Il familismo amorale

famiglia

L’idea del “familismo amorale” fu, come è noto, usata da Edward Banfield, politologo-antropologo americano, per spiegare la caratteristica principale della società da lui analizzata, uno sperduto paese lucano, in cui egli soggiornò per circa un anno con la famiglia (erano gli anni ’50), e proposta come categoria analitica più generale per interpretare i motivi dell’arretratezza dell’Italia meridionale.

Con “familismo amorale” Banfield intendeva un comportamento rivolto unicamente a perseguire il bene della famiglia, intesa nella sua forma più stretta (genitori e figli), comportamento che provoca un’endemica incapacità di agire per il bene comune, quella che volgarmente viene definita mancanza di senso civico: se la società si basa sulla sola famiglia nucleare e mancano forme di organizzazione sociale più complesse, scompare – secondo l’antropologo – il senso del dovere collettivo, l’abitudine alla collaborazione e solidarietà.

Il “familismo amorale”  si accompagna spesso a una formazione statuale centralizzata e autoritaria, che scoraggia la crescita di istituzioni di governo intermedie tra Stato e cittadini. Tra le cause originarie indica la povertà e l’autoritarismo nei rapporti sociali, regolati da rigide gerarchie.

Spesso, quando si parla di violenza domestica, si finisce col fare riferimento proprio al concetto di “familismo amorale”. Scriveva qualche anno fa su Repubblica Chiara Saraceno:

Proprio questa cecità al lato oscuro della famiglia, alle piccole o grandi violenze che si producono al suo interno non solo quando c’è trascuratezza o abbandono, ma quando l’intimità diviene mancanza – o non riconoscimento – di confini tra le persone e il senso di appartenenza diventa pretesa di possesso, lascia particolarmente indifese le vittime di violenze famigliari. Per vergogna, indicibilità, speranza che le cose cambino, malinteso senso di pudore, esse spesso faticano a denunciarle e prima ancora a considerarle inaccettabili. E quando le denunciano, faticano a farle riconoscere dal loro intorno sociale… l’enfasi un po’ asfissiante sulla famiglia come panacea universale rende più muti e ciechi quando le cose non vanno, salvo scandalizzarsi quando il dramma esplode.

La famiglia come valore unico, assoluto, diventa per le vittime di violenza domestica una prigione vera e propria. Poiché la famiglia è l’elemento costitutivo principale della società, poiché non ci sono altri legami a sostegno dell’individuo, è opinione comune che sia fondamentale “tenere unita una famiglia”.

Ieri trovo sulla pagina facebook No alla violenza sulle donne questa notizia:

Picchia e prende a morsi il figlio neonato: in manette papà violento

Non è tanto sull’efferatezza del crimine, compiuto su una creatura inerme e innocente, che mi voglio soffermare, ma su questo passo dell’articolo:

Non era la prima volta che quella giovane donna finiva in ospedale per le botte del marito: i medici del pronto soccorso pare l’avessero refertata almeno altre due o tre volte. Tanto che mamma e bimbo – come è stato ricostruito – proprio giovedì scorso erano usciti da una casa famiglia dove avevano seguito un «programma di riavvicinamento e ricongiunzione familiare» durato quattro mesi. Al ritorno tra le mura domestiche però la situazione non è cambiata: la violenza è tornata subito, secondo quanto raccontato dalla ragazza.

Una donna e un bambino si rivolgono alle istituzioni per essere protetti da un soggetto violento, ma siccome il soggetto violento è il marito-padre, uno degli elementi fondanti del nucleo familiare, donna e bambino vengono riconsegnati al carnefice come vittime sacrificali, dopo un “programma di ricongiungimento”: l’obiettivo primario degli operatori che hanno fatto una scelta del genere non è stato mettere in sicurezza chi aveva subito violenza, bensì salvaguardare la famiglia, la cellula senza la quale il corpo-società, evidentemente, non ritiene di poter esistere.

Alla radice di una scelta del genere c’è l’enfasi asfissiante sulla famiglia come panacea universale, un’efasi che rende muti e ciechi, ma c’è anche una preoccupante mancanza di solidarietà nei confronti di chi, all’interno della famiglia, soffre pene inenarrabili.

Quanto sia grave, il proporre un percorso di ricongiungimento ad una persona che ha subito delle aggressioni, non è chiaro alla maggior parte della gente, perché la maggior parte della gente si rifiuta di accettare l’esistenza di quello che la giornalista di Repubblica chiama “il lato oscuro della famiglia”, ovvero la violenza.

