mare-col-burkini/5a454694-66a0-11e6-a871-4e65f9c31faf

    • Sandra ha detto:

      No Vale non pensare così,sappi che quando mi è capitato di parlare di questo con una donna musulmana non ho saputo neanche iniziare un discorso per lo stupore,mentre in genere i mussulmani sono più sibillini.secondo la mia ristretta esperienza in merito.

      • Non intendevo dire che l’obbedienza a dio è richiesta solo alle donne, forse sono stata fraintesa. E’ che i precetti per gli uomini sono diversi da quelli previsti per le donne, sebbene siano ispirati ai medesimi principi.
        La sottomissione a dio non è un concetto così sconvolgente per un credente qualsiasi.
        Nel Padre Nostro un cristiano recita “sia fatta la tua volontà”, perché la volontà di dio è superiore a quella dell’uomo, come quella del padre è superiore a quella del figlio.

      • Vale ha detto:

        Certo, Riccio, ma il Padre Nostro lo dicono tutti. Maschi, femmine, adulti, vecchi, bambini… Senza considerare che sappiamo poi cosa succede in giro se una ragazza alla fine decide di togliersi il velo. Di solito la famiglia (o lo stato, ho conosciuto una ragazza iraniana qui per l’università: sfoggiava capelli splendidi, ma diceva che se lo avesse fatto lì, le autorità l’avrebbero picchiata e messa in galera. La madre è venuta a trovarla per 15gg e nel frattempo gli altri familiari venivano trattenuti in quello che lì hanno come questura, per dire…) reagisce malino.
        Mi spiace, io continuo a vederci una PESANTE questione di genere. Com’è che le donne, per dimostrare fede al Dio che ci ha creati perché ci ama e ci ama tutti allo stesso modo, devono sempre mostrare sottomissione e gli uomini mai? È retorica, non serve risposta.

      • Certo che è una questione di genere. .. altrimenti non ne parleremo qui 😊

  9. Sul fatto del sessissmo che l’autrice di questo racconto conferisce al velo, porto un’altra testimonianza: http://27esimaora.corriere.it/articolo/il-mio-velo-islamico-e-femminista/
    Il video di questa ragazza fece molto scalpore. Lei dice:
    “In un mondo in cui il valore di una donna è spesso ridotto all’attrazione sessuale coprirsi può diventare uno strumento di auto-affermazione, un modo di rifiutare l’idea che le donne devono essere sexy ma non “facili”, essere magre ma comunque formose, belle ma comunque naturali.”
    Come nella testimonianza che ho pubblicato, il velo è la reazione di una donna che si sente oppressa dall’ossessione della società nei confronti del corpo sessuato femminile, al quale viene richiesto di aderire a standard irrangiugibili in quanto assurdi, mirati solo a genere una perenne stato di inadeguatezza.
    Ciò che dice Hanna Yusuf ricorda molto questo passo: “Guardarmi allo specchio significava cercare di individuare tutte le cose sbagliate in me che dovevo cambiare.”
    Le femministe “occidentali” e queste ragazze non dicono cose così diverse, in fondo.
    Solo che Hanna Yusuf aggiunge: “Why does the hijab seem to cause such offense? It’s not that it poses any real threats to the progressive values, but because it resists the commercial imperatives that support consumer culture.”
    Perché l’Hijab offende così tanto? Non perché si pone come reale minaccia a dei valori progressisti, ma perché è una forma di resistenza a ciò che il mercato ci impone, supportando una cultura consumista.
    Aggiunge: “modesty is a direct contrast to more commercially viable images of women as clothes horses, sex symbols, and shopaholics.”
    La modestia è un modo di contrapporsi all’immagine della donna imposta dalla pubblicità che propone solo donne patite della moda, sex symbol e maniache dello shopping.
    Che la nostra società ipersessualizzi la donna non è una novità per nessuno.
    Il nodo è: l’hijab può essere una soluzione al problema? Un problema che esiste per tutte, non solo per Hanna Yusuf.
    Quelle femministe occidentali che si oppongono al velo, lo fanno perché a loro avviso non è trascurabile, in un discorso del genere, ciò che anche Hanna ammette: “some women are forced to wear it in some parts of the world, sometimes through appalling violence”.
    Se per alcune donne l’Hijab è un’imposizione, non può diventare un simbolo di libertà in altre parti del mondo.
    Al di là di quello che nel tempo i vari esegeti del Corano hanno detto del velo, e accantonando il suo ruolo di strumento dell’oppressione nei confronti della donna in diversi luoghi del mondo, esso rimane anche per queste ragazze il mezzo per eccellenza per celare il corpo in nome della modestia, e la virtù della modestia, lungamente invocata per le donne anche da noi, non ci ha mai portato niente di buono.

