Discorso sulla servitù volontaria

Étienne de La Boétie nasce il 1° novembre 1530 a Sarlat, cittadina del Périgord, in Francia. Il breve scritto Il discorso sulla servitù volontaria (circa trenta pagine) fu composto da La Boétie, secondo Montaigne, a soli 16 anni, ma più probabilmente nel 1552-53. Il testo costituì un punto di riferimento per l’opposizione calvinista alla monarchia cattolica, successivamente per l’opposizione contro l’Ancien Régime che scaturì nella Rivoluzione Francese, in seguito per la protesta repubblicana contro la Restaurazione attuata al congresso di Vienna, ed infine per la politica socialista e rivoluzionaria dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, ed in particolare per la sua corrente libertaria. Benché scritto più di 400 anni fa, la forza di quest’opera consiste nell’affermare contro ogni tirannia il diritto alla disobbedienza civile: «siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi».

La Boetie

…È straordinario sentir parlare del valore che la libertà infonde nell’animo di coloro che la difendono. Ma ciò che accade in tutti i paesi, presso tutti gli uomini, ogni giorno, che un unico uomo ne opprima centomila e li privi della loro libertà, chi mai vi crederebbe se ne avesse solo sentito parlare, senza vederlo con i suoi occhi? E se ciò accadesse soltanto in paesi stranieri e in terre lontane, e ci venisse solo raccontato, chi non lo riterrebbe finzione e invenzione, non già realtà vera? Inoltre, questo tiranno solo non v’è neanche bisogno di combatterlo, non v’è bisogno di distruggerlo; egli vien meno da solo a patto che il paese non acconsenta alla propria servitù. Non è necessario strappargli alcunché, basta solo non dargli nulla. Non occorre che il paese si dia pena di far qualcosa per sé, a patto che non faccia nulla contro di sé. Son dunque gli stessi popoli che si fanno dominare, dato che, col solo smettere di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che, potendo scegliere se esser servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al giogo: è il popolo che acconsente al suo male o addirittura lo provoca.

(…)

O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! Vi lasciate sottrarre sotto i vostri occhi il meglio del vostro reddito, saccheggiare i vostri campi, devastare le vostre case e privarle degli antichi mobili di famiglia; vivete in modo tale che non potete più vantare alcuna proprietà veramente vostra; e date l’impressione che vi considerereste già molto fortunati se vi si lasciassero solo la metà dei vostri beni, delle vostre famiglie, delle vostre vite. E tutti questi danni, questi guai, questa rovina, vi derivano non già dai nemici, bensì certamente proprio dal nemico, da colui che voi stessi rendete così potente, per il quale andate in guerra con tanto coraggio, per la cui grandezza non esitate affatto ad affrontare la morte. Colui che vi domina così tanto ha solo due occhi, due mani, un corpo, non ha niente di diverso da quanto ha il più piccolo uomo del grande e infinito numero delle vostre città, eccetto il vantaggio che voi gli fornite per distruggervi. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se voi non glieli forniste? Come farebbe ad avere tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, donde gli verrebbero se non fossero i vostri? Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro?

(…)

È difficile immaginare come il popolo, da quando è asservito, cade improvvisamente in uno stato di tale profonda dimenticanza della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riprendersela, e serve tanto spontaneamente e tanto volentieri, che a vederlo non si direbbe che ha perso la libertà, ma che ha guadagnato la servitù. E ben vero che all’inizio si diventa servi perché costretti o sconfitti dalla forza: ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianto, e fanno volentieri ciò che i loro predecessori avevano fatto per costrizione. In tal modo gli uomini nati sotto il giogo, cresciuti e allevati come servi, non pensano più al passato, ma si accontentano di vivere nella medesima condizione in cui sono nati; non credendo di avere beni e diritti diversi da quelli che posseggono, ritengono naturale la condizione servile in cui sono nati.

(…)

… senza dubbio l’abitudine, che in ogni campo esercita un enorme potere su di noi, non ha in nessun altro campo una forza così grande come nell’insegnarci la servitù. È proprio l’abitudine, come si dice di Mitridate il quale finì con l’abituarsi al veleno, che c’insegna a ingurgitare, senza trovarlo amaro, il veleno della servitù.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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9 risposte a Discorso sulla servitù volontaria

  1. Emanuele Di Felice ha detto:

    Servitù e servitù volontaria.
    “E ben vero che all’inizio si diventa servi perché costretti o sconfitti dalla forza: ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianto, e fanno volentieri ciò che i loro predecessori avevano fatto per costrizione. In tal modo gli uomini nati sotto il giogo, cresciuti e allevati come servi, non pensano più al passato, ma si accontentano di vivere nella medesima condizione in cui sono nati; non credendo di avere beni e diritti diversi da quelli che posseggono, ritengono naturale la condizione servile in cui sono nati.”

    Se mi sento schiavo sono schiavo se non mi sento schiavo sono schiavo lo stesso, dunque sono sempre schiavo. Compiuto e perfetto.

    Per Marx ed Engels e i loro epigoni, la coscienza è (dunque quella di tutti) passiva, ma i suddetti non hanno mai spiegato perché la loro coscienza no.