La maggior parte della gente si rifiuta di accettare che “E’ probabile che quei padri che hanno usato violenza sulle compagne adottino anche con i propri figli il medesimo comportamento abusante”.

Recentemente sul blog di Massimo Lizzi Maria Rossi ha pubblicato un intervento polemico nei confronti di Papa Francesco, in intervento che consiglio a tutti di leggere. Il post ha scatenato reazioni piuttosto accese in difesa del Papa, reazioni che mi permetto di commentare.

Il Papa ha dichiarato: “Litigate quanto volete: se volano i piatti pazienza, ma mai finire la giornata senza fare la pace. E se nei matrimoni gli sposi imparano a dire ‘scusa, ero stanco’, a fare soltanto un piccolo gesto, è questa la pace. Questo è un segreto, che evita le separazioni dolorose.”

Maria Rossi ha scritto: “Si tratta, con tutta evidenza, di una gravissima banalizzazione della violenza domestica, ridotta a tollerabile e scusabile conflitto intrafamiliare, analoga a quella operata da un numero assai rilevante di poliziotti e di magistrati, che archiviano con questa motivazione le denunce di maltrattamento presentate dalle donne. Il lancio di oggetti non può essere confuso con un innocuo litigio, ma costituisce una vera e propria forma di violenza fisica e spesso rappresenta una pericolosa escalation rispetto ad una fase precedente caratterizzata da aggressioni puramente verbali. Accompagnare l’espressione “volano i piatti” con l’intercalare “pazienza”  rappresenta, pertanto, una grave manifestazione di sottovalutazione e di tolleranza della violenza.

Analogamente, la riconciliazione  ricercata dopo aver commesso un maltrattamento non assicura affatto il ristabilimento di relazioni familiari armoniose e imperniate sul rispetto, ma si inserisce in un ciclo di maltrattamenti che prevede l’alternarsi di aggressioni sempre più violente e di riappacificazioni sempre più brevi. Se si ignorano queste dinamiche, è doveroso tacere. Se non altro, è opportuno non  legittimare, normalizzare ed incentivare conflitti e violenze domestiche, come fa invece il Papa  rivolgendo, benevolo ed accondiscendente, questa frase agli sposi: “litigate quanto volete”.

Le è stato risposto: “Questa è una STRUMENTALIZZAZIONE delle parole del Papa. Quando si parla di VIOLENZA DOMESTICA bisogna farlo con criterio e obiettività.
E lo dico con cognizione di causa, visto che faccio la blogger e scrivo di violenza di genere, faccio parte di movimenti antiviolenza (ne ho fondato uno recentemente) e sto frequentando corsi specializzanti come Operatrice di centri antiviolenza.
In ogni rapporto di coppia si litiga: possono anche volare piatti (in casa mia li faccio volare io, se proprio volano…) e poi si fa pace.
Esiste forse un rapporto di coppia senza litigi e scontri? esiste il rapporto perfetto? ogni litigata è un atto di violenza domestica?
Qui si sta sparando a casaccio ed è un messaggio deviato e deviante. Terribile. Serve criterio nel parlare di certi argomenti.

E’ vero, c’è una profonda differenza fra due persone che litigano e la violenza domestica. Ma né il Papa, né gli operatori che hanno assistito la giovane donna picchiata e poi avviata al programma di “ricongiungimento familiare”, sembrano in grado di distinguere le due cose.

(Mi rendo conto che scrivere “il Papa non sa” è in contraddizione con il dogma dell’infallibilità papale, ma ne risponderò eventualmente in altre sedi.)

Sono tante le persone che non sanno distinguere le due cose, troppe. E molte di queste persone si considerano esperte dell’argomento.

E non parlo di chi ha commentato, ovviamente (perché non lo conosco e perché so che ci sono eccellenti operatori in giro) ma parlo di persone come questa di cui scriverò ora.

In un articolo de Il Fatto Quotidiano dal titolo “Il contrappasso nella coppia”, chi scrive mette in relazione di causa ed effetto la “conflittualità” con la violenza, suggerendo che nell’intervenire in un caso di violenza domestica, la cosa più importante è analizzare la relazione: “Sul piano psicologico è importante spiegare, analizzare l’equilibrio che si crea tra i due partner, risalire a come hanno costruito un certo modo di stare insieme, a come mantengono il livello e la qualità degli scambi affettivi.” Certo, poi aggiunge “Capire e spiegare naturalmente non significa giustificare, una violenza rimane sempre una violenza.” Ma come terapia propone questo:Un percorso di revisione del rapporto dovrebbe iniziare dalla ricostruzione della storia a partire dai motivi che hanno avvicinato i due partner, passando per i momenti che hanno determinato la crisi e l’allontanamento per poi magari ricominciare da lì.

