Critiche alla riforma francese: la funzione simbolica della residenza alternata

Tratto da: “Autorité parentale conjointe : le retour de la loi du père“, (Affido condiviso: il ritorno alla legge del padre) di Martin Dufresne e Hélène Palma (Ottobre 2002)

Ringrazio Maria Rossi per la traduzione

Se i padri scelgono di lasciare il lavoro di cura alle donne sia prima che dopo la separazione, hanno comunque bisogno di un pretesto per mantenere l’autorità su di loro e per conservare l’immagine di una partecipazione equa alla cura dei figli che possa giustificare il mancato versamento dell’assegno alimentare.

Da parte loro, i politici di destra si preoccupano di vedere delle donne sfuggire all’influenza maschile e reclamare dallo Stato la presa in carico del lavoro di riproduzione. I due gruppi hanno gradualmente fatto fronte comune intorno ad un discorso di tutela della famiglia tradizionale, che ristabilisca e ampli le prerogative maschili, giocando sulle nozioni di “bisogni dei bambini”, di “consensualità” e di “parità”.

Continuando ad aiutare sotterraneamente i padri separati e divorziati a boicottare gli assegni alimentari e a screditare le vittime delle violenze familiari, la lobby mascolinista ha a poco a poco ridefinito il criterio dell’interesse del minore, di cui le femministe sottolineano da tempo l’ambivalenza.

All’Università, nei media e nelle anticamere del potere, i mascolinisti hanno riportato l’interesse al ristabilimento della potestà paterna, in nome di una vaga promessa di coinvolgimento nella cura dei figli, annegata in un lessico ambiguo. Così, la nozione giuridica di affidamento dei figli, nella quale svolgevano un ruolo centrale le cure prodigate e la residenza stabile, è stata progressivamente rimpiazzata, nelle rivendicazioni dei mascolinisti e, in seguito, nei testi di legge, da termini molto vaghi come “diritti e doveri”, “bigenitorialità” o “condivisione delle responsabilità genitoriali”. Questa tattica ha permesso di restaurare il potere del padre cancellando la presa in carico dell’accudimento dei figli che avrebbe richiesto l’affido esclusivo e schivando gli obblighi materiali come la condivisione con l’ex partner dei beni accumulati durante il matrimonio e il versamento dell’assegno alimentare ai figli.

Assicuratisi l’esercizio dell’autorità e rimossi i propri obblighi economici con il pretesto della parità genitoriale, i padri e lo Stato possono ormai lasciare alle donne il peso totale dell’affido dei figli – vale a dire il lavoro di cura ridiventato invisibile – e i costi principali del loro mantenimento. Questa nuova ripartizione dei compiti – riflesso degli stereotipi di genere tradizionali: ai padri il potere, alle madri il piumino per spolverare – è oscurata dall’attenzione offerta al modello apparentemente equo della residenza alternata, provvedimento che gli uomini possono minacciare di adottare per ottenere dalle donne convenzioni ad essi favorevoli, ma al quale rimangono completamente liberi di sottrarsi.

Benché la pratica sia poco adottata e contestata da parecchi specialisti, la funzione della residenza alternata è quella di legittimare l’imposizione della potestà genitoriale condivisa, che è il vero senso della nuova legge. E’ significativo il fatto che questo concetto ambiguo sia simultaneamente oggetto di un lobbismo internazionale, come dimostra l’antologia Child Custody and the Politics of Gender (1989), nella quale Smart et Sevenhuijsen hanno raccolto i testi di femministe francesi, inglesi, neozelandesi, canadesi, australiane, norvegesi, irlandesi e americane.

I dati empirici raccolti nei Paesi in cui l’affido condiviso costituisce già la soluzione preferita, imposta ai genitori recalcitranti o stabilita dalla legge, dimostrano che il lavoro di cura rimane in grande maggioranza effettuato dal genitore che lo svolgeva prima della separazione e presso il quale il bambino continua abitualmente a risiedere. La realtà non corrisponde al messaggio.