    • Paolo ha detto:

      Hanna Yusuf si vesta come vuole ma almeno non usi il femminismo per nobilitare un’appartenenza religiosa.E l’attrazione sessuale, la bellezza, il sex appeal che è maschile e femminile guardacaso va occultato solo se femminile. queste giustificazioni del tipo “mi velo per protestare contro la cattiva società occidentale mercificante ecc..” non mi convincono

    • Morgaine le Fée ha detto:

      La questione del velo come risposta all’ipersessualizzazione della donna nel mondo occidentale l’ho sentita spesso e non mi convince per nulla.
      Entrambe le visioni pongono la donna in prima istanza come corpo sessualizzato, che va reso disponibile a tutti o mostrato solo al maschio a cui si appartiene (dio è incluso nella definizione), a seconda dei casi. E, in entrambi i casi, sono molte le donne che introiettano questa visione del maschile giudicante il loro corpo sessualizzato.
      Intelligenza, personalitá, bisogni fisici, vengono solo molto dopo (vedasi anche il discorso su “donne poco vestite d’estate”: i fattori climatici vengono messi in secondo piano e si punta prima di tutto il dito sul corpo sessualizzato).

      Da non dimenticare anche che la questione dell’hijab sta prendendo piede a causa delle pressioni di una certa parte dell’ Islam, quello salafita/wahabita, guardacaso proprio quello più retrogrado, violento e intollerante, e che ha messo in atto un processo di annullamento culturale di altre culture islamiche (l’Iran è un’eccezione in quanto shiita, ma sta andando nella stessa direzione). Parlare perciò di una “cultura musulmana” dell’hijab è quindi fuorviante: basti vedere come si vestivano le donne di 30-40 anni fa in diversi paesi musulmani, e confrontarle con la situazione attuale. Il velo, se c’era, è passato da una funzione decorativa/pratica/espressione etnica, a una funzione che stabilisce il ruolo della donna come mero corpo sessuale.