Ecco: ricominciamo. Immagino sia quello che è stato prospettato alla giovane donna il cui bambino è stato aggredito a morsi: analizziamo la vostra relazione, andiamo a vedere dove entrambi avete sbagliato (“Limitarsi  a considerare il partner maltrattante come cattivo e quello maltrattato come buono non aiuta a comprendere il costruirsi e mantenersi di relazioni che dall’esterno appaiono inconcepibili” dice anche l’articolo), perché se tu – vittima della violenza – accetti di cambiare, allora anche chi ha abusato di te cambierà e potrete tornare insieme, felici e contenti. La separazione è evitata. La famiglia è integra, quindi il bambino è al sicuro. Il Papa è contento (davvero?). I piatti volano e magari li fa volare lei, un domani, proprio grazie alla terapia, chissà.

Perché due persone “litighino” c’è bisogno di un nucleo familiare in cui non sussiste uno squilibrio di potere, c’è bisogno di un contesto sociale privo di relazioni basate su una rigida gerarchia fondata sul genere, una società in cui non esiste discriminazione e in cui il senso di appartenenza non si trasforma in pretesa di possesso.

E non è questa società, non è l’Italia, non oggi, non ancora. Se abbiamo fatto dei passi avanti dai tempi di Banfield, ancora non siamo arrivati al traguardo.

Vogliamo negarlo?

Sicuramente esistono singole famiglie così – sono sempre di più e sono felice per loro – ma non è certo una situazione abbastanza diffusa da ignorare il problema violenza. Perché questo ha fatto il Papa: ha volutamente ignorato il “lato oscuro della famiglia”, quel lato oscuro in cui  vivono ogni giorno donne e bambini privati della tutela sufficiente ad impedire che subiscano ancora e ancora da uno Stato muto e cieco, che chiede alle vittime di armarsi di santa pazienza e sottoporsi a terapie atte a renderle “idonee” a tornare in seno alla sacra famiglia. Perché anche se le botte fanno male, l’unica cosa che ci ostiniamo a considerare veramente dolorosa (e quindi degna di nota) è la separazione.

Per onestà nei confronti del “Il Fatto Quotidiano” voglio proporvi anche l’intervento di Mario De Maglie: La violenza non è un problema di coppia.

Gran parte del lavoro clinico con gli autori e le vittime punta alla presa di coscienza che il comportamento violento è categoricamente responsabilità di chi lo mette in atto – ci dice De Maglie – Con questo non voglio affermare che nella coppia non ci siano altre problematicità e aspetti conflittuali, ma che vanno distinti e trattati separatamente e solo in un secondo momento. Prioritario deve essere, sempre e comunque, la sicurezza del membro della coppia che subisce il maltrattamento.

Proporre la mediazione familiare – perché questo è il “programma di ricongiungimento familiare” – quando una donna ha subito violenza è sbagliato: chi lo ha fatto dovrebbe sentirsi sulla coscienza tutto il peso delle ferite di quel povero bambino.

Questa è una STRUMENTALIZZAZIONE delle parole del Papa. Quando si parla di VIOLENZA DOMESTICA bisogna farlo con criterio e obiettività.
E lo dico con cognizione di causa, visto che faccio la blogger e scrivo di violenza di genere, faccio parte di movimenti antiviolenza (ne ho fondato uno recentemente) e sto frequentando corsi specializzanti come Operatrice di centri antiviolenza.
In ogni rapporto di coppia si litiga: possono anche volare piatti (in casa mia li faccio volare io, se proprio volano…) e poi si fa pace.
Esiste forse un rapporto di coppia senza litigi e scontri? esiste il rapporto perfetto? ogni litigata è un atto di violenza domestica?
Qui si sta sparando a casaccio ed è un messaggio deviato e deviante. Terribile. Serve criterio nel parlare di certi argomenti. – See more at: http://www.massimolizzi.it/2013/10/papa-francesco-tollera-la-violenza.html#sthash.Ml5OAM9n.dpuf
Litigate quanto volete: se volano i piatti pazienza, ma mai finire la giornata senza fare la pace. E se nei matrimoni gli sposi imparano a dire ‘scusa, ero stanco’, a fare soltanto un piccolo gesto, è questa la pace. Questo è un segreto, che evita le separazioni dolorose. – See more at: http://www.massimolizzi.it/2013/10/papa-francesco-tollera-la-violenza.html#sthash.Ml5OAM9n.dpuf

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
Questa voce è stata pubblicata in affido e alienazione genitoriale, attualità, giustizia, riflessioni, scienza, società e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento