Le donne sono vittime in quanto donne?

dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica:

Riconoscendo che le donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini;

Riconoscendo che la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato e che anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica;

Riconoscendo che i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia;

Aspirando a creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica,

Articolo 3 – Definizioni

a)   con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;

b)   l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;

c)   con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;

d)   l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato;

e)   per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b;

strawman

Vorrei rispondere ad una critica che mi è stata mossa di recente.

In un articolo su Femminismo a Sud, il cui tono non nasconde il disprezzo dell’autrice per il mio lavoro qui, la strega (è il nick con cui si firma, non un mio giudizio) scrive:

Ricciocorno, d’altronde, non fa che dire che le donne sono vittime in quanto donne

senza riportare dove e quando avrei scritto una frase del genere.

Non so se l’ho scritta o meno. Certo, del termine “vittima” nel contesto della violenza di genere ho scritto spesso.

Mi sento pertanto in dovere di chiarire qual è il mio punto di vista sulla questione, che rischia di essere banalizzata dalla diffusione di una frase piuttosto ambigua.

Ribadisco il significato del termine vittima, così come lo si trova nel dizionario della lingua italiana:

Chi perisce in una sciagura, in una calamità, in seguito a gravi eventi o situazioni: le v. del terremoto; le v. dell’ultima guerra; le v. del terrorismo; le v. di un disastro ferroviario, di una sciagura aerea

Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso: restare v. di un intrigo, di un tradimento; essere v. della prepotenza altrui; vittime della barbarie, della tirannide; anche in riferimento a chi si danneggia da sé stesso: quell’uomo è v. del suo eccessivo attaccamento al lavoro, della sua ambizione. In usi iperb., chi è costretto a subire le imposizioni altrui, a essere succube di altri: essere v. o la v. del marito, della moglie; quel giovane è sempre stato v. della madre, o dell’autoritarismo oppressivo dei genitori…

Nonostante il fatto che, nell’uso quotidiano, con l’espressione “fare la vittima” si intende colui/colei che indulge al vittimismo (uso che genera quelle ambiguità cui ho accennato), c’è una differenza sostanziale fra l’essere vittima e l’essere vittimista, differenza che ho esplicitato in un post tempo fa.

Quello che mi preme chiarire, innanzi tutto, è che a mio avviso lo status di vittima non dipende dalla personalità del soggetto che si trova, in un determinato momento della sua vita, a subire tanto una calamità naturale quanto l’altrui prepotenza, per il semplice motivo che non si può ritenere qualcuno resposabile di qualcosa che non dipende dalle sue azioni, ma dall’agire di qualcun altro o qualcos’altro.

Come essere vittima di un terremoto non dipende dai tratti del carattere del soggetto che si trova suo malgrado nel bel mezzo di un sisma, così possono essere vittime di violenza le persone molto intelligenti, poco intelligenti, simpatiche, antipatiche, melanconiche, spiritose, oneste, disoneste, generose, avare, pavide, coraggiose, intraprendenti, determinate, titubanti, razziste, omofobe, di sinistra, di destra, anarchiche, ecc.

Se parliamo di violenza sessista, ovvero tutti quegli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata, è chiaro che ci si riferisce a vittime di sesso femminile. Vittime che possono essere molto intelligenti, poco intelligenti, simpatiche, antipatiche, melanconiche, spiritose, oneste, disoneste, generose, avare, pavide, coraggiose, intraprendenti, determinate, titubanti, razziste, omofobe, di sinistra, di destra, anarchiche, e molto altro ancora, ma difficilmente saranno di sesso maschile, perché sono le donne quelle maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini.

Se invece parliamo di violenza razzista, le vittime apparterranno ad una minoranza etnica. Se parliamo di violenza omofoba, le vittime saranno omosessuali. Se parliamo di una aggressione a scopo di rapina, le vittime possono essere tutti coloro in possesso di qualcosa da rapinare.

Assumendo questa prospettiva, le donne in quanto donne sono le vittime della violenza di genere, tanto quanto lo straniero in quanto appartenente ad una minoranza etnica è la vittima della violenza razzista. Forse è questo il senso della frase “le donne sono vittime in quanto donne”? Difficile a dirsi senza contesto.

La mia opinione è che non è l’essere omosessuali, donne o appartenenti ad una minoranza etnica che causa la violenza omofoba, sessista o razzista: a causare la violenza è il violento, che si ritiene in diritto e sceglie di provocare danni e sofferenza a particolari categorie di persone, che non possono scegliere di non essere donne, omosessuali o appartenenti ad una minoranza etnica, se lo sono.

Parlare di violenza di genere, insomma, non ci dice nulla delle vittime, ma ci dice qualcosa di chi ha agito con violenza: il più delle volte ci dice che è una persona che discrimina le donne.