      • Hanna Yusuf parla di opposizione al capitasmo: “Capitalism constructs women as both merchandise and consumers. Look at how we market cars, beer, and computer games. Hijabi women don’t fit into that mold.”
        A gennaio di quest’anno Dolce & Gabbana hanno lanciato la loro collezione per le donne islamiche: http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/moda/stilisti/2016/01/06/dolce-gabbana-mettono-il-velo-e-si-lanciano-in-collezione-per-islamici_944efffd-b3b5-4d30-92af-17f571a26350.html
        Ancor prima di Dolce e Gabbana Hind Lafram, 22enne torinese di origine marocchina diplomata all’Istituto tecnico per la moda, ha lanciato la sua linea di abbigliamento: http://www.huffingtonpost.it/2016/01/22/hind-lafram-stilista-torinese_n_9048494.html
        Le riviste di moda pubblicano articoli come questo: http://www.vanityfair.it/news/mondo/15/02/01/giornata-mondiale-hijab
        O questo, in cui si parla di una rivista di moda interamente dedicata a chi indossa l’Hijab: http://www.pourfemme.it/articolo/non-solo-hijab-anche-la-moda-islamica-ha-il-suo-fashion-magazine/33241/
        Ve ne riporto alcuni passi:
        “Un fashion magazine molto speciale ma di enorme successo editoriale, nato meno di un anno fa dall’iniziativa di due pubblicitari. Dal punto di vista grafico e contenutistico, si tratta della classica rivista patinata piena di articoli sulle tendenze più glam, su cosa sia in e out in fatto di bellezza e seduzione, accessori, colori e make up, con tanto di esplicativi e raffinati servizi fotografici a tutta pagina, e con reportage interni sull’universo femminile.”
        “…ma molte donne arabe ritengono che vestirsi in modo da coprire di più il corpo, sia anche il sistema migliore per essere rispettate, soprattutto per essere prese più sul serio dagli uomini, che in questo modo sono costretti a concentrarsi sul viso della loro interlocutrice (anziché essere “distratti” dal décolleté o dalle gambe) e ascolteranno con maggior attenzione le loro parole. Ma vi è anche un più antico messaggio seduttivo. La donna “velata” è da scoprire, e ogni uomo, istintivamente, prova maggior curiosità per ciò che è coperto, anziché per ciò che si vede subito. In ogni modo, la cosa stupefacente è che questo tipo di moda, proprio perché più “costretta” entro binari prestabiliti, riesce a produrre dei veri e propri capolavori in fatto di “variazioni sul tema”. Il corpo sarà coperto, certo, ma con quali tessuti variopinti e preziosi, con quali sovrapposizioni raffinate, con quale silhouette seducente e femminile.”
        In un altro articolo che ho trovato, a proposito della linea di abbigliamento Abaya di D&G (http://www.fanpage.it/polemica-dolce-gabbana-veli-islamici/) troviamo di nuovo la parola “seduzione”:
        “Il velo può essere per le giovani musulmane tanto seduttivo e personale quanto per un’ “occidentale” portare la minigonna. L’Institute for Social Research della University of Michigan ha indagato le preferenze di sette paesi a maggioranza musulmana:Turchia, Egitto,Tunisia, Libano, Pakistan, Arabia Saudita e Iraq che hanno tutte espresso per la maggior parte la preferenza dell’hijab. La rete abbonda di blog sulla moda hijab e di fashion blogger agguerritissime e informatissime. Non c’è nulla di sottomesso a nessuno. Le modelle indossano tacchi 12 sottili, sandali e trasparenze. La seduzione non è la stessa in tutte le parti del pianeta. Va inoltre aggiunto che per le più giovani in particolare, dopo le Primavere Arabe, c’è stata una corsa a indossare il fazzoletto, magari anche su pantaloni aderenti. I dittatori rovesciati dalle rivoluzioni, come Ben Ali in Tunisia, avevano imposto o almeno avevano indotto a reprimere ogni forma di esteriorizzazione della religione, per mantenere rapporti sereni con l’occidente e dittatoriali in casa propria: portare l’hijab in molti casi è per molte semmai rivoluzionario e una forma di libertà dalle pretese occidentali.”

        Questo ultimo articolo è piuttosto comico, perché sembra declinare la polemica sul velo ad una diatriba fra donne su come si seduce meglio il maschio, se mezze nude o velate 🙂 Si parla di “alcune femministe in particolare, animate da insopportabile spirito colonialista (della serie “ora vi spieghiamo noi, come si diventa libere”, come se la libertà si misurasse dalla capacità di attirare e compiacere lo sguardo maschile. E io che pensavo che il femminismo si interrogasse, invece, sul fatto che purtroppo il patriarcato riduce il valore di una donna al suo potenziale seduttivo…

      • Morgaine le Fée ha detto:

        “libertá dalle pretese occidentali”, “alcune femministe in particolare, animate da insopportabile spirito colonialista”. Includiamo tra queste colonialiste Mona Eltahawy, Maryam Namazie, Marieme Helie Lucas, i movimenti iraniani My Stealthy Freedom e MenInHijab, eccetera? A me talvolta sembra che molte femministe occidentali siano invece molto piú morbide sull’argomento e perdonino a religioni e culture “diverse” ció che mai perdonerebbero a quelle di casa propria (ma se il patriarcato é un sistema che, come femministe, consideriamo sbagliato, perché dovremmo considerarlo Ok se é qualcun altro ad attuarlo? Domanda retorica)
        Per il resto, sono d’accordo con la tua conclusione.

      • Paolo ha detto:

        sono d’accordo con te morgaine

      • Antome ha detto:

        So che è dell’anno scorso ma sottolinei un punto cruciale in “Da non dimenticare anche che la questione dell’hijab sta prendendo piede a causa delle pressioni di una certa parte dell’ Islam, quello salafita/wahabita, guardacaso proprio quello più retrogrado, violento e intollerante, e che ha messo in atto un processo di annullamento culturale di altre culture islamiche (l’Iran è un’eccezione in quanto shiita, ma sta andando nella stessa direzione). Parlare perciò di una “cultura musulmana” dell’hijab è quindi fuorviante: basti vedere come si vestivano le donne di 30-40 anni fa in diversi paesi musulmani, e confrontarle con la situazione attuale. Il velo, se c’era, è passato da una funzione decorativa/pratica/espressione etnica, a una funzione che stabilisce il ruolo della donna come mero corpo sessuale.” Mi viene in mente quindi che tali pressioni vengano dall’Arabia saudita e de concessioni e compliacenze da parte dei governi occidentali. Azioni principali consistono nel mandare Imam a controllare l’osservanza ferrea, isolare le comunità dallo scambio culturale, finanziare scuole coraniche. Infine convincere la “sinistra” che sia nel nome della differenza culturale.