“La forza dell’immagine proiettata dall’affido condiviso non garantisce che si tratti di una misura giusta”, scrive Denyse Côté (2000); “non è necessariamente una modalità di affido equa: non ha la reale portata suggerita dal suo significato simbolico“.

Côté ha studiato 12 famiglie di Montréal che adottano il modello della residenza alternata liberamente scelta e paritaria, vale a dire con una ripartizione identica del tempo di affido dei bambini. Ora, anche in queste condizioni apparentemente ideali sul piano dell’equità e del consenso, ella ha constatato la persistenza di una profonda asimmetria tra padri e madri, tanto sul piano economico – non viene versato alcun assegno alimentare per i figli per compensare le diseguaglianze di reddito, mentre i principali costi di mantenimento spettano alle madri – che sul piano della ripartizione del tempo di affido e del lavoro di cura.

In una sentenza emessa dalla Corte Suprema del Canada (1993), il giudice Claire L’Hereux-Dubé si preoccupava già, nove anni fa, di questa “svalutazione sociale del lavoro di cura abitualmente svolto dalle madri a vantaggio della rivalutazione senza contropartita del ruolo paterno [..], nuovo modello fondato sulla nozione di equità e su quella di interesse del bambino definito in termini di permanenza dei legami biologici“. Questa rimozione permette di non vedere fino a che punto la condivisione fisica dell’affido rimanga una finzione, anche nel caso in cui l’assegno alimentare non venga versato in nome “dell’affido condiviso”.

Per Smart: “Il potenziale progressista contenuto nell’idea di ripartizione delle responsabilità genitoriali tende ad essere rovinato dal modo in cui viene recuperato da un movimento reazionario che cerca semplicemente di attribuire più potere agli uomini. [..] Dopo essere stato un ideale progressista all’inizio del movimento femminista, il concetto di bigenitorialità sembra essere diventato un cavallo di Troia [..] Questi recenti sviluppi possono essere interpretati come parte di un processo di ricostruzione del patriarcato”.

In America del Nord, alcuni esperti mettono ora in dubbio i meriti della potestà genitoriale congiunta. Per esempio, la psicologa Judith Wallerstein, il cui ottimismo iniziale (1980) per questa formula è stato a lungo sfruttato dalla lobby dei padri separati, fino a che essa non si è apertamente dissociata, in una lettera aperta ai parlamentari, da qualsiasi imposizione o applicazione automatica della modalità dell’affido condiviso, scriveva di recente: “I bambini [..], dalle esistenze dominate dalle decisioni assunte da un tribunale o da un mediatore familiare, mi hanno detto di aver avuto l’impressione di essere diventati persone di serie B, private delle libertà di cui godevano i loro coetanei. A loro dire, più diventavano grandi e più acquistavano il desiderio di diventare indipendenti, meno diritti avevano di organizzarsi e di decidere il momento e il luogo ove trascorrere il tempo, soprattutto quello prezioso delle vacanze”.

Altro fattore cruciale: la perpetuazione dei conflitti tra i genitori – alimentata dal rifiuto di riservare la potestà genitoriale al genitore affidatario – è stata definita dall’American Psychological Association (1995) in un rapporto sintetico sugli annessi e i connessi della violenza domestica come l’elemento che più nuoce all’interesse dei bambini.

La legislazione californiana, spesso citata come modello dalla lobby dei padri separati, ha respinto nel 1989 l’applicazione automatica dell’affido condiviso, dopo averne constatato gli effetti nefasti sui bambini. Gli Stati del Colorado e del Maryland hanno recentemente fatto la stessa cosa. L’hanno fatto, fondandosi sui risultati di studi empirici come quelli di Monookin e altri, riassunti da Côté: ” I padri cui è stato concesso l’affido condiviso non cercano di vedere i loro figli più di frequente dei padri non affidatari, non comunicano di più con le loro ex e non partecipano in misura maggiore alle decisioni riguardanti la vita dei loro figli”. Ella cita due studi americani che concludono che meno del 25% dei bambini soggetti al regime della residenza alternata trascorrono lo stesso tempo a casa di entrambi i genitori. Nel 1994 in Canada soltanto il 7% dei bambini soggetti ad un’ordinanza di affido condiviso dimorano per lo stesso periodo di tempo a casa della madre e del padre.