Attribuire alla vittima di una violenza determinate qualità (come ad esempio la debolezza), arbitrariamente, appellandosi unicamente al fatto che ha subito quella violenza, rientra a mio avviso in quel meccanismo conosciuto come “colpevolizzazione della vittima“: equivale a dire “hai subito perché c’è qualcosa in te che ti rende vittima (ad esempio, sei debole), se fossi diverso/a non ti sarebbe accaduto”; mentre la violenza, sia essa sessista, razzista, omofoba o a scopo di rapina, è sempre ingiusta (anche quando la vittima è antipatica, disonesta, poco intelligente o titolare di altre qualità che non ci aggradano), e l’unico che dovrebbe assumersene la piena responsabilità è il perpetratore.

Per questo motivo mi trovo in disaccordo con tutte quelle persone che sostengono che definire le donne “vittime”, quando quelle donne hanno subito una violenza fondata sul genere, getta sulla donna lo stigma di “soggetto debole”. Per di più, la logica conseguenza di una simile affermazione è che tutti coloro che per qualsiasi motivo possono essere definiti “deboli”, fragili o vulnerabili, sono persone da stigmatizzare.

Perché il termine vittima imbarazza le donne che si occupano di violenza di genere?

Su questo punto ho pubblicato tempo fa un passo di Patrizia Romito:

…il rifiuto della vittima si configura come una posizione anti-materialista, unwishful thinking, una pia illusione. E’ come se,  rifiutandosi di “fare la vittima”, o impedendo alle altre donne di stare “nel ruolo di vittima”, si potesse eliminare come in un gioco di prestigio quello che rende le donne obbiettivamente vittime: l’oppressione patriarcale e la violenza maschilista. Nella sua versione più estremista, l’attacco alle donne vittime di violenza rientra in una strategia più ampia di discredito nei confronti anche di altre categorie di vittime. Costruendo il fatto di essere vittima come uno stato psicologico, quasi una debolezza della vittima stessa, e non come una condizione obiettiva, il discorso anti-vittime contribuisce a negare la violenza maschilista e l’ingiustizia sociale che rappresenta, e a delegittimare le rivendicazioni delle donne che hanno subito violenza. Diventa così  sempre più difficile contrastare la violenza maschilista contro le donne e il sistema sociale che la rende possibile.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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17 risposte a Le donne sono vittime in quanto donne?

  1. Vale ha detto:

    Molte volte, partendo dai tuoi post, finisco su altri siti con temi analoghi. Li aggiungo ai segnalibri e torno a leggerli. Nonostante io sia capitata più di una volta su FaS, continua a non piacermi.
    Non mi piace il tono, non mi piacciono i contenuti e soprattutto non mi piace il fatto che dopo aver letto ogni loro articolo, mi rimanga attaccata la sensazione che in qualche modo siano più maschilisti lì, che in tanti siti dichiaratamente maschilisti che ho visto in giro. Sul serio.
    Sul serio, mi sembra che quei post trasudino dispregio verso le donne in quanto tali. Sì, ci sono donne più o meno deboli, ed entrambe le categorie vengono colpite dalla violenza di genere. E non trovo corretto sputare in faccia alle più deboli, che non riescono a “salvarsi da sole”, come se la colpa della violenza e della discriminazione fosse di chi non riesce a salvarsi da sola. Vogliamo ricordarci che la colpa è di chi perpetra la violenza e non di chi la riceve? La ciliegina sulla torta è il loro trovare perfettamente sensata la legalizzazione della prostituzione, nonostante i tragici risultati nei paesi in cui è già stata legalizzata.
    Seriamente, a volte sospetto che quel sito sia una copertura per un sito misogino, come è già capitato spesso sul web. :-/

    • A me non piace generalizzare. Se decido di ripondere a qualcuno, deve essere chiaro a chi sto rispondendo (in questo caso non a Femminismo a Sud, ma a la strega, cioè la persona che ha firmato il post da me linkato) e in merito a cosa sto scrivendo: in questo caso neanche tutto il post dal titolo “L’affaire Maschile Plurale: Massimo Lizzi, Il Ricciocorno e il tribunale dell’inquisizione”, ma una frase in particolare dell’intero post, perché fa riferimento a contenuti del mio blog che mi sembra di aver identificato. Solo in questo modo si può eventualmente avviare un dialogo.
      Se voglio argomentare intorno ad un concetto espresso da qualcuno, mi sembra giusto offrire a quel qualcuno la possibilità di ribattere, e come fa quel qualcuno a ribattere se non è chiaro di chi sto parlando?
      Ci sono tanti altri punti, del post, sui quali mi piacerebbe ribattere (e uno è proprio l’invettiva generica, senza riferimenti a persone o a passi precisi dei contenuti che si intende criticare), ma un chiarimento sul perché uso determinati termini e non altri, mi sembrava la questione più importante.
      Sulla vulnerabilità, concordo in pieno, e ti consiglio un bel discorso in proposito che ho trovato su TED: https://www.ted.com/talks/brene_brown_on_vulnerability
      Non trovo giusto demonizzare la vulnerabilità; ognuno di noi può trovarsi, in un momento della propria vita segnato da particolari difficoltà, nella condizione di pensare “non ce la faccio, ho bisogno d’aiuto”. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto, non dovremmo instillare nelle persone la vergogna di non essere sempre autonome e sempre in grado di avere il pieno controllo della propria vita. A tutti noi può capitare di sentirci fragili, e bisognosi. Basterebbe fermarsi a riflettere sul fatto che tutti almeno una volta lo siamo già stati: quando eravamo bambini… Lo siamo di nuovo quando siamo ammalati, infortunati, o quando invecchiamo. A me piace quel verso di John Donne: “Nessun uomo è un’isola/intero in se stesso.”

    • no alla violenza ha detto:

      Vale, “E non trovo corretto sputare in faccia alle più deboli, che non riescono a “salvarsi da sole”, come se la colpa della violenza e della discriminazione fosse di chi non riesce a salvarsi da sola. Vogliamo ricordarci che la colpa è di chi perpetra la violenza e non di chi la riceve?”
      purtroppo ho scoperto che anche Ricciocorno,con mio grande stupore, colpevolizza le madri che per qualche ragione non hanno avuto la forza di liberare loro stesse (e di conseguenza i loro figli) dalla violenza del partner.
      “Hai sottoposto tuo figlio ad anni ed anni di violenza assistita, ****. Gli hai fatto del male. Lo hai costretto a vivere circondato dalla violenza e nella paura. …..”
      Questa sua risposta, data ad una vittima di violenza, mi ha fatto capire che molte di coloro che si occupano di tali questioni non ne sono realmente interessate. Per loro è più importante avere ragione (ad ogni costo) e quando non ci riescono si danno la zappa sui piedi con commenti uguali a quelli che loro stesse bollano come maschilisti.

      • Non è corretto pubblicate un estratto di una conversazione senza pubblicare tutta la conversazione.La conversazione era questa: https://www.facebook.com/ilricciocornoschiattoso/posts/753318514728219 Un certo numero di membri di un gruppo pubblico di facebook si è dato appuntamento nel mio blog per dibattere di Pas. In quel caso io stavo rispondendo ad una testimonianza che è stata fatta abilmente sparire dal web. Se seguite il lungo ed estenuante thread di 100 e passa commenti, sotto il mio commento delle 23:10, ce n’è uno di Myriam Napoli che inizia così: ” Irma sarebbe la normalità, l’equilibrio e soprattutto significherebbe amare i propri figli.”
        Difatti sopra quel commento c’era la storia di Irma, che ha cancellato anche tutti i suoi interventi successivi. Questa donna ha raccontato di aver vissuto per anni con un partner abusante: “mi picchiava davanti a mio figlio, dopo, il giorno dopo, il mio Antonio diceva “mamma, papà è cattivo. Perché non mi dai un altro papà come quello di…. (seguivano esempi)”. Io gli rispondevo “amore, il Tuo papà è uno ed uno soltanto. Papà non è cattivo, papà non sta bene e dobbiamo circondarlo di amore” (il commento era molto più lungo e articolato, ma non ho pensato a fare uno screenshot, ero in buona fede).
        Della violenza assistita ho parlato diffusamente in questo blog. Ribadisco che tutte le donne che subiscono violenza in famiglia, e che decidono di rimanere con un partner abusante pensando di fare il bene dei propri figli, in realtà fanno loro del male, perché è dannoso per un bambino vivere in un contesto familiare dominato dalla violenza. (https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2013/07/11/violenza-e-affidamento-ii-parte/)
        Se il tono di quella conversazione vi sembra aspro, tenete conto che, checché se ne scriva in giro, non sono una santa, e intrattenermi per ore con gente che mi definisce una nazista perché non ritengo si possa diagnosticare la sindrome da alienazione genitoriale ai bambini (visto che la comunità scientifica l’ha definita una teoria priva del necessario conforto scientifico), non mi rende certo la persona più disponibile del mondo.

      • Pensi davvero che cancellare la testimonianza alla quale stavo rispondendo sia una mossa furba? Credi che la gente non si accorga che in quel momento stavo conversando con qualcuno, e che non si chieda come mai l’interlocutore ha cancellato dei messaggi (forse per occultarne il tono, o delle informazioni?) e ne ha lasciati altri? Io non credo che la gente sia stupida… Tu si?