  10. stefano ha detto:

    Bisogna distinguere tra il piano simbolico e il piano persoanale. Qualunque sia il significato che da fuori si attribuisce ai vari indumenti in questione, ogni persona li indossa secondo la sua possibilità e gli dà il proprio significato. Questo può piacere o meno, ma è indiscutibile, fintanto che rimane la propria scelta e non è una imposizione. Ma anche laddove c’è l’imposizione, è questa che deve essere discussa. La femminista occidentale xx che si sente minacciata dal velo, deve fare un respiro e capire che queste scelte personali non rappresentano un pericolo per gli standard liberali raggiunti, perché non è su questo piano simbolico che si gioca, e si è mai giocata la partita dei diritti civili. E soprattutto che la partita in questione riguarda più le donne musulmane e gli spazi che hanno a disposizione per poter scegliere. Questo dovrebbe offendere, non le cose in cui credono.

    • Mi sembra di aver chiaramente distinto tra il piano simbolico e il piano personale. Non vedo però perché, e davvero non riesco a comprenderlo, il fatto che una scelta possa essere squisitamente personale debba escludere una discussione sulle declinazioni simboliche di un determinato oggetto. Soprattutto quando, fra le motivazioni personali, fanno capolino parole importanti come “modestia”. Non sono d’accordo, inoltre, che la battaglia per i diritti civili non si combatta anche ad livello simbolico, visto che ancora oggi, nella “civilissima” Italia, si disquisisce in sede giudiziaria dell’abbigliamento poco “modesto” delle vittime di stupro.

    • Comunque non credo che le femministe si sentano “offese”, non credo sia la parola giusta. Io penso ci siano donne preoccupate, più che offese.

      • stefano ha detto:

        Ma non è che non si può discutere dei vari significati che può assumere il velo, poi più che discussioni queste sono divulgazioni. E sono le benvenute, così come appunto il dialogo. Possiamo conoscere la storia del velo e tutti i motivi per cui tutte lo indossano. Dopodiché che fai? E vale anche per la prostituzione e la surrogacy eccetera. Nel momento in cui una scelta produce un effetto che rimane circoscritto a chi la compie, cosa si vuole discutere? Dico in concreto. O si accetta o non si accetta. O si vieta o si regolamenta. A meno che non si dica, come si dice, che quella scelta influisce in negativo sugli altri. Questa discussione non è partita dalle donne che si mettono il costume, non si sono messe a dire che tutte lo dovrebbero indossare. Fosse stato solo uno scambio di idee nessuno direbbe niente, ma nel momento in cu la cosa è partita da un divieto, giustamente la reazione si è focalizzata sul concetto di scelta e sul fare un po’ di divulgazione in merito. A livello simbolico in che modo puoi agire? Se una vuole essere sottomessa che gli puoi e vuoi dire? Un conto è se questa idea fosse messa in campo sul piano politico, e allora avrebbe senso discuterla, ma così che senso ha? Se per alcune diventa un simbolo di liberazione come fai a discutere questa cosa? Nessun altro pensa che possa essere la soluzione al problema, ma in certi casi è la soluzione di qualcuna.

      • “Nel momento in cui una scelta produce un effetto che rimane circoscritto a chi la compie…”
        E’ difficile, come spiegava Morgaine le Fée in un precedente commento, che una scelta, seppure la più personale, possa avere un effetto circoscritto solo a chi la compie.
        A tale proposito ti cito una frase che mi ha colpito, in questo articolo: http://www.famigliacristiana.it/articolo/un-giorno-a-cannes-sulle-spiagge-del-burquini.aspx
        “«Se tutte cominciano a portare il burkini, non oserò più mettermi in bikini», dice una bruna quarantenne di origine tunisina.”

        “Il personale è politico” dicevano, anni fa, le femministe. La questione è già politica. Lo è sempre stata. L’Hijab in alcuni paesi è imposto per legge da tempo. E’ stato ed è strumento di propaganda. Come si fa a considerarla una questione squisitamente privata, proprio ora che qualcuno propone di vietarlo per legge proprio dalle nostre parti?