Riprivatizzazione della violenza dei padri?

Altre innovazioni lessicali hanno contribuito a demonizzare il genitore che tentava di proteggere il bambino dalle violenze dell’altro. La nuova legge francese sulla potestà genitoriale mostra queste influenze. Ad esempio, la nozione enigmatica di “genitore più diligente”, inserita senza spiegazioni nell’art.373 comma 2 della nuova legge per designare il genitore che denuncia il rischio di fuga dell’altro, è l’equivalente del criterio del friendly parent penetrato in diverse leggi americane per accreditare il genitore che, secondo la giurista Margaret K. Dore, “non depone accuse contro l’altro genitore, non rifiuta le visite dell’altro al figlio e si mostra cooperativo”.

Il genitore “ben disposto” ottiene l’affido del figlio o, quanto meno, gli è riconosciuta la possibilità di trascorrere più tempo con lui. L’errore di questo approccio è che esso fa dell’affido la ricompensa di un comportamento che non corrisponde necessariamente all’interesse del bambino.

Per Fineman, tale criterio è semplicemente il riflesso di un pregiudizio dei professionisti ostili al concetto stesso di genitore affidatario. Come altre studiose dell’evoluzione del diritto di famiglia, Fineman si interroga sull’ideologia che, rimuovendo la concretezza del lavoro di cura, ha progressivamente ridefinito l’interesse del minore per opporlo a quello del genitore che svolge tale lavoro. Dore ricorda che il criterio del genitore “ben disposto”, particolarmente devastante per le madri che tentano di proteggere i figli o se stesse dalla violenza, è stato invalidato da un tribunale dello Stato di Washington, ma rimane in vigore ed è utilizzato contro le madri da molte altre legislazioni, tra le quali quella del Canada.

Bisognerà vedere, in Francia, come i padri violenti useranno il nuovo art. 373 comma 2 che accorda loro il diritto di condizionare la libertà di movimento della loro ex partner.

Vediamo così lo Stato svincolarsi dall’assolvimento di responsabilità fondamentali e affrancare i giudici dall’attenta valutazione della violenza e dell’irresponsabilità famigliare, che sono le cause più frequenti della separazione dei coniugi.

Il disimpegno dello Stato e la riduzione delle funzioni dei tribunali non è disgiunto da una forte ascesa del suo potere di intervento per ristabilire e preservare la potestà paterna, senza tener conto dell’eventuale pratica della violenza domestica, e sta ad indicare un deciso impegno volto a creare e finanziare reti che andranno a sostituirsi ai diritti delle donne e dei bambini (mediazione famigliare, pseudo-terapie per padri violenti, soppressione degli assegni alimentari, trasferimento degli assegni familiari ecc..)

Si tratta di rischi molto concreti che erano stati segnalati in Francia dal rapporto della Commissione Dekeuwer-Desfossés e da un gran numero di relazioni consegnate al governo da gruppi di donne e di professionisti. Tra l’altro, il Segretariato di Stato ai diritti delle donne e il Ministero della Sanità hanno fatto realizzare due studi fondamentali sulle violenze contro le donne. Il primo di questi studi, l’Inchiesta nazionale sulle violenze contro le donne, che ha rivelato nel dicembre del 2000 che “una donna su dieci che vive in coppia in Francia è stata vittima di violenze l’anno scorso” non sembra aver esercitato alcuna influenza sulle scelte dei parlamentari.

Eppure, altri dati indicano che sono proprio queste violenze – e quelle inflitte ai bambini – ad indurre le donne, nel 50% dei casi, a chiedere il divorzio.

Il secondo studio: il rapporto Henrion (2001), segnala il nesso tra la violenza di un uomo nei confronti della partner e il pericolo che rappresenta per i suoi figli: ” La violenza cui un bambino assiste ha gli stessi effetti su di lui della violenza subita. [..] Il 68% dei bambini sono stati testimoni di scene di violenza […] Il rischio per i figli di madri che hanno subito violenza di diventare a loro volta vittime sarebbe da 6 a 15 volte più elevato”. (Rosalind J. Wright e colleghi, 1997).

Questi rischi aumentano notevolmente se ci si rifiuta di tener conto della violenza famigliare al momento di attribuire la potestà genitoriale o i diritti di visita senza sorveglianza, se si privano le donne del diritto di allontanarsi o di valutare nella vita quotidiana il rischio di nuove aggressioni, se le si distoglie dal ricorso alla giustizia a favore della stipula di intese amichevoli o della frequenza di sedute di mediazione familiare che hanno l’obiettivo di garantire l’esercizio delle prerogative paterne.

Un’analisi esaustiva degli omicidi di donne e bambini commesse dagli uomini in Québec rivela che le uccisioni dei bambini da parte del padre hanno conosciuto un’inquietante accelerazione: sono più che raddoppiate nei periodi 1991-1994 e 1997-2001. Fatto significativo: la maggioranza di questi delitti avvengono durante o poco dopo una separazione, spesso in occasione delle prime visite o dell’applicazione iniziale della modalità d’affido con residenza alternata, accordata, contro il parere della madre, a uomini violenti o depressi.

La fine del diritto di divorzio?

In conclusione, noi vorremmo proporre qualche spunto di riflessione e di azione.

In primo luogo, un’analisi della situazione dopo l’adozione della legge sulla potestà genitoriale. Per le madri:

  • diritto di veto sulle loro decisioni, compreso il diritto di trasferirsi altrove;
  • esenzione dall’assegno alimentare da versare ai figli e dalla condivisione dei beni (ma appropriazione della metà dei vantaggi sociali e fiscali) per chi richiede una residenza alternata che sarà libero di usare o meno in misura uguale all’altro genitore, imminente cancellazione della colpa in caso di divorzio e soppressione delle prestazioni compensatorie;
  • restrizione dell’accesso delle donne alla giustizia a causa del privilegio accordato agli accordi privati e al procedimento di conciliazione di cui non è provata l’efficacia e che è suscettibile di essere imposto anche in caso di violenza, procedimento che sostituisce in altri Paesi il patrocinio per il ricorso ai tribunali, crescente resistenza a limitare i diritti dei padri aggressivi e minacciosi, anche in caso di violenze accertate o di stupro;
  • inasprimento delle sanzioni contro le madri e gli altri che tentano di porre limiti al diritto di visita di questi padri violenti, ripresa dei discorsi ostili alle madri.

Questi sono tutti segnali del contrattacco contro le donne e della riduzione del diritto di divorzio.

Biologista ed essenzialista per la sua sacralizzazione della figura del padre, la nuova legge risospinge nel privato, svalutandola, la presa in carico dei figli e il lavoro domestico e ciò comporta la cessazione della legittimazione della potestà genitoriale delle donne, sottomesse più che mai all’autorità degli uomini.

Un imprigionamento che restaura gli stereotipi sessisti in nome di un padre simbolico, incarnato dalla triade Stato- genitore biologico – mediatore famigliare.

Come in altri campi ridotti al volontariato caritatevole, si fa leva sui valori difesi dalle donne per compromettere le condizioni materiali che rendono possibili le cure parentali che esse dispensano, minacciandole, perché sebbene i padri abbiano ora tutti i diritti – compreso quello di delegare la potestà genitoriale a qualcun’altra – è tuttavia solo della loro sofferenza che si parla, anche e soprattutto quando feriscono, rapiscono o uccidono.

biancaneve

Informazioni su il ricciocorno schiattoso

Il ricciocorno schiattoso si dice sia stato avvistato in Svezia da persone assolutamente inattendibili, ma nonostante ciò non è famoso come Nessie.
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22 risposte a Critiche alla riforma francese: la funzione simbolica della residenza alternata

  1. valerio ha detto:

    io penso che lei abbia dei profondi conflitti interiori irrisolti per accanirsi in modo cosi incomprensibile e patologico verso il mondo maschile e verso il diritto dei figli di avere pareteticamente un rapoorto equilibrato e continuo con entrambi i genitori…

    • Lo pensa perché è un professionista del settore o solo perché accusa di avere disturbi psicologici tutti quelli che non sono d’accordo con lei?
      Questo modo di confrontartsi con chi espone un’idea che non corrisponde alla sua è scorretto: non tutti quelli che non la pensano come lei lei sono pazzi, sa?
      Come ho spiegato più volte, questo modo di argomentare è una fallacia logica e si chiama argumentum ad hominem: http://it.wikipedia.org/wiki/Argumentum_ad_hominem
      Di solito lo usa chi non sa come gestire un confronto argomentativo, perché non ha idee proprie o semplicemente perché non ci sono argomenti logici da contrapporre, e si trova costretto ad insultare l’avversario per delegittimarlo.

    • Lilli ha detto:

      io penso che lei abbia dei profondi conflitti interiori irrisolti per accanirsi in modo cosi incomprensibile e patologico verso il Ricciocorno. 😉

  2. Dott. De maio ha detto:

    Mi chiedo perché le donne vogliono fare carriera, essere presenti nelle forze armate, uscire e divertirsi ma poi dicono che gli uomini vanno a lavorare e sono le donne a dover occuparsi dei bambini, secondo un vecchio stereotipo di famiglia che ormai non esiste più. Perché partire da un preconcetto e non analizzare caso per caso. Chi siamo noi per giudicare? Esistono padri cattivi e madri cattive che ammazzano i propri piccoli e non è il sesso che dovrebbe essere una discriminate ma l’amore che si ha per i propri figli. Se un padre vuole accudire e crescere il proprio figlio perché non può farlo se non è più con la moglie? Perché non può avere gli stessi diritti? Perché ha un sesso diverso e allora non è capace? Credo che il bambino ha bisogno di entrambi le figure. E poi genitore si impara facendo il genitore..

    • Ma chi è che sostiene che un padre amorevole non può accudire i propri figli? Non certo questo articolo, né nessuno degli articoli di questo blog.

      • Marco Tullio ha detto:

        “Ma chi è che sostiene che un padre amorevole non può accudire i propri figli? Non certo questo articolo … ”
        Non è vero. Se si chiede che i figli risiedano presso la madre per la stragrande maggioranza del loro tempo, che questa possa trasferirsi dove vuole e che il padre debba destinare al sostentamento indiretto della prole la maggior parte delle sue risorse economiche (di solito limitate o incrementabili – quando possibile – soltanto accrescendo l’imopegno nel lavoro), cosicché venga meno anche la possibilità concreta di visitarlo (gli spostamenti costano e sottraggono tempo ed energie al lavoro) e persino di ospitarlo momentaneamente (padri che avendo “condiviso con l’ex partner i beni accumulati durante il matrimonio” stanno a pensione in una squallida cameretta, quando non si contentano d’una roulotte) … Se si chiede tutto questo, come si fa ad affermare che non si vuole impedire ad “un padre amorevole [di] accudire i propri figli”?

      • Dove starebbe scritto? Potresti gentilmente indicarmi il paragrafo del post cui ti riferisci?

  3. Marco Tullio ha detto:

    Comunque la battaglia “femminista” contro la nuova legislazione e giurisprudenza che avanza in tanti Paesi in materia di affido condiviso è una battaglia – grazie a Dio – persa.
    Se “Dopo essere stato un ideale progressista all’inizio del movimento femminista, il concetto di bigenitorialità sembra essere diventato un cavallo di Troia”. Fatevene una ragione: “voce dal sen fuggita più richiamar non vale”. E chi vi dice che quel concetto sia fatto proprio in mala fede da chi la pensa diversamente da voi? Non potrebbe darsi che gli uomini si siano davvero persuasi di quanto la bigenitorialità sia giusta, bella, desiderabile per se stessi e per i propri figli? E non potrebbe darsi che la pensi così anche gran parte dell’universo femminile? Perché, vedete, non sono donne soltanto quelle che si sono separate dal partner (spesso arbitrariamente, talvolta al solo fine di sfruttamento economico del “pollo”, talaltra per motivaziobni che chiamare “sentimentali” è un’eufemismo): sono donne anche le nonne e zie paterne dei bambini, lo sono le nuove compagne dei padri separati. Su che cosa pensi la gran massa delle donne non direttamente coinvolte in queste faccende non mi pronuncio … ma dubito che la maggioranza stia con voi.

    • Allora, io ho fatto una domanda semplicissima. Dove sta scritto in questo post che si vuole stabilire per legge che i figli debbano stare con la madre “la stragrande maggioranza del loro tempo”, o che i padri debbano finire in una roulotte.
      Non ho ricevuto risposta, perché naturalmente non sta scritto da nessuna parte.
      Questo non è luogo dove proporre altisonanti comizi pieni di falsità.
      La prima falsità è che i poveri padri siano gli unici a soffrire la povertà in caso di divorzio:

      Parità di genere?


      Le statistiche ci dicono che i “poveri padri ridotti sul lastrico” per lo più non versano un euro di mantenimento per i loro figli: http://d.repubblica.it/frasi/2011/12/07/news/divorzio_alimenti-726962/

      Quello che invece sostiene questo post, come molti altri che cercano di fornire una corretta informazione sull’argomento, è che il concetto di bigenitorialità è pericoloso per le vittime di violenza domestica: https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2015/03/31/genitorialita-condivisa-con-un-ex-abusante/

      In che modo l’enfasi sulla bigenitorialità è pericolosa per le vittime di violenza domestica


      “… di gran lunga più preoccupante è il fatto che le istituzioni che dovrebbero aiutarle, psicologi, operatori sanitari, funzionari di polizia, giudici e membri del clero, spesso dimostrano maggiore interesse a mantenere intatta una famiglia con due genitori, invece di interessarsi alla sicurezza della madre e dei suoi figli…
      tutta la retorica intorno al valore del matrimonio e al coinvolgimento del padre non è solo incompleta. Per le vittime di violenza domestica, è pericolosa.”

      • Marco Tullio ha detto:

        “Tutta la retorica intorno al valore del matrimonio e al coinvolgimento del padre non è solo incompleta. Per le vittime di violenza domestica, è pericolosa.” e chi ci dimostra che sia “retorica” e non espressione di verità? Come mai “all’inizio del movimento femminista, il concetto di bigenitorialità” era “un ideale progressista” e ora è un “cavallo di Troia”? Allora tutto è “retorica”, nulla è argomento serio. Come dimostra l’invocare i casi di padri indegni per contestare i padri in generale ed invocarne la compromissione dei più legittimi interessi morali e materiali anche quando sono degnissimi. Quasi che l’esistenza di qualche strozzino fra gli Ebrei tedeschi negli anni Trenta abbia giustificato l’locausto!
        Ma se così fosse – se ogni argomentazione nient’altro fosse se non “retorica” – allora bisognerebbe vedere quale delle diverse “retoriche” in circolazione trovi maggiori consensi, e, come ho detto, quella cui il Ricciocorno fa riferimento trova – grazie a Dio – consenso decrescente: schiatti pure.

      • Lo dimostrano i dati, i numeri, che è mera retorica.
        E l’invito a “schiattare”, contribuisce…

  4. Marco Tullio ha detto:

    Il Ricciocorno mi domanda: “Dove sta scritto in questo post che si vuole stabilire per legge che i figli debbano stare con la madre “la stragrande maggioranza del loro tempo”?,
    Rispondo: è scritto quando s’invoca ” la presa in carico dell’accudimento dei figli che avrebbe richiesto l’affido esclusivo”. Affido esclusivo che, quando è unito alla – altrettanto rivendicata – facoltà di trasferirsi, rende di fatto impossibile, in molti casi, anche una frequentazione saltuaria. Ecco, allora, che la benevola concessione del figlio al padre si concentra sulle vacanze. E sfido io che il figlio non ami trascorrerle con un illustre sconosciuto in mezzo a gente (anche coetanei) altrettanto sconosciuta, come osserva la psicologa Judith Wallerstein qui citata.
    Quanto poi all’aspetto economico, è chiaro che questa “esclusiva presa in carico dell’accudimento” va adeguatamente sostenuta. E infatti s’invocano assegni, condivisioni patrimoniali, godimento della casa coniugale: è difficile, a queste condizioni, che un padre che non si chiami Creso non si trovi, per lo meno, in difficoltà per procurarsi un’abitazione nella quale accogliere degnamente il figlio (o i figli, perché ci sono anche coppie che ne hanno più d’uno). La roulotte e la mensa della Caritas sono caso estremo, ma, il monolocale con angolo cucina, la camera d’affitto, l’appartamento condiviso con altri “singles”, la pensioncina “familiare”, la trattoria a prezzo fisso sono la norma: tutte sistemazioni accettabili per un adulto, ma quanto gradite a un bambino o a un adolescente (che quando è lì è anche lontano dai riferimenti amicali) s’immagina facilmente.

    • Dimentichi la parte iniziale: “All’Università, nei media e nelle anticamere del potere, i mascolinisti hanno riportato l’interesse al ristabilimento della potestà paterna, in nome di una vaga promessa di coinvolgimento nella cura dei figli, annegata in un lessico ambiguo.”
      Sottolineo “vaga promessa di coinvolgimento”: perché, secondo le statistiche, il lavoro di cura è di fatto sempre a carico delle donne.
      L’Istat ha pubblicato nel 2010 la terza edizione dell’Indagine multiscopo sull’Uso del tempo, intervistando un campione di 18.250 famiglie e 40.944 individui, che hanno descritto in un diario le attività quotidiane.
      Nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è risultato quasi interamente a carico delle donne, valore di poco più basso di quello registrato nel 2002-2003 (77,6%)
      Per analizzare il grado di condivisione dei carichi di lavoro familiare nella coppia, l’Istat utilizza l’indice di asimmetria del lavoro familiare: tale indice assume valore 100 nei casi in cui il lavoro familiare ricada esclusivamente sulla donna, è pari a 50 in caso di perfetta condivisione dei carichi di lavoro familiare; i valori compresi tra 0 e 49 e quelli compresi tra 51 e 99 indicano un carico di lavoro, progressivamente più sbilanciato, rispettivamente sull’uomo o sulla donna.
      La presenza di figli nella coppia non abbassa il valore dell’indice di asimmetria, ma lo innalza: la presenza di figli, in una coppia, aumenta quindi il carico di lavoro di cura della donna, mentre diminuisce il contributo fornito dall’uomo.
      Perché gli uomini italiani riscoprono il desiderio di essere padri subito dopo il divorzio?
      Non sarà, forse, per molti, un mero escamotage per non versare gli assegni di mantenimento?

  5. Marco Tullio ha detto:

    “Perché gli uomini italiani riscoprono il desiderio di essere padri subito dopo il divorzio?
    Non sarà, forse, per molti, un mero escamotage per non versare gli assegni di mantenimento?”
    A questa domanda possono ripondere soltanto i fatti concreti: se il padre separato (non per cause di maltrattamenti o peggio) adempie scrupolosamente al ruolo di condivisione nell’accudimento parentale che rivendica, se a tal fine spende (in termini di denaro, ma anche d’impegno personale, che ha lo stesso valore sia se è prestato da un uomo, sia se lo è da una donna) quanto e più di ciò che eventualmente risparmia di assegni di mantenimento, se il figlio o figli destinatari delle sue premure sono contenti … come si può presumere la mala fede? E circa le donne che si battono per un affido legalmente o praticamente esclusivo: non sarà, forse, per molte, un mero escamotage per spillare più soldi?” … Non oso insinuarlo, perché sono convinto che non si possa né generalizzare, né fare il processo alle intenzioni.
    Quanto allo “schiattare” lo intendevo nel senso di “fremere d’ira impotente”. E mi sembra che dai testi qui riportati …

    • Dai commenti qui riportati mi sembra che a “fremere” non sono io.

      • Marco Tullio ha detto:

        Non fremo neanch’io, tanto meno quando leggo le notizie, con tanta encomiabile diligenza riportate da questo sito, in materia di prevalenti orientamenti scientifici, legislativi, giurisprudenzali e di prassi amministrativa nei Paesi più progrediti ed anche in Italia (dove, come al solito, siamo forse un po’ indietro). Del resto era prevedibile, perché ogni vittoria “femminista” in fatto di separazione, divorzio e affidamento della prole, da tempo scontentava molta più gente di quanta ne accontentasse: gli uomini, ovviamente, ma anche molte donne a vario titolo coinvolte nella disgrazia dei malcapitati. E non è detto che i molti figli e figlie di coppie divise nei passati decenni – ora adulti – non siano tra i più convinti detrattori di quanto si è fatto finora in questo delicato settore.

      • Non metto in dubbio che le conquiste delle donne scontentino tante persone. Ma che genere di persone?
        Oggi si parla apertamente di violenza domestica, di abusi sui bambini, tutte cose che fino a pochissimo tempo fa rimanevano ben celate all’interno delle mura domestiche. Oggi le donne lottano per liberarsi dal giogo di una relazione violenta, e sempre più spesso non hanno paura di denunciare un partner maltrattante, perché stanno prendendo coscienza che sopportare per tenere unita la famiglia non significa affatto fare “il bene dei bambini”. Di quelli che sono scontenti per questo, francamente non mi curo.

  6. Marco Tullio ha detto:

    Che si denuncino i casi di violenza domestica e di pedofilia è cosa ottima: spetta alla legge penale punirli, mentre la legge civile ha il compito di fare giustizia fra le persone in regola con la legge penale
    I figli di coppie separate che deplorano il comportamento della loro madre nei confronti del padre né violento né abusante, ma soltanto non più gradito – per arbitrarie ragioni – alla Signora, si curano del Suo parere quanto Lei (e quelle disinvolte Signore) si curano del loro: talvolta, appena hanno l’età per decidere, scelgono il padre, magari privando la mammina del beneficio della casa coniugale … Per carità: continui a non currsene, ch’è meglio … O mi dirà che in quei casi s’è verificata la “sindrome d’alienazione parentale”?
    “Non metto in dubbio che le conquiste delle donne scontentino tante persone. Ma che genere di persone?”
    Non necessariamente, come Lei insinua, soltanto gli abusatori e i pedofili (del cui scontento tutti sono contenti), ma un’infinità di persone perbene pensose di interessi assolutamente legittimi.
    Mi riferisco a tutti qugli uomini ineccepibili e ai loro parenti d’ambo i sessi che subiscono – o sanno che potrebbero subire – un iniquo danno morale (quanto a figli e nipoti) e patrimoniale (spesso ricadente sulla famiglia d’origine del malcapitato) dai semplici capricci, o dall’avidità, d’una donna intenzionata ad abusare delle “conquiste” che tanto Le stanno a cuore. E le seconde mogli o compagne che “raccattano” questi uomini ripudiati (non mi riferisco a quelle che hanno portato via il marito ad un’altra incolpevole) dove le mettiamo? Le ripeto la domanda: suocere e cognate delle sue predilette, seconde compagne d’un uomo lasciato e buttato fuori di casa “per fatti incolpevoli” noti soltanto alla moglie (che grazie a tali “fatti incolpevoli” si gode una casa non sua e magri percepisce un lauto assegno e tutto ciò se lo divide con un Tizio evidentemente meno “incolpevole”) … non sono donne anche loro?
    Vede? Sono femminista anch’io …

  7. Marco Tullio ha detto:

    I concetti di “sciocchezze” e di “chiacchiere” sono soggetivi, così come lo è il trovare legittimo o indecente che qualcuno – che non sia un delinquente dichiarato tale in giudicato – difenda anche “i propri interessi materiali: gli assegni di mantenimento e il patrimonio“ (come Lei cita con scandalo, a mio parere ingiustificato). Il suo rosa mi sembra che tenda parecchio al rosso … ma è un colore fuori moda, grazie a Dio.
    Nel salutarLa, perché me ne vado in villeggiatura, mi complimento per questo interessantissimo sito.

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