    “E’ un femminismo (un pensiero ndr) sottilmente clericale, perché si serve del vecchio trucco apologetico secondo cui l’unica libertà è l’adeguazione della coscienza al vero Bene, teologicamente o ideologicamente prescritto, e ogni altra espressione libera è illusoria, è la maschera di una schiavitù così interiorizzata da non essere percepita come tale (in altri termini: il femminismo radicale e moralista pretende di sapere che cosa realmente desiderano le donne meglio delle donne stesse)” (Guido Vitiello).

    Non si può rispettare la soggettività altrui (“se io donna mi sento serva sono serva”) quando conviene e falsificare la soggettività altrui(“se io donna non mi sento serva lo sono lo stesso in quanto vittima della violenza simbolica maschile”) quando conviene.

    • Ma che c’entra? Mi spieghi per favore come sei arrivato da questo passo – da questo testo, scritto nel 1500 da un uomo, un testo che è tutto fuorché femminista, basta leggerlo per intero, ad esempio in questo punto: “non essere governati, ma tiranneggiati, senza più avere come PROPRI (il maiuscolo è mio) né beni, né genitori, né donne, né figli e neanche la loro stessa vita” – al “femminismo radicale e moralista”?

      Volevo offrire uno spunto di riflessione, per invitare le persone ad indagare se stesse, non certo fornire alla gente un’idea di “vero Bene”, una definizione del quale non ritengo di essere in grado di fornire…

      • Cinzia ha detto:

        … e bhe sai Ricciocorno siamo donne, mica riusciamo a ragionare di massimi sistemi 😉

    • IDA ha detto:

      @Emanuele..Spinoza, diceva; il più schiavo è colui che ignora le sue catene. La differenza non è tra essere o non essere schiavi, ma tra obbedire e disobbedire. «siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi». Ètienne de La Boétie mi sembra semplice..
      in riferimento alla tua frase; “Per Marx ed Engels e i loro epigoni, la coscienza è (dunque quella di tutti) passiva, ma i suddetti non hanno mai spiegato perché la loro coscienza no.” Io non sono assolutamente marxista, ma ho letto Marx, cosa che forse, non hai fatto te.. perché se leggi “Il Manifesto” o “L’Ideologia tedesca” ti accorgi delle sciocchezze che hai detto..
      Per femminismo radicale e moralista cosa intendi? Perché sono due cose contrapposte.

  2. IDA ha detto:

    «siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi». Tutto qui, la relazione tra dominio e obbedienza. Il “non obbedire non comandare” degli anarchici ha origine da La Boètie, anche se alcuni pensatori tipo Stirner, Proudhon, Bakunin e Tolstoj, attribuivano il “Discorso sulla servitù volontaria” a Montaigne. Comunque chi sia l’autore o se era semplicemente un “esercizio retorico” come molti sostengono, non cambia nulla al senso del “Discorso”. Ora per gli anarchici la disubbidienza si sposta anche al comando, perché come spiega bene Stirner, “chi sa comandare prima di tutto sa obbedire”. Ma non è dell’irrazionalità del dominio, credo, che tu voglia parlare, ma della volontarietà e l’abitudine a servire, di certe scelte “autodeterminate”? Se è così sono d’accordo con te, se c’è asservimento non può esistere autodeterminazione.. e lo sfruttamento avviene sopratutto con il consenso dello sfruttato/a.

    • “Autodeterminazione” è un termine che normalmente si contrappone al “determinismo”, che pretende che le decisioni dell’uomo nulla hanno a che fare con la sua volontà. Il mondo non è in bianco e nero, eppure sembriamo incapaci di ragionare se non per opposti: o tutto dipende esclusivamente dalla volontà dell’individuo oppure l’individuo è schiavo delle circostanze. Ma fra questo bianco e questo nero ci sono una infinita varietà di colori e una ancora più infinita varietà di sfumature che nelle discussioni sul tema si evitano abilmente. La gente normalmente semplifica, sostenendo che parlare dell’influenza che un dato sistema sociale può avere sulla volontà dei singoli equivalga a negare la capacità dell’essere umano di prendere liberamente delle decisioni. La realtà delle cose è molto più complessa e variegata e a mio avviso, contestare sul nascere ogni analisi del contesto volta a rendere palesi quelli che possono essere i fattori ambientali condizionanti, non solo non favorisce l’ “autodeterminazione” dei singoli ma non può che limitare ulteriormente l’esercizio della volontà individuale.

      • IDA ha detto:

        Si! Le libere decisioni sono libere solo quando non sono dettate dalle esigenze. La stessa libertà è un concetto vuoto se non è accompagnato da autonomia, ma anche solidarietà e mutuo appoggio, tra i simili..si sono concetti vecchi e passati un po’ di moda, ma per me, rimangono sempre fondamentali.

  3. Paolo1984 ha detto:

    io mi limito ad affermare che siamo tutti il frutto combinato di natura, cultura e storia e anche delle circostanze ma non di meno siamo responsabili nel bene e nel male di ciò che decidiamo di fare

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