      • stefano ha detto:

        Va bene, ma qui parliamo di condizionamento sociale, che è inevitabile e vale per qualsiasi cosa. Quando qualcuna ha cominciato a mettere il bikini quelle che portavano il pezzo intero hanno cambiato costume per vari motivi, fra i quali il non sentirsi inadeguate (ma questo vale per tutti, in tutti i campi). La ceretta? Non appena qualcuna gli ha dato un connotato politico si è visto il limite di applicare il concetto di “personale-politico”, che guarda caso si è manifestato in ogni discussione che ha visto pensieri femministi differenti su recenti questioni. Allora forse la discussione invece che farla sull’oggetto in questione sarebbe meglio farla sul contesto. Anche perché è un indumento che ha così tanta importanza identitaria che come ti muovi produci attrito.

      • Ok, falla sul contesto 😊

      • Anche se, te lo devo confessare, non produrre attriti non è proprio la prima delle mie preoccupazioni. Anche perché sono convinta che il conflitto possa essere costruttivo, anche e soprattutto quando riguarda la percezione di sé.

      • Morgaine le Fée ha detto:

        Stefano: “Un conto è se questa idea fosse messa in campo sul piano politico, e allora avrebbe senso discuterla, ma così che senso ha?”
        Giá da noi la questione é stata messa sul piano politico, e non si puó piú tornare indietro. In certi quartieri il velo non é giá piú una scelta, ma una imposizione dettata dalle comunitá locali radicalizzate. Un esempio, dal Paese in cui vivo, viene dalle periferie di Stoccolma, Malmö o Göteborg. Lí le donne non sono giá piú libere di andare al caffé, vestirsi in minigonna o coi capelli in vista, pena attacchi verbali e fisici dagli uomini. Questa non é giá piú libera scelta di alcune, ma scelta obbligata per tutte.
        Chi ha denuciato per primo la situazione? Politici di estrema destra? “Femministe inacidite”? No.
        Sono state donne immigrate, che vivono lí e stanno vedendo le loro libertá restringersi.
        Queste donne sono concretamente preoccupate, hanno paura.
        Queste donne non sono state ascoltate, ma anzi tacciate di “islamofobia” (sic!) dai politici, in nome del “rispetto delle tradizioni e delle religioni” altrui.
        Il velo di per sé È un simbolo politico, perché usato come bandiera di appartenenza religiosa, e usato per ricordare qual é il posto delle donne nell’organizzazione sociale: schermate, dimesse, sottotono, limitate nella loro funzione pubblica.
        Uno dei primi sintomi della radicalizzazione della Turchia, attuata da Erdogan, fu proprio la reintroduzione del velo negli spazi pubblici. Adesso vediamo ben come si sta evolvendo. Il velo, ripeto, é un simbolo politico dal suo primo inizio. Relegarlo a una semplice, innocua “scelta personale di alcune”, é altamente pericoloso.

      • stefano ha detto:

        Ma non ho detto che sia una semplice scelta privata, ho detto che è anche una scelta privata. Il velo in sé non esiste, esiste solo insieme ai significati che ognuna ci mette. Mica questo vuol dire relegare il velo al privato, o non parlare del contesto politico e sociale del caso, vuol dire solo riconoscere, e far capire a chi non lo sa, che le cose sono più complesse di quello che sembra, e che non è corretto, anzitutto verso chi lo indossa, generalizzare. Poi gli esempi che fai parlano appunto del contesto. Ma non si possono confondere le cose.

      • Siccome sono d’accordo sul chiarire la complessità delle cose, dicci dove, chi è come ha negato il fatto che si tratti anche di una scelta privata.
        Io credo che pubblicare una testimonianza nella quale chi parla confida momenti molto intimi della sua vita privata, sia un modo per mettere in luce entrambi gli aspetti, anzi pone in primo piano il soggetto e la sua prospettiva.

      • stefano ha detto:

        mi riferisco alla commento sopra. Io penso che si possano e debbano distinguere i piani. Se parli di personale-politico, con Morgaine, escludi la distinzione, o almeno mi pare che sia messa in questione.

      • Ma tu sai che significava, per chi lo enunciava, “il personale è politico”? E in che modo il commento di Morgaine nega gli aspetti più personali e intimi di una scelta?

      • stefano ha detto:

        da quel che ho capito si lega alla stagione dei gruppi di autocoscienza, e significa partire dal proprio vissuto per mettere in crisi le istituzioni che opprimevano la donna, quindi anzitutto la famiglia, i rappoti col partner, il luogo di lavoro.

        i commenti di Morgaine parlano di atti politici, io li interpreto come ho detto. Forse ho capito male

      • “Il personale è politico” è uno slogan, e in quanto tale non riesce a rendere appieno la complessità del discorso che c’è dietro. E’ uno slogan femminista perché le donne sono quella porzione di genere umano maggiormente relgata nella sfera privata e, allora più di oggi, assente nella sfera pubblica. Era ed è ancora opinione comune che ciò che fanno gli uomini è veramente importante, mentre ciò che vivono le donne nelle loro vite “domestiche” conti molto meno: basta pensare al valore del lavoro domestico e di cura. Le donne hanno preteso che ciò che le riguardava, la sfera privata, quella degli affetti, della sessualità, della famiglia, delle scelte intime, dovesse assumere il rilievo che merita anche nella sfera pubblica.
        Questo non significa che tutto ciò che è personale è anche necessariamente politico, né che ciò che è politico smette di essere anche privato, ma che la dicotomia fra sfera privata e sfera pubblica era ed è una strumento del patriarcato per mantenere le donne in uno stato di sudditanza.
        Ad esempio, se la cultura popolare insegna che “i panni sporchi si lavano in casa” e che “tra moglie e marito non devi mettere il dito”, le donne hanno svelato l’ipocrisia di una società che celebrava l’angelo del focolare per poi trattare le mogli come esseri umani di serie b tra le mura domestiche; oggi le donne, tra grandi resistenze, denunciano i maltrattamenti che subiscono all’interno di un rapporto sentimentale, chiedendo che tutta la società si faccia carico del problema, che smette così di essere solo un fatto privato tra due individui e diventa oggetto di una discussione pubblica. La “violenza di genere” è stata in passato un fenomeno pressoché invisibile, perché era talmente radicata nella tradizione, nella cultura, nei valori dominanti, e quindi nelle leggi, da passare totalmente ignorata, quasi si trattasse di un evento ordinario. Se, quando era svelato, il comportamento aggressivo nei confronti delle donne veniva imputato a caratteristiche psicologiche maschili individuali devianti dalla norma oppure veniva ricondotto al comportamento della donna stessa, considerata poco accomodante e disponibile, oggi si parla apertamente di violenza radicata nella volontà di dominio e di subordinazione da parte di un sesso nei confronti dell’altro, c’è la percezione del fenomeno sociale, e sono pochi quelli che insistono a volervi vedere solo singoli casi isolati che non hanno nessun denominatore comune.
        Ora, è chiaro che la scelta di indossare un capo d’abbigliamento piuttosto che un altro è una scelta personale, ma se una enorme quantità di donne non sceglie solo di coprirsi o scoprirsi, ma indossa il medesimo capo, il quale è stato oggetto di dissertazioni da parte di fior fiore di esegeti dei testi religiosi alla ricerca dei principi che lo rendono necessario e delle caratteristiche che lo rendono “a norma”, è stato oggetto di leggi e persecuzioni, di strumentalizzazioni razziste e chi più ne ha più ne metta, fingere che questa scelta squisitamente personale in un preciso contesto non assuma allo stesso tempo anche una connotazione politica è una forzatura.

  11. Luna ha detto:

    verissimo, atto di sottomissione ad un dio, concepito come maschile trascendente… un caso, eh…

    è deprimente che qualcuno pensi che sia una scelta libera, e non coartata alla base da un bisogno indotto e introiettato di sottomissione femminile.

    con questo metro di giudizio, che usa sta gente per dire che le islamiche sono libere e consenzienti a mettersi il burqa, allora anche una vedova indù che si getta sulla pira del marito morto (rituale del sati indù) è libera e consenziente? certo che sì, si getta lei sulla pira infuocata… nessuno la butta… quasi tutti i casi di sati erano consenzienti… nessuno le buttava sulla pira… ci andavano loro, in quanto donne… libere anche loro, esattamente come le islamiche che indossano “perché lo vogliono loro” il burqa o della africane che si mutilano il clitoride perché “lo vogliono loro”…

  12. Morgaine le Fée ha detto:

    Sono leggermente OT, comunque: volevo segnalare da Italians del corriere il seguente, illuminato contributo di Mario Sconamila:
    http://italians.corriere.it/2016/08/23/alluomo-serve-limmaginazione-del-corpo-femminile/
    Non se ne esce. Questi ragionano in continuazione col pensiero che il vestiario femminile, il corpo femminile siano esposti in funzione del maschio, delle sua seduzione. La femmina come oggetto passivo da guardare, piú o meno, la cui funzione é di far girare l’immaginazione dell’uomo.
    Tu donna non ti vesti/svesti magari perché hai freddo o caldo, vuoi sentire il vento tra i capelli, vuoi/non vuoi abbronzarti, vuoi difenderti dalle zanzare, vuoi nuotare meglio, ti piace il colore rosso, la gonna lunga o gli shorts. Tutto ció non é mai contemplato. Tutto ció che fai deve necessariamente girare in funzione del maschio e della seduzione, questo maschio che poverino é ” spesso in palese senso di inferiorità, incapace di comprendere la psiche femminile” (???). È l’unica cosa che conta, non eventualmente un aspetto fra tanti della scelta dell’abito o della nuditá.
    Questo corpo delle donne, le quali “hanno responsabilità: non hanno saputo/voluto impiegare questo “potere contrattuale” cui disponevano, inteso come modello di comparazione e conquista di spazi nella società” . La donna non ha intelligenza, personalitá, gusti, interessi, carattere avulsi dal maschio: tutto il nostro “potere contrattuale” si limita al corpo, alla seduzione, alla sessualitá.
    Ma che palle (posso dirlo?).

    • Ma poi, che vuol dire “L’Occidente ha dovuto fare i conti col corpo femminile, è rimasto incastrato dai centimetri di pelle visibile”? Se la donna non avesse mostrato la pelle, che da quel che ho capito è il suo unico “potere contrattuale”, non avrebbe potuto conquistare “spazi nella società”?
      Basta il titolo a qualificare questo articolo come una delle cose più maschiliste che abbia mai letto: “All’uomo SERVE l’immaginazione del corpo femminile”. Gli “serve”, a loro “serve” un certo tipo di corpo (non per nulla cita Manon Lescaut, che è una cortigiana), e quindi se vogliamo uno spazio, in questa società, noi donne ci dobbiamo adattare: il nostro corpo in cambio della possibilità di esistere, alle loro condizioni.

      • Morgaine le Fée ha detto:

        Ehm. occidente “incastrato” la mia peppa, con tutto il business che ci gira attorno ai centimetri di pelle femminile piú o meno esposti.
        Poi, una delle cose che mi mandano in bestia di articoli del genere é quell’ipocrita benevolenza dell’uomo che si finge ritardato, che davanti alla femmina dice di non capire piú nulla, investendola di un “potere” fasullo. E alla fine, peró chi é che detiene la capacitá decisionale nella societá, che tiene saldamente in mano il potere economico, che viene giudicato per le sue capacitá intellettuali e la cui competenza é data per scontata? Non certo la donna col “potere dei suoi centimetri di pelle”.
        Tutto ció é molto frustrante.

    • IDA ha detto:

      “Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale, per una infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, chiesa, scienza, etica e le leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legali della prepotenza di una classe e di un sesso dominante.” – Anna Kuliscioff- Il monopolio dell’uomo: conferenza tenuta nel circolo filologico milanese.- Milano 1894.

      Fai clic per accedere a 62_0000113_file_1.pdf

    • Paolo ha detto:

      in effetti la seduzione è un aspetto della vita di uomini e donne cui si ricorre consapevolmente, ci ricorrono uomini e donne e non solo coi vestiti ma non è tutto ed è sbagliatissimo pensare che le donne si vestano in un modo piuttosto che in un altro solo in funzione dei maschi. molte si mettono la minigonna perchè a loro piace stop

  13. Paolo ha detto:

    il potenziale seduttivo appartiene a donne e a uomini

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  16. Silvia ha detto:

    Che poi loro dicono che coprendosi non vengono considerati pezzi di carne dagli uomini (cosa letta davvero). Ma non è forse vero che se viene loro imposto di coprirsi è perché il corpo femminile viene già considerato un pezzo di carne che fa “eccitare” gli uomini che poverini non si possono controllare?

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