La tenera età del minore e la questione del doppio domicilio

neonati-crescita

Continuano a circolare in rete appelli per il vero affido condiviso, appelli che chiedono, per il bene dei bambini, il doppio domicilio.

Ho già trattato questo argomento, perché mi sta a cuore e perché ho riscontrato, nei vari documenti che propagandano l’idea che il superiore interesse del minore coincida sempre e comunque con un bambino estattamente diviso a metà, parecchi errori grossolani.

Ve li riassumo:

l’inesattezza più macroscopica e imbarazzante l’ho riscontrata nel documento, firmato dal Dott. Luigi Palma, Presidente dell’Ordine degli Psicologi (Consiglio Nazionale), presentato in Senato a supporto dei disegni di legge che propongono il doppio domicilio; il suddetto documento cita come fonte a sostegno della teoria uno studio svedese: lo studio di Anna Sarkadi, Robert Kristiansson, Frank Oberklaid e Sven Bremberg “Fathers’involment and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies” mette in evidenza come il coinvolgimento paterno – inteso come tempo di coabitazione, impegno e responsabilità – abbia influenze positive sullo sviluppo della prole. Mi sono letta lo studio svedese per intero, e ho scoperto che non parla affatto di coionvolgimento paterno in caso di separazione fra i coniugi, ma analizza solo coppie con prole felici e conviventi (pag. 154 “per gli scopi che questo studio sitematico si prefigge, la definizione di ‘padre’ include sia il padre biologico che altre figure maschili. Potrebbero essere patrigni, o uomini che coabitano con la madre”).

D’altra parte, sulla questione “affido” la legge svedese si esprime così: it has been clear from the rules in the Children and Parents Code that the best interests of the child are to be the primary consideration. The importance of the best interests of the child is now further underlined in that the Code stipulates explicitly that the best interests of the child must be the determining factor in all decisions concerning custody, residence and access. It has thus become more important for courts and social services committees that are to decide on issues involving custody, residence and access to adopt a distinct child perspective. (fonte: http://www.government.se/content/1/c6/06/87/31/f36b184c.pdf) Non si parla di residenza alternata, ma di singoli casi e di “prospettiva del bambino”: ogni singolo caso va valutato per decidere la migliore soluzione, sia per ciò che riguarda il tipo di affidamento (custody), sia per ciò che riguarda la residenza (residence), sia per ciò che riguarda le visite (access). A proposito del condiviso (joint custody) spiegano che i Tribunali per concederlo o toglierlo devono assicurarsi che sia nel migliore interesse del minore: As before, a court is entitled to refuse to dissolve joint custody or to decide on such custody against the will of one of the parents, provided that joint custody is in the best interests of the child. Ora, è evidente che se il condiviso è oggetto di indagine, ovvero se il Tribunale è chiamato a valutare quando coincida con la soluzione migliore per il minore, significa che il condiviso non è considerato la soluzione migliore a priori: ogni caso va valutato secondo le sue specificità. Uno degli aspetti che il Tribunale deve tenere da conto è la capacità dei genitori di cooperare: the court must take particular account of the parents’ ability to cooperate on issues involving the child.

Il Professor Turchi, che pure si è espresso in Senato patrocinando il doppio domicilio, cita lo studio Poussin e Martin Leubern (che in realtà si chiama Lebrun) Conséquences de la séparation parentale chez l’enfant.

Peccato che lo stesso Gérard Poussin, Professore di psicologia clinica all’università Pierre Mendès-France di Grenoble, nel volume Pour o contro la garde alternée? del 2010, abbia dichiarato: La residenza alternata non può affatto essere pensata con la stessa modalità per età differenti. Ci sono differenze evidenti tra un bambino molto piccolo, un bambino nel periodo scolare e un adolescente. ()
Vorrei farvi conoscere il risultato di due studi che abbiamo realizzato. Il primo è conosciuto e pubblicato e l’altro in corso di stampa.
Il primo studio (Conséquences de la séparation parentale chez l’enfant) è stato fatto nel 1996, prima della legge del marzo 2002 che ha autorizzato la residenza alternata. È risultato che i bambini in residenza alternata erano il 3,6% e avevano una migliore stima di sé rispetto ai bambini che vivevano secondo una modalità di affido più classica: la residenza principale.
Oggi questa differenza è completamente scomparsa. Questo significa che prima del 2002, poiché il giudice non poteva imporre la residenza alternata, i genitori dovevano mettersi d’accordo e comunicare tra loro. Oggi, si ha sempre il 3,6% che comunicano tra loro e il restante 16% cui questa modalità di affido è stata imposta. E senza comunicazione, i benefici della residenza alternata sono annullati.

Insomma, anche il Professor Turchi non sembra troppo bene informato; o, meglio, dovrebbe aggiornarsi, perché per il Professor Poussin due fattori sono determinanti nel decidere a proposito di affidamento: l’età del miniore e la capacità dei genitori di cooperare (come stabilisce anche la legge svedese).

A proposito di questi due fattori di rischio, ho riportato i risultati di due studi australiani: (Post-separation parenting arrangements: Patterns and developmental outcomes. Studies of two risk groups, di Jennifer McIntosh, Bruce Smyth, Margaret Kelaher, Yvonne Wells and Caroline Long, 2011):

School-aged children in high conflict separation

Overnight care patterns and the psycho-emotional development of infants and preschoolers

I sostenitori del doppio domicilio, inoltre, si ostinano a diffondere l’idea che altrove, fuori dai confini italiani, il doppio domicilio sia la norma; la realtà è che, spesso, traducono male gli studi cui fanno riferimento: joint phisical custody, ad esempio, non coincide affatto con una esatta divisione del tempo fra i genitori, come spiega accuratamente il dizionario legale.

Sebbene alcuni magistrati italiani dimostrino di essere in linea con le più recenti ricerche sull’argomento (come dimostra questa sentenza del Tribunale di Trieste), i sostenitori del “doppio domicilio sempre e comunque” insistono col proporlo sulla base delle medesime premesse pseudoscientifiche, pertanto mi sembra corretto fornire delle informazioni un tantino più precise su alcuni argomenti.

Il primo punto dolente che vorrei affrontare è quello che riguarda i bambini al di sotto dei 4 anni di età, per segnalarvi un recente e importantissimo studio scientifico che ha approfondito la teoria dell’attaccamento di Bowlby mettendola in relazione con lo sviluppo cerebrale del neonato.

Il lavoro è del 2011 ed è a cura del Dr Allen Shore [Shore, A. & McIntosh, J. (2011). Family law and the neuroscience of attachment, part I: Attachment theory and the emotional revolution in neuroscience. Family Court Review 49 (3), 501-51] e del Dr
Dan Siegel [Siegel, D. & McIntosh, J. (2011). Family law and the neuroscience of attachment, part II: On attachment, neural integration, and meanings for family law. Family Court Review 49(3), 513-520].

Una piccola premessa: siamo nel campo delle neuroscienze. Con il termine neuroscienze si intende l’insieme delle discipline che studiano i vari aspetti morfofunzionali del sistema nervoso mediante l’apporto di numerose branche della ricerca biomedica, dalla neurofisiologia alla farmacologia, dalla biochimica alla biologia molecolare, dalla biologia cellulare alle tecniche di neuroradiologia.

Per dirla in modo più semplice, questo campo della medicina si occupa di studiare la struttura e il funzionamento del cervello e di tutto ciò che dal cervello si dirama (midollo spinale, nervi…), sistema che fra le sue funzioni ha quella psichica e quella intellettiva, insomma il pensiero, la coscienza, la memoria ecc.

Ci raccontano il Dott. Siegel e il Dot. Shore che la teoria dell’attaccamento svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del cervello, determinando nell’adulto la qualità dei rapporti con gli altri esseri umani.

Alla nascita il cervello del bambino non è del tutto formato e non è in grado di regolare autonomamente le proprie emozioni ed in particolare non è in grado di controllare il meccanismo di regolazione dello stress; l’attaccamento, ovvero quella particolare relazione che un bambino nei primi anni di vita stabilisce con un caregiver principale, è ciò che sopperisce a questa mancanza e contemporaneamente ciò che contribuisce allo sviluppo di un corretto meccanismo di regolazione delle emozioni e dello stress.

Il caregiver principare, la figura adulta di riferimento, è colui che agisce da regolatore dello stress al posto del bambino, aiutandolo ad imparare nel tempo ad autoregolare le proprie emozioni.

Perché il bambino, sebbene stabilisca relazioni significative e importanti anche con altri caregiver, sceglie una figura sola di riferimento? Perché, appunto, il suo cervello è ancora ad uno stadio primitivo; pertanto sono limiti biologici quelli che fanno si che il bambino crei quel particolare legame chiamato attaccamento solo con uno dei caregiver.

Il genere del caregiver è determinante? Su questo punto non c’è concordanza fra i due studiosi. Mentre il Dott. Shore ritiene che la madre sia biologicamente predisposta ad essere il caregiver principale, poiché nelle donne si riscontra una corteccia orbitofrontale più sviluppata che nei maschi adulti e quindi, ad esempio, una maggiore capacità di leggere le espressioni facciali, interpretare il tono di voce e la gestualità in termini emotivi, il Dott. Siegel ritiene che la predisposizione femminile al ruolo di caregiver sia principalmente di matrice culturale, visto che nei casi in cui non vi sia materialmente nessuna madre l’attaccamento del bambino con un caregiver di sesso maschile risulta essere normalmente organizzato.

Che sia maschio o femmina, che cosa fa il caregiver principale? Il caregiver principale è quel soggetto sintonizzato sulle esperienze interiori del bambino. Un legame di attaccamento disorganizzato – ovvero un bambino e un caregiver non in sintonia – causa dei problemi nello sviluppo delle capacità di regolare le emozioni: un bambino con un legame di attaccamento disorganizzato sarà un adulto incapace di gestire le sue emozioni e incapace di relazionarsi con gli altri in modo costruttivo.

Per questo motivo entrambi gli studiosi si esprimono a proposito dell’affidamento in caso di divorzio, consigliando le persone preposte a prendere decisioni in questi casi a tenere conto dell’importanza di non danneggiare il legame di attaccamento con il caregiver principale (chiunque esso sia). E il doppio domicilio rischia di danneggiare il legame di attaccamento con il caregiver principale.

A pag. 507 dello studio scrive il Dott. Shore: 50-50 shared time custody splits during the first two years of a child’s life is highly problematic with negative long-term consequences. Tradotto: dividersi un bambino al 50% quando il bambino ha meno di due anni è molto problematico e ha gravi conseguenze a lungo termine.

Il Dott. Siegel, da parte sua, sottolinea che frequenti spostamenti possono essere disorientanti per il bambino, se non addirittura terrorizzanti. D’altra parte è del tutto normale, egli nota, che nelle famiglie intatte il bambino piccolo trascorra molto più tempo con il caregiver principale di quanto non ne trascorra con gli altri membri della famiglia; conclude che non c’è motivo che il divorzio modifichi questo stato delle cose.

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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32 risposte a La tenera età del minore e la questione del doppio domicilio

  1. justMe ha detto:

    Uao, non so come riesci a trovarle certe informazioni O_O

  2. Maria Serenella ha detto:

    brava ricciocorno, facciamo parlare la scienza

  3. Gino ha detto:

    precisamente…il CARE GIVER principale è sempre il padre . Di madri CARE GIVER nel senso espresso dall’articolo non ne ho mai viste.
    Le madri amplificano gli stress , mai li assorbono al posto del figlio.

  4. valeria ha detto:

    Ti ammiro e ti rispetto. Ma arrivano in Parlamento le tue indagini e confutazioni? Il li invierò da Bolzano

  5. Pietro ha detto:

    Quante belle parole per portare avanti il concetto di “Amore materno” tanto utile a giustificare l’allontanamento del padre, tenersi la casa di proprietà del marito ed avere l’assegno mensile di mantenimento. Il tutto anche quando, a crescere i figli è stato il padre per problemi psichici della mamma e quindi l’amore e l’attaccamento dovrebbe essere solo “Paterno”.

  6. Pietro ha detto:

    Provi a chiederlo ad un Giudice italiano in fase di separazione chi è il “caregiver principale”. In Italia è sempre la mamma che avrà l’affido condiviso, ma “domiciliazione prevalente” , invenzione tutta dei giudici per mascherare il vecchio affido esclusivo, vanificando quanto previsto dalla legge 54 del 2006. I figli diventeranno orfani di padre che mangeranno alla caritas e dormiranno in auto, i contrasti tra i genitori saranno portati all’esasperazione. Questo per il superiore interesse del minore che cresceranno in un clima sicuramente positivo con i soldi del padre, nella casa del padre, ma con la sola mamma e quasi sicuramente il suo nuovo compagno.

    • Fai clic per accedere a testointegrale20101110.pdf

      L’Istat ha pubblicato nel 2010 la terza edizione dell’Indagine multiscopo sull’Uso del tempo, intervistando un campione di 18.250 famiglie e 40.944 individui, che hanno descritto in un diario le attività quotidiane.
      Nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è risultato quasi interamente a carico delle donne, valore di poco più basso di quello registrato nel 2002-2003 (77,6%)
      Ci dice l’Istat: “Persiste dunque una forte disuguaglianza di genere nella divisione del carico di lavoro familiare tra i partner. L’asimmetria nella divisione del lavoro familiare è trasversale a tutto il Paese, anche se nel Nord raggiunge sempre livelli più bassi. Le differenze territoriali sono più marcate nelle coppie in cui lei non lavora. L’indice assume valori inferiori al 70% solo nelle coppie settentrionali in cui lei lavora e non ci sono figli, e nelle coppie in cui la donna è una lavoratrice laureata (67,6%). Rispetto a sei anni prima, l’asimmetria rimane stabile nelle coppie in cui la donna non lavora (83,2%). Cala, invece, di due punti percentuali nelle coppie con donna occupata, passando dal 73,4% del 2002-2003 al 71,4% del 2008-2009. Tale calo riguarda sostanzialmente le coppie con figli: in presenza di due o più figli l’indice passa, infatti, dal 75% al 72,2%.”
      Paradossalmente, la presenza di figli nella coppia non abbassa il valore dell’indice di asimmetria, ma lo innalza: la presenza di figli, in una coppia, aumenta quindi il carico di lavoro di cura della donna, mentre diminuisce il contributo fornito dall’uomo.
      Un altro dettaglio interessante: tra il 1988-1989 e il 2002-2003, ad esempio, si era registrata una significativa riduzione del tempo di lavoro familiare delle donne, soprattutto occupate, e una sua redistribuzione interna, caratterizzata da un calo del tempo dedicato al lavoro domestico e da un incremento del tempo di cura dei figli da parte delle madri.
      La suddivisione del “lavoro familiare” (inteso come tempo dedicato da entrambi i partner al lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi) non riguarda solo la quantità di tempo, ma comporta una distribuzione delle competenze: gli uomini si fanno carico di quella parte di lavoro familiare che comprende il “lavoro domestico e l’acquisto di beni e servizi”, le donne invece si occupano maggiormente del “lavoro di cura”, cioè della prole.
      Se andiamo a leggere il capitolo dal titolo “I tempi di vita di uomini e donne che vivono in coppia”, troviamo questi dati: nel 2008-2009, in un giorno medio settimanale, cioè un giorno teorico che tiene conto sia dei feriali sia dei festivi, la quasi totalità delle donne che vivono in coppia si occupa del lavoro familiare (98,9%), mentre circa il 24,1% degli uomini non vi dedica nemmeno 10 minuti, percentuale che sale al 31% se la partner non è occupata.
      Ma parliamo del lavoro di cura (bambini da 0 a 13 anni): se la donna lavora resta a carico della madre il 65,8% del lavoro di cura, contro il 75,6% se la madre non è occupata. Nel lavoro di cura dei figli piccoli le mamme rispondono alle più diverse esigenze dei figli. La gran parte del lavoro di cura delle madri è rappresentato da cure fisiche o sorveglianza (dar da mangiare, vestire, fare addormentare il bambino o semplicemente tenerlo d’occhio); nel caso dei padri il tempo è soprattutto dedicato ad attività ludiche, che sono anche le sole per le quali l’indice di asimmetria assume valori inferiori al 50%, per la precisione il 41,5% del tempo dedicato al gioco da entrambi i genitori, a significare che è maggiore la porzione di tempo relativa ai padri. Infine, sono ancora più numerose dei padri, le madri coinvolte nell’aiutare i figli quando devono fare i compiti scolastici: in un giorno medio, il 19,3% delle madri contro il 4,8% dei padri segue i figli nei compiti a casa.

  7. Pietro ha detto:

    Visto che per l’istat le mamme lavorano troppo, riterrà giusto allora, far lavorare di più i padri nella cura dei propri figli con una distribuzione di tempi e compiti assolutamente paritari in caso di separazione. Tra l’altro l’Art. 155. della legge 54 del 2006 – (Provvedimenti riguardo ai figli) recita: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
    Doppio domicilio, tempi paritari, mantenimento diretto rappresenta l’unica strada percorribile per garantire un po’ di stabilità e serenità ai figli e una perfetta bigenitorialità. Basta con questa iniquità, il tempo dove il padre andava a lavorare e la mamma cresceva i figli è finito da un bel po’ di anni. Magari le donne smetteranno di pensare alla separazione come un gran bell’affare, usando i figli per estorcere beni e denaro ai loro ex mariti che amavano tanto.

    • Quando gli uomini cominceranno a rivendicare “tempi paritari” anche prima del divorzio, mi troverà molto più disponibile a prendere in considerazione lamentele come questa.
      La legge recita “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di MANTENERE un rapporto”, e non “costruire un rapporto”: contro le iniquità si lotta sempre, non soltanto quando tutta questa manfrina sull’uguaglianza serve solo ad eliminare l’assegno di mantenimento alla prole. Qui gli unici che pensano ad un gran bell’affare sono quelli che cavalcano ipocritamente la battaglia per i pari diritti soltanto quando questa coincide con gli interessi del proprio portafoglio.
      In uno studio canadese (Côté, Denyse (2000). La garde partagée – L’équité en question. Montréal : Éditions du remue-ménage) condotto su 12 famiglie di Montréal che avevano adottano il modello della residenza alternata liberamente scelta e paritaria – vale a dire con una ripartizione identica del tempo di affido dei bambini – anche in queste condizioni apparentemente ideali sul piano dell’equità e del consenso – si è constatata la persistenza di una profonda asimmetria tra padri e madri, tanto sul piano economico – non viene versato alcun assegno alimentare per i figli per compensare le diseguaglianze di reddito, mentre i principali costi di mantenimento spettano alle madri – che sul piano della ripartizione del tempo di affido e del lavoro di cura.
      Finché non si prende coscienza che la genitorialità non è un diritto da esercitare ma un dovere nei confronti dei figli, e finché non si smetterà di chiacchierare a vanvera di “iniquità nei confronti dei padri”, quando invece siamo ancora immersi in una cultura patrarcale che scarica sempre e comunque il lavoro di cura sulle spalle delle donne, non si può aprire un dibattito serio sulla questione.

  8. Pietro ha detto:

    Io ho visto padri prendersi cura dei propri figli tanto più delle madri. Li ho visti investire ogni attimo del proprio tempo vicino ai minori sostituendosi alla madre in tutto e per tutto. Gli stessi, una volta separati, sono stati privati dei propri figli con l’affido condiviso e tempi di permanenza intorno al 15%, privati dell’unica casa di proprietà e con 750 euro al mese da versare alla mamma lavoratrice con stipendio superiore al marito. Visto che non è dato indagare all’interno di ogni famiglia, chi e quanto si prende cura dei minori, facciamolo almeno dopo con giustizia ed equità anche e soprattutto per la serenità dei figli

    • Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
      navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
      e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. (Che ne dice: è vero?)

      Non è né difficile né impossibile indagare. Il problema è che non c’è l’interesse a farlo, perché è molto più facile spalmare un modello standard prestampato di accordo di separazione fingendo che possa calzare a tutte le situazioni. Non fingiamo che c’entri “la serenità dei figli”, per favore, che ho raggiundo il livello massimo di tolleranza all’ipocrisia con questa conversazione.

  9. Pietro ha detto:

    dovrebbe meritare una sa riflessione il fatto che tra tutte le separazioni che avvengono in Italia ogni anno, nessuna presenti condizioni tali da garantire una perfetta bigenitorialità e tempi di permanenza paritari dei figli con i genitori. Dal 2006 ad oggi una solo provvedimento presidenziale stabilisce tempi di permanenza perfettamente paritari di un ragazzo tredicenne. Si informi bene su come i giudici aggirano la legge 54 del 2006 (in favore di chi?) e su perché si cerca di porre rimedio.

    • Sa cosa garantirebbe una perfetta bigenitorialità? Dedicarsi ai propri figli anche prima della separazione. E sa cosa potrebbe rendere molto più credeibili i suoi discorsi? Che fossero associati all’esortazione ad un maggiore utilizzo dei congedi parentali da parte degli uomini, ad esempio.

  10. Pietro ha detto:

    Tantissimi padri lo fanno, tanti ancora non lo fanno. Tantissime mamme lo fanno, tante si disinteressano delegando i nonni. Non è una questione di sesso, ma di persona. Facciamo un po’ di luce e cerchiamo di garantire equilibrio e equità, facciamolo per i figli.

    • Pietro, certo che è una questione di persone, e certo ci sono padri solleciti e padri indifferenti, madri sollecite e madri indifferenti. E’ sbagliato presupporre che le madri siano sempre e comunque il caregiver principale, tanto quanto è sbagliato sostenere che la residenza alternata sia una soluzione ottimale per qualsiasi contesto familiare. Generalizzare è sempre sbagliato.

      • Pietro ha detto:

        Quindi, nel dubbio lasciamo le cose come stanno e col “falso affido condiviso” diamo figli, casa e mantenimento alle mamme. Ai padri lasciamo il diritto di visita, ma solo se pagano e si comportano bene. Il domicilio alternato, tempi paritari e mantenimento diretto devono essere lo standard applicato dai Giudici nelle separazioni. In casi particolari, si dispone un tipo di affido diverso. Questo è mettere da parte interessi economici, questo è sul serio pensare al bene dei figli.

      • Ribadisco: generalizzare è sempre sbagliato. La mia personale opinione è che il primo criterio debba essere il superiore interesse del minore, ed ogni accordo debba essere calibrato sulla famiglia alla quale viene applicato. Lo stesso accordo per tutti non potrà mai essere la migliore soluzione possibile, qualunque esso sia.

  11. Pietro ha detto:

    Certo ma a chi diamo il compito di “calibrare sulla famiglia”? Ai giudici che “calibrano” per il 97% sull’interesse esclusivo delle mamme, utilizzando la bufala della collocazione prevalente. Le cose devono cambiare, pari dignità per i genitori e pari opportunità per i figli.

    • Di nuovo Pietro? Abbiamo detto che su un campione di 18.250 famiglie e 40.944 individui italini, che hanno descritto in un diario le attività quotidiane, il 76,2% del lavoro familiare è risultato quasi interamente a carico delle donne.
      Il Giudici non calibrano sull’interesse delle mamme, i Giudici eventualmente calibrano su quella che è la realistica situazione delle famiglie italiane, nelle quali “Persiste dunque una forte disuguaglianza di genere nella divisione del carico di lavoro familiare tra i partner.”
      Come mai, Pietro, i padri sentono il bisogno di farsi carico del lavoro di cura dei figli solo dopo il divorzio? Come mai occuparsi dei figli è così importante quando è funzionale a non versare un euro di mantenimento alla ex moglie, ma non si parla di pari dignità dei genitori in costanza di matrimonio? Perché nessuno di voi padri scende in piazza a dimostrare per il congedo di paternità, ma si preoccupa solo degli accordi post separazione?
      A proposito di congedo di paternità ti consiglio di leggere qui: http://www.ingenere.it/news/padri-un-giorno-italia-congedo-piu-corto
      “Nella mappa, il congedo di paternità è definito come un periodo di sospensione del lavoro, pagato o non pagato, riservato ai padri in relazione alla nascita di un figlio, non si tiene quindi conto delle disposizioni relative ai congedi parentali utilizzabili dalla madre e dal padre, o dei giorni di congedo che la madre può trasferire al padre.
      Il divario è grande tra paesi diversi come, ad esempio, la Norvegia, dove un padre ha accesso a 112 giorni di congedo di paternità, e l’Italia dove – insieme a Tunisia, Arabia Saudita e Mozambico – il giorno in questione è solo uno…
      In Italia oltre a un giorno di congedo obbligatorio e retribuito (una misura a dir poco simbolica, introdotta nel 2012 dalla Legge Fornero), dalla nascita del figlio i padri possono prendere due giorni supplementari retribuiti attingendo dalla astensione di maternità obbligatoria della madre. Nel nostro paese, il congedo parentale di sei mesi è stato introdotto nel 2000 come diritto individuale e non trasferibile, con il limite che ogni nucleo familiare può raggiungere complessivamente dieci mesi di congedo. Se il padre, poi, prende un congedo di almeno tre mesi, ha diritto ad un ulteriore mese per un totale di 11 mesi per nucleo familiare. Tuttavia, si tratta di un diritto esclusivo, di cui i due genitori non possono godere contemporaneamente (come invece accade negli Stati Uniti), e che riguarda la fase successiva ai primi cinque mesi dalla nascita del bambino riservati invece alla madre.
      La strada della condivisione nella cura dei figli nel nostro paese è ancora lunga e le nuove leggi lo confermano. Come ricorda Tiziana Canal nell’articolo Storie di padri non previsti dal Jobs Act “negli anni è cresciuta la quota di padri che usufruiscono del congedo, (dal 2009 al 2013 si è passati, ad esempio, dal 8,6% al 12,% di padri che hanno utilizzato il congedo parentale nel settore privato e agricolo), ma tuttora sono ancora troppo pochi coloro che vi ricorrono”.

  12. Pietro ha detto:

    “il 76,2% del lavoro familiare è risultato quasi interamente a carico delle donne.” Quindi, il 23,8% del lavoro familiare risulta condiviso! Peccato però, che non riscontro tale percentuale nell’applicazione di un perfetto affido condiviso nelle separazioni. Anzi, a dire il vero, in Italia non ne riscontro nemmeno uno. Forse i Giudici generalizzano un po’ troppo!!!
    Concordo sul Suo discorso circa il congedo parentale, ma una collocazione prevalente può durare anche 30 anni e rovina sul serio padri e figli, forse per questo il problema è molto più sentito.

  13. Pietro ha detto:

    “molto probabilmente” ma non sicuramente, quindi la mamma rimane nella casa del suo vecchio ex e prende ancora il mantenimento. Molto simpatica la cosa.
    I bambini crescono ma le ingiustizie restano.

  14. Pietro ha detto:

    I figli sono delle mamme, niente doppio domicilio per carità!
    Abbiate almeno la coerenza di rimanere single e di utilizzare l’inseminazione artificiale, così un figlio è solo vostro.
    Cordiali saluti

    • Lei ha evidentemente dei problemi a comprendere ciò che legge. Io le ho scritto e riscritto che un accordo standard non può essere applicato a tappeto a tutte le situazioni. Questo significa che se per alcune famiglie la residenza alternata può essere una soluzione, per altre – quelle magari in cui è coinvolto un bambino molto piccolo – invece no. Le ho scritto che ogni accordo deve essere calibrato sulla base delle particolari delle persone coinvolte. Siccome non siamo tutti uguali, è difficile che esista una soluzione che possa calzare a pennello a chiunque. Lei invece vuole imporre il medesimo accordo a tutti. Abbia almeno la decenza di leggere i commenti degli altri prima di rispondere con delle frasette preconfezionate.
      Se poi magari si leggesse anche i post che commenta, e inserisse dei commenti in tema, sarebbe grandioso.

  15. Pietro ha detto:

    Ma Lei ha capito perché c’è tanto fermento per modificare la legge 54/2006?
    Ha compreso che sono i giudici responsabili della mancata applicazione della legge?
    Ha compreso che la collocazione prevalente è stata inventata dai giudici per mascherare il vecchio affido esclusivo?
    Ha compreso che in 9 anni i giudici non hanno mai calibrato un vero affido condiviso?
    Ha compreso perché giudici ed avvocati seguono la stessa linea contro il vero affido condiviso?
    Lei è contro un “accordo standard” di doppio domicilio, ma evidentemente non si rende conto che purtroppo lo standard attuale è solo un affido esclusivo alle mamme con diritto di visita del padre, mascherato da affido condiviso.
    Io non voglio imporre nulla, chiedo solo pari dignità per i genitori e pari responsabilità nella cura, educazione ed istruzione dei figli.

    • Ma lei ha capito che il fatto che lei sostenga che c’è un problema con l’attuale legge non basta a dimostrarlo?
      Lo sa che anche in Francia sono state presentate proposte di legge analoghe? E lo sa perché sono state rigettate?

      La verità sulla Francia: il dibattito in corso intorno alla bigenitorialità


      “Le associazioni dei padri separati partecipanti al gruppo di lavoro pretendono che la residenza alternata venga dichiarata dalla legge la modalità generale di affido…
      La residenza alternata come modalità generale di affido non corrisponde del resto neppure ai desideri dei padri. In Francia l’80% dei genitori separati decidono di comune accordo dove dovranno risiedere abitualmente i figli, il 10% non esprime preferenze e l’altro 10% è in disaccordo. Quando i genitori sono d’accordo, nel 71% dei casi chiedono che i figli risiedano con la madre, nel 10% con il padre e nel 19% con entrambi i genitori alternativamente. Le richieste dei padri sono esaudite dai giudici nel 93% dei casi.
      Le istanze delle associazioni dei padri separati, dunque, non corrispondono affatto a quelle del genitore che sostengono di rappresentare. La residenza alternata non costituisce la scelta prevalente dei genitori separati e non deve essere imposta a chi non la desidera, osservano i membri del gruppo di lavoro diversi dalle associazioni dei padri separati.”
      In Italia quante sono le persone che condividono la sua opinione Pietro? A guardare le foto dei flash mob che organizzate, direi 4 gatti…

  16. Pietro ha detto:

    Togliamo i giudici da mezzo perché evidentemente sono risultati incapaci e non molto imparziali. Mettiamo un equipe di professionisti psicologi a gestire l’affido condiviso, che valutano le competenze di entrambi i genitori e stabiliscono le modalità di affido caso per caso. Il tutto con assoluta imparzialità e senza pregiudizio alcuno.

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