      • Vale ha detto:

        Volevo risponde che prima di farmi un’opinione, avrei voluto leggere l’intero brano/conversazione da cui la frase era stata estrapolata, ma Riccio ha già risposto in maniera esaustiva.
        Non mi è piaciuta come mossa: se volete ribattere, fatelo sugli argomenti che Riccio espone. I giochetti per screditare l’autrice sono, invero, patetici (oltre che riuscirvi malissimo).

  2. no alla violenza ha detto:

    “Hai sottoposto tuo figlio ad anni ed anni di violenza assistita, ****. Gli hai fatto del male. Lo hai costretto a vivere circondato dalla violenza e nella paura. …..” il resto è fuffa

  3. no alla violenza ha detto:

    Ricciocorno, il figlio assiste alla violenza del padre (non della madre). Perche fingi di non capire? Quante volte si è detto che per le donne non è facile denunciare il violento? Quante volte vi siete scagliate contro chi colpevolizzava la vittima? Tu, invece, senza tanti scrupoli, hai pensato bene d’infierire. Quella donna ti ha spiegato che il suo compagno non stava bene (se non ricordo male scrisse che soffriva di un disturbo bipolare) e che per questo necessitava della vicinanza sua e del figlio. Questa donna merita un plauso per aver visto, o quantomeno sperato, che nell’uomo c’era un barlume di bontà. La sua colpa, se proprio vogliamo colpevolizzarla, è quella di aver provato troppo amore. Purtroppo, il suo amore non è bastato a risolvere la situazione.
    Cambiare idea è legittimo. Cambiare idea in base alla convenienza del momento è un tantino scorretto.

    • no alla violenza ha detto:

      Quindi, per concludere, “fuffa” sono le tue giustificazioni, non la violenza assistita.

      • Quindi per concludere non hai risposto. Estrapolare una frase dopo aver fatto sparire il contesto in cui quella frase si collocava, è più che fuffa, è disonesto. Lo so che mi consideri una stronza, e chi ti piacerebbe che tutto il mondo mi additasse come brutta e cattiva, ma devi studiartela meglio. Dai, la prossima volta te ne inventerai una migliore. Sbagliando si impara.

    • Avete fatto sparire il commento, che non parlava affatto della difficoltà a denunciare o del dramma di una donna sottoposta a violenza domestica, ma parlava di “genitore alienante” e di “bambino alienato”. Tutto un altro contesto. Comunque se il tuo scopo è dire ai miei lettori che sono una stronza priva di empatia e tu ne hai le prove, fallo pure. Ma prima rispondi alla mia domanda: perché avete cancellato la testimoninza cui stavo rispondendo?

      • no alla violenza ha detto:

        Capisco. Quando il contesto è quello in cui bisogna difendere la propria opinione sulla non esistenza della Pas, va bene colpevolizzare la vittima.
        Se non ci si è allinea ad un determinata ideologia si è intrinsecamente colpevoli.
        Quindi, se una donna crede alla Pas, bisogna colpevolizzarla. In caso contrario è meritevole della comprensione e del sostegno di tutti.

      • Non era mia intenzione “colpevolizzare la vittima”, ma far prendere coscienza ad una donna che sosteneva di non aver denunciato le aggressioni del partner a lei e ai suoi congiunti per amore verso il figlio, che far vivere per anni il figlio in un contesto familiare in cui è quotidianamente testimone di violenza domestica configura un abuso noto come “violenza assistita”. Molto scioccante leggere riportate le parole del bambino, tra l’altro, che manifestava tutto il dolore e il disagio per una simile situazione. Io informo le persone dell’esistenza dell’abuso su minore perché molti lo ignorano, e anzi esortano le donne a sopportare per il bene dei figli. Un “bene” che non esiste, in un caso del genere, proprio come la Pas. In un simile caso non è corretto parlare di “bambino manipolato”, perché un bambino testimone di reiterate violenze domestiche è a tutti gli effetti un bambino abusato.

  4. no alla violenza ha detto:

    “Ma prima rispondi alla mia domanda: perché avete cancellato la testimoninza cui stavo rispondendo?” perchè lo chiedi a me? se pensi che io sia la stessa persona o un suo conoscente ti sbagli

    • Lo chiedo a te perché è curioso che prima sparisce una conversazione, della quale rimangono decontestualizzate solo le mie risposte, e poi qualcuno compare qui usando proprio quelle risposte per le quali non è più possibile reperire cosa diceva l’interlocutore.

      • Libera ha detto:

        Dire che le donne subiscono violenza in quanto donne è nominare il problema della società sessista e patriarcale in cui viviamo. È la società patriarcale a colpevolizzare la donna e non certamente le femministe. Comunque ho letto l’articolo originale su Femminismo a Sud e onestamente mi sono sentita male. Alla faccia del femminismo e della solidarietà femminile. Bisognerebbe essere femministe perché si crede in determinati valori, gli attacchi personali per astio politico sono davvero ridicoli (e dimostrano la bassezza delle persone suddette).

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